Pale Blue Eyes

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"Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l'erba, la giovinezza. L' amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina: e io divoro, divoro, divoro... Come andrà a finire, non lo so."-Pier Paolo Pasolini

*

  Le mattine di Milano sono grigie e pesanti. Ti si appiccicano addosso quando esci di casa al mattino, ti rimangono cucite ai vestiti fino a fine giornata, e anche a furia di lavare e smacchiare non si riesce più a distinguere il grigio della città da quello che ti sboccia dentro.
Giulia stamattina l'ha salutato con un bacio sulla guancia, le labbra sporche di marmellata e i capelli ancora umidi. L'ha trovata a capo chino su pagine e pagine di appunti scritti in grafia tondeggiante e ordinata, lo sguardo stanco e ogni ora di sonno perso disegnata nelle vene rossastre che le affioravano negli occhi, e l'ha costretta a prendersi una pausa.
Lei ha sorriso, e Federico si è convinto di star bene, guardandola sgranocchiare le sue fette biscottate e salutandola sulla porta.
E' questo che conta, no?
Fanculo, pensa Federico, che le mattine di Milano le vive poco e male, tra una sigaretta lasciata a metà e un caffè buttato giù troppo in fretta, quando di corsa scende le scale del suo appartamento, le chiavi dimenticate ancora una volta sul piano della cucina.
Le mattine di Milano vanno in fretta, tanto che alle sette del mattino la città già pulsa e freme. E tu ti ritrovi a camminare a passo svelto, la vita gettata sulle spalle e il grigio della città che ti entra nei polmoni.
E forse, solo forse, non sei felice come credi.  

