Collisione

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Parte 2.

Anno 3022 d.C.

Giorno 6805.

La Bith.

"Un modesto ammasso di ferraglia di ultima generazione", come amava definirlo il professor Pavlovich, Crux se lo rammentava sempre.

Tutti i numeri ne avevano una costruita appositamente per loro. Le celle Bith erano progettate per neutralizzare le loro capacità ed era per questo che ogni sera, dopo cena, quando gli esperimenti erano traghettati dalle sentinelle nella propria Bith, perdevano ogni possibile contatto tra di loro. Nemmeno le straordinarie capacità telepatiche che Ella, nel corso degli anni, aveva sviluppato per comunicare con i suoi compagni riuscivano a scalfire la superficie di quegli spessi muri grigi, rustici e spogli.

Faceva freddo. Crux guardava attraverso le pareti chiedendosi che cosa stesse facendo Ella.

Il consueto trillo della campanella avvisò tutti dell'imminente coprifuoco: alle 21.20 lo squillo e alle 21.30 le luci si sarebbero spente. Ma non quel giorno. Niente campanella, niente di niente, silenzio immobile, niente luci sfumate nel buio della notte. Quella sera non successe.

Ella era a letto, intanto. Stava osservando il soffitto della Bith quando si accorse che qualcosa non andava. Un rombo assordante squarciò l'aria facendo schizzare la bambina sull'attenti. Tese le orecchie cercando di afferrare inutilmente le discussioni al di fuori della cella, dove i passi delle guardie si fondevano con le loro grida, creando un frastuono che, nonostante l'ingenuità dovuta alla tenera età, rendevano Ella piuttosto inquieta.

Ad un tratto, qualcuno bussò. Erano percosse frenetiche, incalzanti, quasi disperate.

Si alzò, avvicinandosi con passo felpato alla porta e accostò il capo sulla superficie gelida cercando di origliare cosa stesse succedendo. Di nuovo, qualcuno prese a bussare insistentemente.

«Ella apri, maledizione!»

La voce del professor Pavlovich.

«Non ho il permesso.» rispose candidamente. Ella sapeva bene che gli altri professori non vedevano di buon occhio Pavlovich e le sue trovate stravaganti, a partire dal fatto che avesse dato loro le chiavi delle proprie Bith.

Aveva sperimentato sulla sua stessa pelle come amassero punire i membri del suo gruppo per le -a parer loro- "eccessive libertà che Pavlovich concedeva".

«Ella, hai il mio permesso, apri questa porta!» la voce affannosa e la paura mischiata all'urgenza che la bambina percepì attraverso le parole del professore, la convinsero ad ubbidirgli.

Quando la porta si spalancò, il caos le trapanò le orecchie.

Non fece nemmeno in tempo a notare i dettagli: Pavlovich l'afferrò di peso in braccio cominciando ad attraversare il corridoio, facendo lo slalom tra le persone che si scapicollavano da una parte e dall'altra. Un secondo rombo le fece accapponare la pelle.

Il professore accelerò il passo, ora quasi correva.

Ella sentiva il battito del suo cuore attraverso il camice bianco, il respiro affannoso che la sommergeva ad ondate irregolari. Avrebbe ricordato quel momento con così tanta lucidità, anni dopo, da far spavento.

Pavlovich fece appena in tempo ad oltrepassare uno dei grandi portali che separavano i corridoi, prima che delle macerie cadessero rovinosamente al suolo.

Ella si accorse poco dopo di aver notato dei numeri correre verso l'uscita.

Ottantacinque anni prima.

H.Y.B.R.I.D.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora