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La mano di quell'uomo cominciò a scivolare delicatamente dalla mia, ed io non opposi resistenza. Avevo la sensazione che cercasse di allontanarsi da me per non destinarmi alla sua stessa fine. L'unico mio gesto fu quello di adagiare quel corpo senza vita in modo che si sentisse più comodo nel suo sonno eterno. Ero troppo piccola per capire che la morte non era eterna, bensì rappresentava la conclusione definitiva di un percorso vitale. Ero troppo piccola per comprendere che morire comportava l'inesistenza, e non un'eterna presenza. Pertanto considerai l'uomo dalla barba folta e bianca semplicemente appisolato per l'eternità.

Ero solo una bambina di nove anni. Nessuno mi aveva spiegato che la perennità non esiste. Che è la menzogna su cui si aggrappa l'umanità intera, altrimenti succube di un meccanismo malvagio e portatore di infelicità.

Ero solo una bambina di nove anni, ignara del mondo e conscia esclusivamente di quella parte di affetto che l'essere umano è riuscito a crearsi.

Augurai silenziosamente la buonanotte a quell'uomo e poi tornai a posare il mio sguardo sui due assassini. Cominciarono a scrutare attentamente ogni ostaggio, alla ricerca della preda più appettibile. Iniziai a credere che fosse un gioco, come quelli inventati da me e dai miei compagni il pomeriggio, dopo aver terminato i compiti. Nei loro occhi percepivo puro divertimento e subito pensai che tutto ciò che facevano era dettato da semplice innocenza. L'idea di partecipare ad un torneo nel quale l'ultimo rimasto avrebbe vinto un premio mi eccitava. In fondo quelle vittime non sarebbero rimaste immobili per sempre, era tutta una farsa. Fingevano allo stesso modo dei miei amici quando imitavamo poliziotti immischiati in una sparatoria. E quando uno di loro cadeva al suolo, vinto dall'eroe di turno, tutti noi ridevamo all'unisono. Eppure in quel momento nessuno abbozzò un sorriso.

Un'amara curiosità si insediò in me, desideravo ardentemente sapere chi sarebbe stata la prossima vittima. Chissà se sarei riuscita a guadagnare il primo posto. E chissà cosa avrei vinto in premio.

Intanto accettai di far parte di quel gioco un po' noioso, perchè lì la gente non sapeva divertirsi.

Poco dopo un suono sferzante e improvviso colpì l'aria. Subito mi toccai il cranio per accertarmi che non avessero colpito me, e mentre ero intenta a testare la mia sopravvivenza scorsi una donna che crollava al suolo con un tonfo tale da far sobbalzare anche coloro che dirigevano quel passatempo.
Alla visione di quella donna crollata in una maniera tanto goffa, quei due uomini vestiti di nero risero sonoramente con la bocca e con gli occhi, inarcarono la schiena e a stento riuscirono a trattenere i singhiozzi scaturiti dal troppo divertimento. Vederli così divertiti fece ridere anche me allo stesso modo in cui ridevo con i miei piccoli amici. Risi di gusto, con quella risata dolce e infantile che fa breccia in tutti i cuori. Ma non nei loro.

Violentemente uno dei due uomini mi si avvicinò con fare minaccioso e subito pensai che mi avrebbero ammonita per non aver rispettato le regole. Avrei dovuto capire che tutta quella gente non rideva perchè il regolamento lo impediva!

L'altro uomo, rimasto indietro e compiaciuto di ciò che stava per fare il suo collega, urlò qualcosa nella sua lingua e prontamente altri otto giocatori si fecero spazio tra i corpi posizionati disordinatamente nella stanza.

Bastò uno sguardo per riuscire a comprendersi. Qualche istante dopo quel gruppo di dieci uomini si dispose in cerchio attorno al mio corpo gracile e un po' insicuro. Percepii le mie pupille dilatarsi come era accaduto al signore anziano accasciato al mio fianco. I miei occhi divennero il riflesso di un presentimento che affiorava lentamente dai meandri del mio istinto nascosto. Ognuno di noi possiede l'istinto, ma questo si mostra quando c'è la maturità necessaria a permettergli di comparire trionfalmente. Il mio, purtroppo, si presentò all'età di soli nove anni.

Cominciai a tremare.

Ed io non avevo mai tremato per un gioco.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 15, 2015 ⏰

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