  La sera del primo Live è tutto un turbinare di luci, grida, e ansia che gli indurisce le vene e fa tremare le mani. Quando esce dal camerino qualcosa appena sotto il diaframma comincia a stringersi dolorosamente.
Certe cose non cambiano mai.
Neanche si rende conto della serata che scorre. La scena lo assorbe nelle sue luci e nelle sue lacrime, lo inghiotte, e Federico non riesce più a ricordarsi niente quando le telecamere si spengono e viene risputato stanco, sudato, e senza più la voglia di tornare a casa.
Questo prova a non pensarlo.
E' diventato un maestro, Federico, a fingere che la sua sia solo una giornata no, che domani si sveglierà felice e che il cielo avrà di nuovo il colore azzurro pallido degli occhi di Giulia. Che amarla, senza se e senza ma, con le farfalle nello stomaco e senza tutte quelle grida che gli fanno scoppiare il cervello e il cuore, tornerà ad essere facile come respirare. Litigano, litigano troppo. Anche se al mattino tutto sembra andare bene.
La sigaretta ha un sapore amaro e pastoso, lo stesso del primo tiro quando aveva tredici anni. Quando non fumi del vero tabacco da un po' la sensazione che ti lascia in bocca fa sempre un po' schifo, ma Federico si accontenta e rimane seduto sul gradino del parcheggio, gli occhi persi nel cemento, la sigaretta accesa che sfrigola quando prende la seconda boccata.
"Pensavo tu avessi mollato quelle."
Federico alza gli occhi e Michael lo guarda con un mezzo sorriso sulle labbra.
"Tu hai beccato un congiuntivo. E' una grande serata."
L'altro sbuffa, sedendosi accanto a lui. È un po' ridicolo, pensa Federico, con quelle sue gambe lunghissime, accovacciato su un gradino di neanche cinquanta centimetri.
Almeno ha lasciato in camerino l'Unicorno.
"Smettila di prendere in giro il mio italiano. Ho molto migliorato."
Federico ride, e una nuvoletta di fumo fluttua fra loro. Michael arriccia il naso, guardandolo accigliato. "Ora sì che ti riconosco."
"Oh, shut up."
La sigaretta viene lanciata lontano, nel buio. Arde più intensamente, un istante, prima di spegnersi.
" 't was a good show tonight." dice Michael, distendendo le gambe e poggiandosi sui gomiti. Federico lo guarda di sottecchi. Tiene la testa reclinata, e gli occhi socchiusi.
"Continuo a non essere d'accordo su quello che hai detto sui Moseek."
"Ah, ma smettila. Vediamo cosa tira fuori a prossimo live."
La gara è cominciata davvero. Fanno fatica a lasciarsela alla spalle, davanti al pubblico e lontana da loro, e si ritrovano a punzecchiarsi come due quattordicenni. Vecchia
e sana competizione.
Federico qualche volta la prende troppo sul serio. E' un errore che fanno tutti, prima o poi, perché improvvisamente ti trovi una carriera e una vita che non sono le tue fra le mani, e basta un azzardo sbagliato e tutto va a puttane.
Il mondo dello spettacolo è proprio come lo dipingono: splendente, dorato, e pieno di pezzi di merda pronti a rovinarti, anche se la colpa non è tua.
"Qualche volta mi dimentico di quanto sia massacrante."
L'altro non risponde, limitandosi a guardare in alto, nella spirale luminosa dei lampioni giallastri. Dopo un attimo sospira. "Lo è. Quei ragazzi, in live vedono come realmente stanno le cose. You know, some of them are so young. They don't know what's like. You can be the best singer in the fuckin' world, but either the audience likes you or you're out."
"Vacci piano con l'inglese, zio. Mi tocca trovarmi un interprete."
"Volio solo dire che è dura. Più per loro che per noi."
E' una conversazione che hanno avuto fin troppe volte. Le parole sono quasi le stesse, i pensieri pure. Sembrano due attori che hanno imparato la loro parte a memoria, ogni volta che l'argomento salta fuori, ma stasera Federico è stanco, e non riesce ribattere. A dire che non è d'accordo, che lui tutta quell'ansia addosso la sopporta a stento, fra risate nervose e sigarette che non dovrebbe fumare.
Si gode il silenzio rilassato che cade tra loro. Il ginocchio dell'altro gli sfiora la caviglia. La notte si fa un po' più fretta.
"Che hai Fede?"
La voce di Michael è diversa da quella che usa sul palco. L'accento è più marcato, il tono più caldo e arrochito, scuro come le occhiaie che ha sotto gli occhi e il disastro di ricci incrostati di gel che si ritrova in testa. Sembra più vecchio dei suoi trentadue anni.
Federico lo preferisce così, l'uomo nascosto sotto l'eterno ragazzino che ogni giorno si lascia scivolare addosso, e che paradossalmente aleggia sempre su di lui. Quando Mika viene lasciato appeso ad una gruccia in un camerino sterile, e quello che rimane è proprio lì al suo fianco, con quel tono un po' severo, con quello sguardo stanco e languido, nella luce industriale di un parcheggio di Milano.
Federico si guarda le scarpe. Non risponde.
"All right."
La mano di Michael si posa insistente ed indesiderata sulla sua spalla, e improvvisamente quei suoi occhi penetranti lo guardano da pochi centimetri, sinceramente preoccupati.
Federico si sente per un attimo di nuovo un ragazzino, quando il sabato mattina bigiava per saltare le due ore di matematica, e appena tornato a casa sua madre lo guardava con due occhi grandi e tristi, fingendo di non sapere.
"It's what I think it is?"
Michael è ottuso. Cocciuto, testardo e alle volte non riesce proprio a capire che a certa gente servono solo due cazzo di minuti di silenzio e una sigaretta scroccata per rimettersi a posto la testa e fingere che tutto vada bene. Federico lo guarda da sotto le ciglia, e un po' gli gira la testa, nel gelo della notte, nel calore della mano che gli tocca la spalla.
Rivede il freddo degli occhi di Giulia. Il tono spezzato dalle grida della ragazza, le sue, di grida, che gli avevano lasciato la voce graffiata e il petto pesante.
Alla fine parla.
"Mi ha più o meno buttato fuori di casa. Non ne sono sicuro."
"Non hai posto dove stare stanotte?"
"A quanto pare."
Michael annuisce, e la sua mano si muove piano sulla sua schiena. Sembra per un attimo alla ricerca delle parole giuste, e Federico si chiede come sia possibile creare una frase di senso compiuto in quel caos di lingue e culture che deve essere la sua testa. Lui le parole non le trova neanche nell'unica lingua che parla da ventisei anni, figuriamoci.
"Vieni," dice alla fine. "You sleep at my place tonight. Ma prima io ti porto a prendere una Drink. You need it, man."

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