Neve

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C'è stato un tempo in cui gli uomini non conoscevano la neve, come d'altronde molte altre cose. Non conoscevano la rabbia, per esempio, nè l'odio. Era l'epoca in cui gli uomini popolavano già numerosi la terra, ma in cui i potenti déi stavano ancora forgiando una ad una le emozioni, sul modello delle loro.
Fu in questo tempo che nacque Chione, una bambina tanto bella da apparire agli occhi di tutti più divina che mortale. Come tutti, anch'ella crebbe e diventò una meravigliosa ragazza, con la pelle bianca come il latte e due occhi grigi come il cielo in tempesta durante i mesi della semina. Molti, giovani e non, si voltavano al suo passaggio, e molti la volevano in sposa.
Più di tutti la desiderava Imaco, che aveva la propria capanna accanto a quella della fanciulla, fuori dalle mura della potente città di Fere.
Egli era un contadino molto più vecchio di Chione, e nella vita non si era mai sposato. Aveva sempre lavorato da solo e con fatica il suo fazzoletto di terra, senza il conforto di un pasto caldo al suo rientro a casa ogni sera, quando varcava la fredda soglia con la schiena affaticata da una giornata di duro lavoro. Viveva di ciò che coltivava e del latte dell'unica vacca che allevava. Quando si coricava nel suo misero pagliericcio a notte inoltrata gli sembrava proprio che nessuno al mondo sapesse della sua esistenza. Neppure Chione, anche se vivevano l'uno accanto all'altra. Eppure lui la vedeva, la vedeva tutte le mattine mentre correva verso il bosco in cerca di qualcosa, forse funghi saporiti, forse erbe aromatiche. Ed ogni mattina la guardava dalla finestra, mezzo nascosto da un lembo di tessuto perché si sa che certe ragazze si vergognano ad essere fissate, e traeva massima gioia da quel fugace momento prima di un'altra massacrante giornata nei campi. Puntuale, sempre lei se ne andava saltellando circa un'ora dopo il canto del gallo.
Sempre, per anni, Chione se era uscita di casa a quell'ora e sempre, per anni, Imaco l'aveva osservata di nascosto.
L'aveva vista crescere e diventare una donna, una bellissima e silenziosa giovane che leggiadra, con l'agile ed elegante passo di un cerbiatto, si addentrava nella foresta non ancora ben illuminata dalla debole luce mattutina.
Per anni aveva pensato:<Ecco, guarda Chione, un giorno se sarò loro fedele gli déi me la concederanno in sposa in premio per la mia costanza>; solo grazie a questo pensiero aveva trovato ogni giorno la forza di uscire e zappare il campo, spargere le sementi, chinarsi a raccogliere il misero frutto della semina.
Un'ora dopo il canto del gallo, precisa tutti i giorni.
Ma quel giorno Imaco non la vide. Allora aspettò ed aspettò ancora, ma non la vide. Si decise che forse era il caso di andare a vedere se fosse in casa, poteva usare qualsiasi scusa, come chiedere alla vicina, la madre della ragazza, se avesse un secchio per mungere la sua unica vacca, poteva fingere che il suo fosse rotto, magari poteva farci un buco per davvero, forse...
Si presentò alla porta della vicina con il proprio secchio tutto schiacciato ed ormai inservibile, chiedendole se avese potuto prestarle il suo. La vicina, da donna generosa qual'era, non ci pensò due volte e corse in casa a prendere ciò che Imaco, che a dire il vero conosceva solo di vista, chiedeva. Ed ecco che mentre la donna vagava nei meandri della propria capanna, Imaco si fece coraggio e sbirciò dalla sala del braciere, in cui si trovava, in quella porticina che sapeva portare all'unica altra stanza della casa, dove Chione ed i fratelli dormivano nei giorni più caldi.

Lei non era lì.

Sovrappensiero prese il secchio dalla donna e se ne andò dall'abitazione della vicina camminando nervosamente verso casa propria, interrogandosi su dove potesse essere la fanciulla.

La vide, finalmente, la sera. Aveva passato la giornata guardando fuori dalla finestra sconsolato, non aveva mangiato né era andato a lavorare il suo campicello.

La vide, felice mentre rientrava in casa.

Dunque era andata nel bosco prima del solito-questo era il pensiero di Imaco. Ma perché? Mai in tutti quegli anni era uscita di casa prima dell'ora seguente al canto del gallo e proprio quel giorno per la prima volta quella dolce quotidianità era stata infranta. Perché? E, mentre si arrovellava su questo, Imaco non riusciva proprio a togliersi dalla testa l'immagine della fanciulla che sorrideva, quel sorriso... Quello che si sarebbe meritato lui, quello di una giovane innamorata! Ora sì, ora tutto prendeva forma, una forma orribile, spaventosa. Lui non se la meritava, chiunque egli fosse. Chione era sua, lui se l'era conquistata con ogni colpo di zappa sotto il sole, con ogni stilla di sudore che appiccicosa era colata dalla sua fronte andando ad irrigare il campo. Per tutta la vita l'aveva aspettata, ed ora... No, non poteva farsela sottrarre dal primo pastore nomade che fosse passato di lì. Sapeva di doversi sbrigare, altrimenti glie l'avrebbero portata via.
Fu così che, per essere sicuro di incrociarla il mattino seguente, si appostò quella notte stessa nel tratto di foresta di fronte alle due capanne.
Al canto del gallo Chione uscì di casa con quel sorriso che tanto feriva il nostro Imaco. Egli dapprima la seguì, si fermò quando lei si fermava per raccogliere un fungo o un'erba ed ammirava con gran gioia quei bianchi polpacci che spuntavano da sotto la veste quand'ella si chinava, quelle caviglie perfette... Poi improvvisamente la magia del momento si interrompeva e Imaco riprendeva a camminarle alle spalle, e fece questo molte volte. Lei si fermava, lui si fermava. Lei riprendeva a camminare, lui la seguiva. Gli riusciva quasi naturale tallonarla senza emettere alcun suono.
Finché Chione non si bloccò all'improvviso, guardandosi intorno nella boscaglia.

