Scivolarono velocemente in un'intimità dalla quale non si ripresero mai.
-Francis Scott Fitzgerlad.V
Lover, please stay
Space Oddity è un mormorare stanco sullo sfondo, le parole che si distinguono appena, la musica che riempie la stanza e rimane impigliata in testa come vecchio profumo sulla stoffa.
Attraverso le finestre, il tardo pomeriggio sfuma in un crepuscolo grigio, i fumi della città si mescolano al cielo in una striscia d'ocra che sembra quasi sabbia sporca sull'orizzonte, e il freddo di quel tramonto invernale non si sente, attraverso il vetro lucido delle finestre serrate. C'è solo l'ultima luce flebile del giorno a illuminare la stanza, e la lampada giallastra sul soffitto che riempie le pareti bianche di sfumature rosate.
Michael canticchia. Un mormorare distratto, mentre cerca di non bruciare il caffè sul fornello, le parole che gli sfuggono dalle labbra come una preghiera recitata a bassa voce.
Federico lo guarda e neanche ci fa più caso, perché è un vizio dell'altro che ha scoperto soltanto adesso, perché comincia ad abituarsi nel modo sbagliato a quelle ore di silenzio, in cui entrambi dovrebbero essere altrove, e si concentra sul suono flebile della canzone, sulla musica che li avvolge nel loro segreto. Si sente comunque fuori posto, in quell'appartamento vissuto poco, che riesce comunque a raccontare altre vite, altri pomeriggi d'Inverno persi nel calore soffocante di un gesto.
La fotografia di Michael e Andreas è di nuovo appesa al muro, un grumo doloroso che gli artiglia la gola e lo lascia stremato, e il vetro riflette la luce, e la cornice nuova è di un paio di sfumature più chiara della parete. Federico abbassa lo sguardo sul parquet, le unghie che scavano nella pelle dei palmi lunette rosse in rilievo sotto i polpastrelli sudati.
Giulia lo aspetta da quasi due ore.
Canticchia ancora, Michael. La sua voce si alza appena sul ritornello, e Federico è quasi sicuro che abbia fatto un disastro, perché ha insistito per mettere sul fuoco una moka azzurra appena comprata, perché fino ad una settimana fa lui neanche lo beveva l'espresso e l'odore del caffè è così forte da dare la nausea.
"Lo sai," dice, due tazzine in mano e i capelli ancora umidi per la doccia che gli cadono disordinatamente sulla fronte, "che David Bowie si è ispirato ad una canzone dei Bee Gees per questa?"
Federico alza gli occhi, e Michael gli porge la tazza con un mezzo sorriso. Quando beve il primo sorso si scotta la lingua, e l'amaro che gli rimane in bocca è troppo forte, e lo lascia col sapore di bruciato sulle labbra. "Pensavo fosse ispirata a Odissea nello Spazio. Il film, hai presente?"
"Yes, ma il sound è quello di Bee Gees."
"I primi Bee Gees. Fine anni sessanta. Mica quelli di Stayin Alive."
"Stayin' Alive."
"E cos'ho detto io?"
Ride, Michael. Ride, e la sua risata si perde in quella di Federico, nel sapore amaro di un caffè orribile che resta incastrato tra i loro sospiri. Chiude gli occhi, Federico, le mani chiuse a pugno in ricci scuri, perso per un attimo nel tutto e nel niente che gli esplode in testa, ed è come se fosse lui ad osservare la sua vita dall'alto senza poter far niente.
Il caffè si fredda sul tavolo.La testa gli scoppia, il nervosismo brucia in fondo al petto, il calore della rabbia fa tremare le mani e pesa sulla fronte assieme alla stanchezza che si ritrova scavata sotto gli occhi, e mentre la porta antincendio gli sbatte alle spalle le sue mani tremano appena quando si porta l'ultima sigaretta del pacchetto alle labbra troppo bruscamente.
Il caos delle prove generali gli rimbomba in testa, la voragine che gli si apre nello stomaco quando l'ansia sottopelle diventa troppa e mangia anche il respiro appena affannato che gli sfugge dalle labbra, e Federico è costretto a prendere la sigaretta ancora spenta tra le dita e a passarsi una mano sudata sulla fronte, per cercare di calmarsi, perché improvvisamente l'aria è difficile da respirare e l'azzurro terso della mattinata fa male agli occhi.
