Jeanette

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10 maggio 2003

Caro diario,
mi chiamo Jeanette, ho trentacinque anni e sono separata.
Vivo in Massachusetts da sempre e sono una wedding planner.
I miei clienti, da quando mi sono separata, sono diminuiti ma questo mi permette di passare più tempo in casa con la mia famiglia.
Ho un bambino di cinque anni che si chiama Jakob ed è per lui che sto scrivendo questo diario.

Me l'ha consigliato il dottor Payne, psichiatra rinomato e amico di mia madre.
Io, a essere sincera, non volevo andare da uno strizzacervelli, ma mia madre ha tanto insistito e io mi sono fatta convincere.

Il mio ex marito Paul è contrario a questo genere di "pratiche", come le definisce lui. Dice che è solo un modo che hanno questi ciarlatani di spillare soldi alla povera gente.
Non so se essere d'accordo con lui.

Il dottor Payne mi ha detto di scrivere su questo quaderno tutte le stranezze di Jakob, a partire dai suoi primi istanti di vita fino a oggi.
E ce ne sono state proprio tante.
Dovrò appuntare anche tutti gli incubi che spesso fa; mi ha detto di scriverli nel dettaglio.
Non so che tipo di aiuto questo potrà dare al mio bambino, ma spero che si possa trovare una cura, una soluzione.
Non l'ho detto mai a nessuno, ma a volte Jakob mi fa paura

~~~~~~

11 maggio 2003

Voglio iniziare questo racconto dai nove mesi di gestazione perché, come vedrai, non è stata una passeggiata e forse già da lì avrei dovuto intuire che Jakob sarebbe stato diverso.

Ho conosciuto Paul sei anni fa, a una cena a casa di amici.
Lui era l'amico di un amico.
Non eravamo tanto in sintonia, diciamo che lui faceva il piacione e io, per non apparire maleducata, gli davo corda.
Io, tra le donne, ero l'unica single quella sera e lui era costretto dal suo ego maschile a provarci con me.
Per carità, non sono male: sono alta, capelli lunghi castani, occhi marroni.
Un po' anonima forse, ma comunque una bella ragazza.
Quello che mi infastidiva, però, era la sensazione che Paul ci stesse provando perché doveva.
Non so se sono riuscita a spiegarmi.

Fatto sta che, quella sera stessa, Paul si offrì di accompagnarmi a casa, ma era più che sottinteso che da me voleva altro.
A me non dispiaceva l'idea, complici anche i bicchieri di vino che avevano innaffiato la mia cena.
Perciò, prima di riportarmi a casa, mi chiese se mi andava di bere il bicchierino della staffa.
Io, ovviamente, gli risposi di sì e andammo in un bar che, guarda caso, era vicinissimo a casa sua.
Non mi dilungherò su quello che successe: è piuttosto prevedibile.
Dopo un'oretta mi accompagnò a casa.
«Ciao Jean, ti chiamo domani», mi disse.

«Ciao Paul, certo. Grazie per la bellissima serata», gli risposi.

E io, nella mia mente, con il migliore dei sorrisi stampato sulla faccia:

Mi chiamo Jeanette! E poi, il numero non ce lo siamo scambiati! Stronzo!

Com'era facilmente deducibile lui non chiamò il giorno dopo e neanche quello successivo. Non si fece piu né vedere né sentire.

Dopo un mesetto, un mese e mezzo circa, fui costretta a rintracciarlo.
Ero incinta e il padre era lui.
Non c'era alcuna ombra di dubbio.
Erano mesi che non facevo l'amore e, proprio quell'unica volta che avevo avuto la fortuna di trovare un uomo disponibile, era accaduto.

Non mi dispiaceva l'idea di fare la mamma, sia chiaro; dopotutto, andavo per i trenta e avere un bambino poteva anche essere fattibile.
Ma era l'idea che a fare da papà a mio figlio fosse Paul che proprio non mi andava giù.
Un uomo che a malapena conoscevo.
Di lui sapevo solo quello che mi aveva raccontato quella sera e, a dirla tutta, in alcune cose neanche credevo.
Basso, moro, occhi vispi da furetto; sorriso accattivante e addominali leggermente rilassati.
Un uomo nella media, insomma.
Niente di che.
Ma era il suo carattere che mi disturbava: narciso fino all'inverosimile e troppo sicuro di sé.
No, non mi piaceva proprio per niente.
E ci avevo appena concepito un figlio.

Dovevo chiamarlo per comunicargli la felice notizia, perciò mi feci dare dal nostro amico comune il numero del suo cellulare. E gli chiesi, anche, alcune informazioni.
George, il nostro amico, mi disse che Paul aveva trentotto anni, che era una specie di ragioniere/magazziniere tuttofare e viveva ancora con sua madre.
Non ti dico la mia reazione a questa notizia.

Ma allora di chi era la casa dove mi portò quella sera? Pensai.
Non ci potevo credere!
Speravo, con tutto il cuore, che lui non avrebbe avuto grosse pretese sul bambino, ché magari la paternità non lo interessasse più di tanto, mi piaceva l'idea di crescere il piccolo da sola, con l'aiuto magari di mia madre.
Sarei stata una mamma single, innamorata del suo ometto.
Il lavoro non occupava sempre le mie giornate perché, essendo una libera professionista, avevo molta autonomia e potevo gestire il mio tempo come meglio credevo.
Mia madre poi, essendo vedova e già abbondantemente in pensione, mi avrebbe dato volentieri una mano.
Perciò, quando chiamai Paul, ero già preparata a un suo rifiuto, anzi ero speranzosa di riceverlo.
Tutto potevo aspettarmi, tranne quello che effettivamente successe.
Fu una vera e propria doccia gelata.

Ma andiamo per ordine: non voglio confonderti né anticiparti nulla.

Buonanotte
J.

Ho paura di mio figlio ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora