La Petite Mort

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   Le anime nude sono sempre cose miserabili.
-Francis Scott Fitzgerlad. 


Federico si sveglia insieme al trillo del campanello, e per un istante sbatte gli occhi ancora impastati di sonno e guarda il vuoto, il soffitto bianco, le ombre della strada che attraverso le finestre disegnano arabeschi giallastri sulle pareti della stanza.
E' sera, e Federico si passa una mano sugli occhi, cerca di ritrovare il filo dei propri pensieri, e tutto quello che sente è il pulsare leggero del livido che Michael gli ha lasciato sul collo e il rumore secco della porta che ancora sbatte dietro a Giulia. Si tira su piano, e il dopo sbornia si è esaurito quanto basta per rendersi conto che muore di fame, e che deve smetterla di addormentarsi sul divano, perché quel dolore insistente vicino alla scapola continua a tormentarlo.
Il campanello, ancora, più forte, e Federico lo sente rimbombare nel cervello, e non vuole alzarsi, e non vuole sapere. Vuole chiudere gli occhi, dormire, non pensare.
Ma che cazzo di ore sono?
Ributta la testa sul cuscino, e al campanello si aggiunge un bussare rumoroso e doloroso, e Federico chiude gli occhi e si trascina in piedi, perché magari è importante, magari è Giulia che torna.
Sua madre lo guarda con occhi sgranati.
"Si può sapere che cazzo fai?"
Federico non risponde. Si limita a scostarsi e a lasciarla passare, e lei entra in casa come una furia, ed è preoccupata, e lui si accorge che le tremano le mani.
"Prima sparisci giovedì sera, poi stacchi il telefono e scompari per dodici ore. Ma cosa ti passa per la testa, eh?" e poi "Perchè è tutto buio in questa casa?"
"Calmati ma'. Va tutto bene, davvero."
"Ti conosco, non dire cazzate. Ti sei perso un'intervista e ti aspettavamo in studio per le sei, e non solo fai finta che il lavoro non conti un cazzo, ma sparisci nel nulla senza avvisare nessuno. Dov'è Giulia?"
"Fuori."
Il cappotto di Giulia è ancora appeso all'appendiabiti in soggiorno, e Federico abbassa gli occhi, guarda distratto il pavimento di legno, e ha la vista appannata e un saporaccio in bocca. Rivede occhi gonfi e uno sguardo perso, si passa una mano sul collo, e il segno è ancora lì, leggermente in rilievo sotto le dita.
"Puzzi di fumo. E di vino."
"Ma'..."
"Federico."
Gli somiglia molto, sua madre. Federico questo lo sa, e non ha bisogno di vedere i suoi occhi o di sentire il tono supplicante della sua voce per percepire l'ansia che le divora il petto, che le inghiotte il cuore. E' la stessa con cui combatte ogni giorno, e non vorrebbe mentirle. Vorrebbe urlare, graffiarsi il viso, confessare: non vivo Mamma. Non amo, e non so che mi sta succedendo, e mi sento ancora il suo odore addosso, e davvero, non mi dispiace per niente.
Vuoi dire questo, Federico?
"Vatti a fare una doccia." dice sua madre, dopo un silenzio che gli echeggia nel petto per un po'. Federico si passa una mano tra i capelli, abbassa gli occhi. "Ti annullo gli impegni per domani, ti lascio un piatto di pasta e poi me ne vado. Non voglio sapere niente delle tue stronzate, non sono affari miei, ma non fare cazzate. Per favore."
"Mamma va tutto...."
"Ho detto niente cazzate. Vai."

Il getto della doccia è troppo caldo sul viso, la testa gli scoppia e pulsa dolorosamente, il suono dell'acqua che echeggia nella stanza gli riempie il cervello. Fa male da guardare persino la luce bianca che si riflette sulle piastrelle bagnate, e Federico chiude gli occhi, immerso nel niente di una coscienza in subbuglio, di un flusso di pensieri che non riesce a seguire. Si perde nella sensazione di gocce pesanti che gli scivolano addosso, le mani abbandonate lungo i fianchi, la pelle arrossata dal calore che dovrebbe essere troppo e lo intorpidisce e basta. Continua a sentire troppo, Federico. Nel desiderio che gli è rimasto addosso, nella consapevolezza che si è cacciato nel casino più grande della sua esistenza, lui che non si è mai pentito di una scopata e che adesso non sa più neanche cosa vuole. Si perde, Federico, perché sente troppo e non sa come fare.
Il ricordo nitido di una porta che sbatte e occhi chiari pieni di lacrime, una risata tutta denti e riccioli scuri tra le dita. Sarebbe più facile avere il cuore vuoto e non sentire né colpa né voglia: perché Giulia ancora non è tornata e ormai è rassegnato ad avere Michael impigliato nella testa, nelle mani, sulla pelle che più tenta di lavare più rimane macchiata e sporca delle sue parole e dei suoi baci.
Poggia la testa contro le piastrelle della doccia, sospira forte.
Michael, che parla ad occhi chiusi di musica, che lo ascolta parlare di Giulia, che è quanto di più diverso possa esistere da lui e lo capisce meglio di chiunque altro. Giulia, che non è tornata.
L'acqua è troppo calda, il silenzio troppo spesso, lo strato di condensa sullo specchio comincia a colare. Federico sente il respiro incastrarsi in gola nel fantasma di un singhiozzo, e se non comincia a piangere è soltanto perché ha già gli occhi pieni di acqua bollente. Sbatte un pugno contro il muro, cerca di non soffocare.
"Cazzo," sputa a mezza voce, perché improvvisamente gli manca l'aria, in tutto quel vapore. La testa gli scoppia e una paura infame e malata gli pulsa nel collo, a ritmo col suo cuore impazzito.
Si aggrappa al muro e cerca di respirare, di calmarsi, ma non ci riesce. Spalanca gli occhi e i polmoni si gonfiano senza riempirsi, mentre si volta con violenza e arranca fuori dalla doccia, alla ricerca d'aria. Si aggrappa al lavandino e il brivido che gli corre lungo la schiena è tanto di nausea quanto di freddo: ansima fissando gli occhi nella figura sfocata che oltre lo strato d'umidità lo guarda attraverso lo specchio. Un contorno vago che non riconosce, che sbiadisce un paio di volte, fino a quando non riesce a ritrovare sé stesso, nel lavandino bianco, nello scrosciare che ancora riempie la stanza. Le nocche intorno alla ceramica sono sbiancate, e Federico fissa lo scarico del lavandino con la bocca socchiusa e respira forte, e gocce d'acqua gli scivolano negli occhi e gli offuscano la vista. Respira, e cerca di calmarsi, e ancora il cuore gli esplode impazzito nelle orecchie.
Due colpi secchi alla porta. "Federico, io vado via."
Chiude gli occhi, cerca di controllarsi, e la voce trema comunque un po' quando riesce a rispondere, e il suo riflesso lo osserva distorto nelle scie lasciate sullo specchio dalle gocce d'acqua condensata.

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