Il novembre milanese è uno schiaffo sul viso e un brivido attraverso la maglietta. E' l'eco scocciata delle quattro telefonate di sua madre in meno di due ore, è lo sguardo congelato di Giulia che lo aspetta in camerino con le unghie rovinate da morsi nervosi, la sensazione che comincia a mangiargli il petto ogni volta che la guarda e si sente ancora Michael addosso, il suo respiro affannato nelle orecchie e la sua risata che solletica la pelle.
Non si accorge di non essere solo, e soffoca un insulto tra le labbra, perché si rende conto di aver lasciato l'accendino nel backstage e non vuole neanche prendere in considerazione di rientrare in quell'inferno senza essersi calmato prima. Quando una voce famigliare lo riscuote alza la testa di scatto e per poco la sigaretta non gli cade a terra.
"Tutto bene?"
La ragazza bionda lo guarda incuriosita, le sopracciglia aggrottate, le spalle sottili strette in un cappotto troppo grande, una sigaretta fumata a metà in bilico tra indice e medio. Federico sbatte le palpebre un paio di volte, prima di riconoscerla, e quando risponde lo fa con la voce roca che gratta contro il palato e suona falsa anche alle sue orecchie.
"Sì," si schiarisce la gola "Hai mica da accendere?"
Lei annuisce, i capelli disordinati che ondeggiano intorno al viso, e il sorriso di cortesia che le increspa le labbra non cancella la preoccupazione negli occhi chiari.
"Lo sai che bianco porta sfortuna?"
Lo dice senza pensare, gli occhi fissi sulla punta della sigaretta, parole vuote che rimbalzano tra loro tanto per rompere il silenzio teso che Federico sente sulla pelle, insieme ad uno sguardo insistente. Lei risponde subito, il fumo che le esce dalle labbra in spirali dense che le incorniciano il volto mentre Federico le restituisce l'accendino bianco sporco.
"Non faccio la musicista e non ho ventisette anni. Posso stare tranquilla."*
Il sorriso che gli nasce sulle labbra non tocca gli occhi, ed è il riflesso di mille conversazioni avute per caso, con la sigaretta in bocca e l'aria troppo fredda per i vestiti che indossa. Il fumo brucia la gola e il mal di testa che preme sotto le tempie comincia ad essere un dolore insistente, e Federico chiude gli occhi un istante, soffia via il fumo con un sospiro.
Almeno è riuscito a calmarsi.
"Comunque sono d'accordo con quello che hai detto prima a Tommassini," dice lei dopo un istante, e Federico si aspettava soltanto il saluto cortese di una mezza sconosciuta, e le sue parole lo trovano perso nei suoi pensieri. "La scenografia per i Landlord è una merda."
La cenere cade da sola dalla punta della sigaretta. Federico la guarda mischiarsi con la grana del cemento, prima di prendere un'altra boccata di fumo.
"Mi fa piacere sapere che non sono solo io a pensarlo."
"Guai a farglielo notare."
"Non ci lavoro tutti i giorni io. Ma non ti invidio."
Lei si stringe nelle spalle. "Faccio la fonica. Tommassini lo sopporto il giusto."
Federico fissa il parcheggio semivuoto, sbircia per un istante l'orologio. Michael è in ritardo di quasi un'ora e mezza.
"Ti piace?" chiede, senza davvero che gli importi.
"Sono diplomata al conservatorio e non tocco il pianoforte da quattro anni. Non è esattamente la strada che mi aspettavo," getta il mozzicone a terra, e Federico la guarda di sottecchi "ma o hai culo o dopo un po' ti accontenti. E' già tanto se ho un lavoro."
"Se smetti di provare vuol dire che la strada giusta non era quella."
"Facile parlare, per uno che ha avuto culo."
"Non ho avuto paura di provare."
"Certo. Però quando provi e ti rendi conto che stai mandando la tua vita a puttane per qualcosa che magari neanche durerà, sai, dopo un po' non riesci neanche più a guardarti allo specchio. No?"
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