Capitolo Nove

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Una volta uscita dalle grandi porte dell'Hotel Uranus, Hermione si strinse nel suo cappotto beige nel momento in cui veniva invasa dal freddo pungente di primo mattino.

New York era già sveglia - non che andasse mai a dormire, in verità - e le persone avevano già invaso i marciapiedi, così come le macchine avevano fatto con le strade.

Il clacson di un taxi le diede il buongiorno, mentre il profumo di caffè tostato e croissant al miele l'avvolgeva nel suo appetitoso abbraccio.

Scacciando l'idea di fermarsi a fare colazione, si avviò a passo svelto sul marciapiede. Voleva portare a termine la sua missione al più presto, per ritornare tra le dolci braccia di Fred e vivere senza problemi il loro meraviglioso amore.

Hermione si sentiva come rinata; non si sentiva così da moltissimo tempo.
Ed era felice. Davvero, felice.

Nella tasca interna giaceva la lettera che l'aveva sconvolta il giorno precedente. La strinse da sopra il tessuto camosciato.

"P.S. Ricordi quando ti dissi che nell'eventualità di una mia... partenza prematura... avrei ugualmente provveduto a te? 6th Ave, n. 33, New York. La prima vetrina davanti a te. Ti amo."

Sospirò, pensando che era arrivata l'ora di accettare ciò che era accaduto in passato, rinchiuderlo in un cassetto del suo cuore e vivere la sua vita senza rimpianti.

Lo doveva a sé stessa, a Fred... lo doveva a lui.

Persa nei suoi pensieri, girò l'angolo e, andando a sbattere contro una persona che veniva dal senso opposto, e dopo avergli borbottato uno 'Scusa' imbarazzato, sollevò lo sguardo e notò di essere sulla strada giusta.

Camminò per alcuni metri, poi finalmente arrivò all'indirizzo scritto nella lettera.

Si accorse di trovarsi in una specie di quartiere commerciale, e il numero 33 era dipinto a caratteri rossi sul muro accanto a un negozio senza insegna.

Si guardò intorno in modo circospetto: c'erano delle persone che passeggiavano, fermandosi tra un piccolo spaccio e un negozio di cianfrusaglie per turisti, scambiando quattro chiacchiere e ridendo spensierati.

Tornò a fissare il numero sul muro e la vetrina ricoperta di polvere del negozio apparentemente vuoto.

Scrollando le spalle, si fece forza e si avvicinò alla porta di vetro spesso e legno rosso.

Quando poggiò la mano sulla maniglia, notò che stava tremando; nonostante il nervosismo però, spinse la porta e il tintinnio di una campanella risuonò deciso nello spazio che si apriva davanti alla nuova arrivata.

Hermione notò le pareti bianche e spoglie; dei tavolini, delle sedie e delle pile di scatoloni da svuotare sparsi per tutto il perimetro della stanza. Doveva essere un negozio che si stava preparando ad aprire e ad accogliere i futuri clienti del quartiere.

La giovane poi si voltò e vide tre paia di occhi posati su di lei, che la guardavano intensamente. E sorrise.

«Hermione, finalmente. Ti stavamo aspettando già da un po', bambina mia...» disse la donna sulla cinquantina, che si alzò dal suo posto per andarle vicino.

Improvvisamente, gli occhi di Hermione si riempirono di lacrime e, gettandosi tra le braccia della donna dai capelli corvini, disse singhiozzando e a tratti ridendo «Mi dispiace... mi dispiace tanto... Ma sapete... lui era sempre il solito ritardatario!»

Imelda scoppiò a ridere e a piangere con lei, mentre le accarezzava i capelli per tranquillizzarla. Alle loro spalle, un uomo dalle spalle larghe, i capelli grigi e gli occhi verdi le fissava commosso. Accanto a lui, c'era una ragazza dell'età di Hermione: aveva due grandi occhi color ambra, capelli castani e un sorriso divertito.

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