Dannazione.

L'aveva sentito, ne era sicuro. L'aveva sentito, che fare?
Ma, mentre pensava queste cose dentro di sè, il suo corpo si era già mosso da solo, avvicinandosi alle spalle della giovane, assaporando un attimo mentre l'adrenalina gli scorreva fredda nelle vene. Poi le afferrò il braccio e lei trasalì. E fu un secondo. Un battito di ciglia.
Chione emise un gridolino di sorpresa sentendo una pelle estranea a contatto con la sua. Doveva aver pensato ad uno scherzo, forse che fosse stato il suo amato che le aveva teso una trappola per gioco; sì, doveva essere così.
Poi si girò e s'accorse con orrore che quello che la stava afferrando era un uomo molto più grande di lei, uno sconosciuto con un volto che lasciava trasparire tutto tranne buone intenzioni.
La vide gridare con tutta se stessa, chiedere aiuto con quanto fiato aveva nei polmoni. Ma i due erano nel folto della foresta, e nessuno udì la ragazza disperata.
Imaco strinse ancora di più il polso della ragazza, alla fin fine provava piacere nel sentirla gridare e vederla implorare in lacrime mentre si dimenava per scampare alla sua presa. Per quanto tempo aveva aspettato quel momento. Lei era sua.

Lo era sempre stata.

Imaco l'afferrò per le spalle e la tirò verso di sè. La voleva baciare. Era il suo sogno da molto, troppo tempo. Ma lei si contorceva, cercando di sfuggire a quelle grandi mani da contadino che l'avvolgevano e la stringevano a quel corpo temprato da anni di lavoro nei campi. Perchè si dimenava? Non aveva capito chi era? Eppure avevano sempre avuto la casa l'uno accanto all'altra. Eppure l'aveva sempre guardata dalla finestra, sempre, ogni mattina. Eppure aveva pregato ogni giorno gli dèi affinchè glie la concedessero in sposa, ma loro non stavano ascoltando quando aveva urlato loro tutto il suo sconforto. E finalmente ce l'aveva fatta, se l'era presa. Aveva imparato che agli déi non erano mai interessati gli uomini come lui, quelli poveri che non si potevano permettere di sacrificar loro ecatombi, quelli che nell'Ade, senza fama nè gloria, erano utili solo ad ingrossare le file degli spiriti dannati.
Ma Chione non lo voleva baciare, e si dimenava e scalciava in cerca di una via di fuga dal corpo di quell'uomo.

Voleva solo calmarla, farle capire che a comandare era lui. L'avrebbe giurato di fronte all'intero Concilio degli Déi. Voleva solo calmarla, farla smettere di scalciare, per questo l'aveva spinta a terra. Con un po' di violenza di troppo, forse. Era stata la Sorte ad averla uccisa, non lui. Lui non la voleva morta. La Moira, era stata la Moira ad aver piazzato quel sasso appuntito proprio nel punto in cui Chione aveva sbattuto la testa, lui non sapeva che quel sasso si trovasse lì.
Ancora sorpreso dall'accaduto restava in quel lougo, ammirando il corpo senza difetti della giovane smettere di dimenarsi, mentre i capelli le si impregnavano di sangue, mentre la lucentezza colava via dai suoi occhi grigi, mentre la bianca pelle scoloriva sempre di più.

Sebbene apparisse perfettamente calmo, dentro di sè Imaco era nel panico più totale. Quindi fece la cosa più istintiva.

Scappò.

Corse fuori dalla foresta e si chiuse in casa. Nessuno l'aveva ancora visto, era mattino presto, da circa un'ora era passato il canto del gallo. La sua fronte era coperta da un freddo velo di sudore. Non sapeva cosa fare, che fare? Avrebbe voluto urlare, insultare quegli déi ed il Fato per la usua mancata sorte. Ma poi riprese le briglie dei suoi pensieri. Doveva restare calmo. Nessuno aveva visto niente. Gli bastava che tutto sembrasse normale quell'incidente sarebbe stato solo un ricordo che sarebbe andato scolorendosi col tempo.

Un'ora fopo il canto del gallo, Imaco uscí per lavorare il suo sempre più misero campo.



Io non credo nelle coincidenze, eppure proprio quel giorno per la prima volta nella storia degli uomini cadde la neve. Ricoprí ogni cosa, la città, il bosco, le due casette, e continuò a cadere per molto, molto tempo.

Io non credo negli déi nè nella Moira Che Tutto Regola, eppure dopo pochi mesi Imaco morí, da solo, tra i brividi, nella sua capanna; ma nessuno se ne accorse. Non aveva più potuto coltivare il proprio fazzoletto di terra a causa del manto bianco che ora Fere vestiva e la sua unica vacca era morta di freddo.

Io infine non credo nelle leggende, eppure ancora oggi nell'Ellade la neve porta il nome di Chione.

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