Alla luce

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Venni al mondo nella stagione che incominciano a cadere le foglie. Si approssimava un inverno terribile.
Nel darmi alla luce, mamma aveva rischiato di morire.
Papà mi tiene stretta in una coperta calda per tutta la notte. Quando ero piccola, mia madre mi ricordava continuamente che ero una bambina speciale. Mi parlava spesso di quell'episodio, con la stessa voce piena e timorosa, quasi sorpresa, come se me lo raccontasse sempre per la prima volta. Questo ricordo mi conforta in ogni stagione fredda, quando si avvicina il mio compleanno, la natura inizia a perire e i rami degli alberi si confondono con il grigio del cielo.
La mia nascita non fu perfetta e rischiai di non sopravvivere, ma la tempra forte e le cure amorevoli mi permisero di ristabilirmi nel giro di una settimana. Il destino, però, probabilmente non era d'accordo, così a soli 14 mesi mi ammalai nuovamente. Di poliomielite.
Ovviamente, i miei ricordi sono inesistenti. Me li sono costruiti attraverso quelli di mia madre, che ne parlava ogni volta che ci sedevamo in salotto con papà. Sempre le stesse cose, malattia e dolore. Sentivo che la mia venuta al mondo aveva portato, chissà come e chissà perché, solo un incessante pioggia di lacrime, e che la mia nascita era simbolizzata da quella stagione in cui le foglie cadono e poi il vento le fa girare con sé, assieme ai ricordi ei rimpianti. Com'è possibile che una bambina provi cose simili. Anche se i miei genitori non mi facevano mai sentire né un'intrusa ne un'indesiderata. Quando papà mi parlava iniziava sempre con: 《Ti ho già detto oggi quanto ti adoro?》. Poi cominciava a raccontarmi la mia favola.
《C'era una volta un grande uomo che sposò la donna dei suoi sogni. Con il loro amore misero al mondo una bambina. Era intelligente e allegra, e il grande uomo le voleva molto bene. Quando era molto piccola, la prendeva in braccio, le cantava a bocca chiusa un motivetto e ballava con lei per tutta la stanza, ripetendole: "Ti voglio bene, bambina". Questa bimba, prima di diventare una persona, era una stella che emanava una luce speciale. Una sera, mentre era insieme ad altre stelle, vide sulla terra due giovani innamorati e li scelse come genitori. Si era catapultata nella vita del grande uomo e della donna dei suoi sogni, mentre spargeva dietro di sé una scia di luce. Per questo il grande uomo decise di chiamarla Chamed, che vuol dire scia.》
Tutte le volte che arrivava alla fine, a mia madre si riempivano gli occhi di lacrime. Se solo avessi potuto parlarle. Non le ho mai detto cosa provavo, non ho mai saputo cosa provava lei.
Papà diceva che un bambino venuto al mondo in novembre è sveglio, vigoroso e in piena fioritura a maggio; uno nato in primavera, invece, ogni anno si siede per assistere alla morte della natura. Io non ero consapevole della tristezza che sentivo,ma loro sì, come se la mia venuta avesse obbligato i miei genitori ad affrontare un viaggio faticoso e disagevole. Anche se non ho memoria dell'infelice neonata che ero, conosco la ragazza triste che diventai. Ricordo la sensazione di sofferenza di mamma, troppo amata da mio padre, e la sua insicurezza. La sola cosa che sognavo da piccola era di non esserlo più, per non dipendere da loro. Essere libera di camminare. Libera di correre. Questo avrebbe sorpreso mia madre. Metteva tanta cura nel darmi le cose di cui era stata dolorosamente  privata nella sua fanciullezza. Non le erano mancate la cura o l'educazione, ma l'essere carezzata, amata, ricevere un abbraccio affettuoso. Non ne aveva avuti, come poteva darli a me? Mamma mi ripeteva che da piccola, nella prima infanzia, ero vivacissima e precoce. A 6 mesi già pronunciavo le prime parole. A 9 mi aggrappavo per cercare di alzarmi. A 11 riuscivo a camminare. A un anno non sporcavo più. Ero la felicità di Papà: mi chiamava luce. Diceva che gli illuminavo l'anima e mettevo allegria nella sua vita.

Mi si é fermato il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora