L'agnello vegetale della tartaria

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L'Agnello Vegetale della Tartaria è una creatura leggendaria originaria dell'Asia Centrale che combina caratteristiche animali e vegetali. Questa pianta mitologica si riteneva fosse in grado di produrre come frutti delle pecore.Tali prodigiosi frutti ovini erano, secondo la leggenda, collegati alla pianta tramite un cordone ombelicale che permetteva alla pecora di brucare l'erba intorno entro un certo raggio dalle proprie radici: quando tutto il nutrimento della pecora si esauriva, sia la pianta sia la pecora si seccavano, morendo. Nonostante il mito sia nato come modo per spiegare l'esistenza del cotone secondo il pensiero medioevale, la leggenda si basa su un pianta realmente esistente, la Cibotium barometz, o Polypodium borametz una felce del genere Cibotium, lanuginosa e con radici a fittone, solitamente in numero di quattro o cinqueL'agnello vegetale della Tartaria è noto con molti altri nomi, fra i quali Agnello della Scizia, Barometz, Borometz o Borametz, questi ultimi essendo diverse traslitterazioni della parola tartara che indica l'agnello.Nell'antichità era d'uso produrre delle "prove" dell'esistenza della miracolosa pianta, rimuovendo le foglie dalla parte terminale del rizoma dall'apparenza lanuginosa della felce: capovolgendo il tutto, il rizoma filamentoso poteva facilmente rassomigliare ad un agnello con tanto di lana, con le gambe formate dalle basi recise dei piccioli.[2] Il Tradescant Museum of Garden History conserva un esemplare di "Barometz" sotto vetro.

Nel suo libro, The Vegetable Lamb of Tartary (1887), il naturalista Henry Lee descrive il leggendario agnello come ritenuto essere dai cronisti medievali contemporaneamente un animale vero e proprio ed una pianta; tuttavia asserisce che alcuni scrittori credevano che il Barometz fosse in tutto e per tutto il frutto di una pianta, nato da semi simili a quelli del melone, e che qualora l'agnello si fosse separato dallo stelo che lo ancorava al suolo, sarebbe morto. Si credeva che l'agnello vegetale possedesse sangue, ossa e carne simili a quelle di un normale ovino, ma che fosse connesso alla terra da un fusto simile ad un cordone ombelicale che sorreggeva l'agnello in alto. Con il tempo poi il gambo si sarebbe flesso in avanti sotto il peso del suo stesso frutto, permettendo all'agnello di consumare l'erba intorno. Una volta che tutta l'erba disponibile nel raggio d'azione dell'agnello fosse finita, l'agnello moriva e poteva quindi essere consumato. Secondo la leggenda il suo sangue era dolce come miele e la sua lana era usata dai nativi della Tartaria per fabbricare copricapo ed altri generi di abbigliamento. Gli unici altri animali carnivori che attaccavano l'agnello vegetale (oltre naturalmente agli umani) erano ritenuti essere i lupi.

Una creatura sostanzialmente identica, combinante caratteristiche sia animali che vegetali, è menzionata nella tradizione popolare ebraica non prima del 436 a.C. Questa creatura, chiamata Yeduah, era del tutto simile ad un agnello nella forma e spuntava dalla terra connessa ad uno stelo. Coloro che andavano a caccia dello Yeduah potevano effettuare il "raccolto" dell'animale solamente recidendo lo stelo con frecce o dardi. Una volta che l'animale era stato disgiunto dal suolo, moriva rapidamente e le sue ossa potevano essere usate nella divinazione e in alcune cerimonie profetiche.[5] Una versione alternativa narra del Faduah, una pianta di forma umana connessa alla terra da uno stelo attaccato al suo ombelico. A differenza del Barometz, il Faduah era ritenuta una pianta aggressiva, che aveva l'abitudine di afferrare e uccidere ogni creatura a portata di mano che lo scambiava per un comune vegetale. Come l'agnello vegetale però, anche il Faduah moriva se il suo stelo era reciso.[6] Odorico da Pordenone, francescano italiano nato nel 1265, riporta di come, sentendo della prima volta parlare del Barometz, gli fosse venuto in mente di un altro genere di simili piante prodigiose che vivevano sulle coste del Mare di Irlanda. Questi alberi producevano frutti simili a Cucurbitacee, che cadendo in acqua germogliavano in uccelli chiamati Barnacle.[7] Odorico si riferiva ad un'altra leggendaria pianta zoofita (che, insieme all'agnello vegetale o alla mandragora, condivideva una doppia natura animale-vegetale), cioè l'Albero delle Barnacle, che era ritenuto crescere affacciato sulla costa e lasciar cadere i propri frutti nel mare vicino alle isole Orcadi. Il frutto aderiva quindi ad una varietà di sostrati, come scogli o altre sporgenze, lasciando intravedere un ciuffo di piume bagnate al proprio interno ed infine, a piena maturazione, rilasciava un'oca adulta perfettamente formata. La leggenda di una simile pianta-animale era generalmente accettata per spiegare la presenza di sole oche facciabianca adulte nel Nord Europa.[8], assenza dovuta alle curiose abitudini riproduttive di questa specie e spiegata solo nel XX secolo.

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