Fulmen Fluvus

18 0 0
                                    

[Ascolta "Divenire"]

"L'aria sembra così pulita d'inverno, al crepuscolo." Pensava Horace, sovrapponendo questa considerazione al rumore assordante delle cuffiette nelle orecchie. Era solito fare lunghe passeggiate per il quartiere prima di tornare a casa, dopo la tipica routine che si addice ad un comune diciottenne. Studio, amici, magari studio con gli amici. Arriva però sempre il momento del disincanto, quando si è soli con se' stessi . Ci si libera della maschera che indossiamo in pubblico, specchiandosi nei meandri delle nostre torbide anime. Cio' non è un male, l'indossare una maschera, dopotutto ogni persona sulla Terra ha i propri piccoli o grandi drammi con cui combattere, ma ciò non vuol dire che sia lecito mostrarli a tutti. Come pensate che il mondo andrebbe avanti se tutti, in qualsiasi momento esponessimo le nostre ombre?

Era proprio quello il momento che rendeva Horace un ragazzo particolarmente pensieroso, così pensieroso da marcare la sua fronte da evidenti rughe orizzontali d'espressione, che un diciottenne non dovrebbe già avere. Ma Horace non ci faceva poi così caso a quelle.

[Ascolta Cytus – Area 184]

Il crepuscolo era ormai passato e il cielo iniziava ad imbrunire, l'aria divenne particolarmente fresca ed era forse il momento di tornare a casa. Legò i capelli castani con un codino, alzò il cappuccio della felpa grigia per coprire quel pasticcio di capigliatura che cercò di realizzare e si avviò verso casa.

Proseguì verso il lungo vialone di pietra alberato che lo divideva da casa, quando istintivamente si fermò. Nonostante avesse il volume della musica alto, gli parve di sentire un'esplosione, seguita da un rumore sordo, come se qualcosa fosse precipitata per terra senza schiantarsi del tutto. Tolse le cuffiette e diede uno sguardo a ciò che lo circondava. C'erano i soliti lampioni, il solito albergo, i soliti cartelloni.

"Sarà stato il mio stomaco? Effettivamente non mangio da oggi." Si disse Horace, ridendo di se' stesso e di quanto fosse facilmente impressionabile. Cuffiette alle orecchie, un'occhiata all'orologio. Ripartì. I suoi passi erano però inquieti, il battito accelerò, brividi salivano lungo la schiena.

"Non è fame... qui inizia a salirmi la febbre."

Cercò le chiavi di casa nello zaino, tra libri sgualciti e cianfrusaglie varie. Trovate le chiavi, inserì la chiave bronzata nella serratura, quando percepì in lontananza un boato simile a quello di prima. Una luce giallastra, come un fulmine che frantuma le nuvole dividendole a metà, apparve nel cielo. Non era un fulmine.

"Inizio a dare i numeri... eppure oggi non ho nemmeno fumato."

Horace era ancora del tutto ignaro di cio' che era successo quel pomeriggio freddo d'inverno. Per la prima volta aveva assistito ad una battaglia, la cui visione è concessa a soli pochi eletti. Qualcuno, forse Dio o forse il caso, aveva già da tempo stabilito che Horace sarebbe stato potenzialmente capace di partecipare, di vincere o di perdere quelle guerre di tutti e di nessuno.

Cenò, la sua temperatura era nella norma. Nonostante ciò, sentiva ancora quella strana sensazione che gli faceva vibrare costantemente i pensieri. E quel fulmine, dopotutto, non passò inosservato.

Urban LamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora