Exit Music

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Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
- Cesare Pavese

VII
Exit Music

Federico non dorme.
Sotto le palpebre gli occhi tremano stanchi, nelle tempie il martellare sordo della sbornia è un fastidio ovattato, e in gola sente ancora il sapore acido dell'alcol, perché due ore di sonno non sono niente dopo una notte persa che vibra ancora addosso, ma per una volta Federico resta ad occhi chiusi e sente e basta. Ha la testa piena di qualcosa che non si spiega ed è tutta lì, nel respiro lieve e caldo appena sopra la clavicola, nel frusciare di lenzuola stropicciate, intrecciate alle gambe e strette tra corpo e corpo.
Non dorme, Federico, e per una volta va bene così.
Respira piano, ed è assordante il battito calmo del proprio cuore nelle orecchie. Le sensazioni gli scivolano addosso così lievi, che non riesce neanche più a capire se è sveglio davvero o se addosso ha soltanto i rimasugli di un sogno perso nell'eco di un mattino come gli altri. Forse è la stanchezza, forse qualcos'altro, ma il tempo passa e lui neanche se ne accorge in tutte quel sentire disordinato che lo inghiotte, che lo avvolge con una violenza e una delicatezza disarmanti.
Erano settimane che non riposava così.
Si muove appena. Uno dei respiri caldi che sente contro la pelle si fa un po' più profondo, la mano che gli sfiora il fianco si stringe un po' nel tessuto sgualcito della maglietta che indossa. Federico sente la stoffa accartocciarsi sulla pelle e il calore di quella mano un po' più intenso quando le dita sfiorano la pelle nuda.
È bollente, il corpo premuto contro il suo. Così caldo che gli sembra quasi di soffocare, ma non si scosta, non ci riesce. Qualcosa di morbido gli solletica le labbra, l'odore famigliare di profumo svanito e pelle, che ogni volta che inspira gli riempie la testa, e forse trema un po' quando Michael si muove, affonda ancora di più la testa nell'incavo del suo collo. La barba dell'altro gratta un po' contro la pelle, e la voce arrochita dal sonno vibra contro la gola.
"It's early, just sleep."
Federico non capisce, perché è poco più di un sussurro nel calore intrappolato tra loro. Socchiude le palpebre e si aspetta la penombra di una stanza buia, e invece gli occhi gli si riempiono di riccioli scuri contro il cuscino bianco e di una camera che ha le stesse sfumature grigie del cielo, tutta riflessi azzurri e pioggia che non cade.
Le tende scostate, le tapparelle aperte. Hanno dimenticato di chiudere la finestra, la sera prima.
La presa di Michael sul suo fianco si allenta un po', diventa una carezza lieve sotto la stoffa. Federico abbassa gli occhi e affonda la testa nei ricci dell'altro, le dita che corrono a stringere i capelli più corti alla base nuca e sospira, Michael, sospira come se il sonno gli fosse fuggito dalle labbra. Stringe la presa fino quasi a far male, Federico, e forse sul collo sente il fantasma di un bacio lasciato troppo in fretta, e resta immobile.
Solo un istante.
"Che ore sono?"
La voce contro la sua gola trema appena, la mano posata sul suo fianco comincia a tracciare i contorni immaginari di un disegno inventato sul momento, così leggera che quasi non si sente. Michael però si stringe di più a lui, gli occhi chiusi e le gambe che si intrecciano tra le lenzuola.
Lo tocca come se avesse paura, Michael. Lo sfiora piano come non ha mai fatto, lui che quando ama lo fa con le unghie e con i denti, con la risata sulle labbra e il cuore che esplode troppo forte, e Federico rivede tutte le volte che nel buio di un segreto l'ha visto sfiorare il materasso vuoto, tra loro solo fumo e parole dette troppo in fretta.
Lo tocca come se ne avesse bisogno, quando la carezza scivola sulla schiena e diventa il pretesto per stringerlo più forte, e Federico se ne accorge e non sa che cosa sia la fitta dolorosa che sente alla bocca dello stomaco, la voglia di chiudere gli occhi nel martellare del mal di testa e di affondare completamente nella pelle dell'altro.
Manca il tempo, per pensare. Per soppesare le conseguenze, per prendere la decisione giusta, e Federico fa di tutto per lasciare da parte quelle sensazioni che sanno di colpa, di dovere. Risente le parole di Michael della sera prima, e prima o poi dovranno guardarsi negli occhi e risolverlo davvero quel mare che li sta consumando pian piano.
"Presto."
Lo sussurra tra i suoi capelli, e Michael si scosta, alza la testa quanto basta per guardarlo, nei riflessi azzurri della stanza che gli sfiorano il viso. Federico si ritrova quegli occhi languidi e assonnati fissi nei suoi, e muore un po' quando lo guarda sbattere le palpebre con l'ombra di un sorriso sulle labbra, quegli occhi che si abbassano con una timidezza che non gli appartiene.
"Devi tornare?" e non riesce proprio a trattenerlo il tremito che gli incrina la voce.
"No," dice l'altro piano. "L'aereo era alle otto, e ho detto a Andy che poteva partire da solo."
Resta in silenzio un istante, prima di continuare. "Non è la prima volta che noi facciamo questo, così."
Federico lascia cadere il discorso nel niente. C'è troppo tutto in quella camera per spezzare l'incantesimo, e possono fingere ancora un po' prima che il sole sorga completamente e Milano torni ad essere. Promette pioggia, il cielo fuori dalla finestra, cupo e pesante contro il profilo della città, e le nuvole sull'orizzonte sono così nere da far paura. Il chiarore della stanza però è lieve negli occhi, e Federico si ritrova con una mano di Michael che gli sfiora il viso, e per una volta non ha paura dell'intimità di un gesto che racconta troppo e che non dice niente.
Dà ancora la colpa alla stanchezza, e distoglie lo sguardo dalla finestra e dal disordine che riempie la camera e che parla ancora di lui, di Giulia, di lui e Giulia insieme. C'è solo Michael, e il calore della sua pelle, e il suono della sua voce, e sanno entrambi che non può durare.
L'ansia del volersi, del trovarsi, del perdersi ancora, la consapevolezza che resta in bilico in un mattino che non è come gli altri. Forse Federico adesso non è lucido, ma è come se sentisse tutto negli occhi dell'altro, nel calore della sua pelle, nelle mani che non lo lasciano andare.
"Non devi andare per X-Factor stamattina?"
"No. Le riprese le facciamo domani, poi ci sono le prove per la finale la settimana prossima." le dita di Michael gli sfiorano il contorno dei tatuaggi sul collo, "Oggi sono in studio. Siamo tutti un po' in ansia per il video,"
"Tu sei sempre in ansia." e ride piano, Michael, e Federico sorride con lui anche quando gli sfiora le labbra in punta di dita.
"It'll be fine," e sembra mormorarlo a se stesso, mentre alza gli occhi su di lui, e che vuole dire qualcos'altro Federico glielo legge nella bocca dischiusa alla ricerca di parole che non riesce a trovare. È tutto azzurro, bianco, pallido in una mattina d'Inverno, con le nuvole che fioriscono nerissime all'orizzonte e l'alba che è già passata da troppo. Michael non sorride più, Federico affonda le dita tra i suoi capelli, lo sente sospirare.
Solo un istante.

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