"Alzati stronzoo!" Urlo a mio fratello. Non mi è ancora chiaro come mai sono io a dover svegliarlo sebbene sia più vecchio di me. Vado in cucina a preparare la colazione, preparo il latte e metto due brioches in tavola. Vedo che Davide non si è ancora alzato dal letto, così decido di andare in camera sua, accendere la luce e, se non dovesse bastare, buttarlo per terra. La lampadina si brucia, sbuffo e apro le finestre. Quando la luce invade tutta la stanza lo sento mugulare "mmm.. che ore sono?" chiede con la voce impastata dal sonno. "Sei e mezza" rispondo con tono autoritario "ah, e quando torniamo da scuola devi cambiare la lampadina". Sorride mentre si alza dal letto. "Toccherà a te, ho gli allenamenti" risponde beffardo.
Odiavo il fatto che giocasse nella primavera del milan, non faceva mai niente. Avevamo iniziato entrambi a giocare a calcio da piccoli. Avevo sei anni e lui otto quando i nostri genitori ci portarono ad allenarci nel milan. Lui terzino, io centravanti. Ero brava quanto lui, forse di più, ma le ragazze e il mondo del calcio non sono poi così compatibili. O almeno questo era quello che pensava mia mamma. Quando avevo 12 anni la pregai di farmi continuare in una squadra femminile, ma era contraria. Mi portava ogni domenica a fare shopping, sperando diventassi più femminile. A 15 anni mi regalò un paio di scarpe con il tacco, per il matrimonio di una cugina. Litigai con mia madre poco prima di uscire e per ripicca decisi di infilarmi le scarpette da calcio. Se ne accorse in chiesa e, appena uscite, mi fece una sclerata. Ricordo ancora la frase che le dissi. "Se a 6 anni mi hai fatto andare a giocare a calcio, ora non puoi lamentarti se non sono una ballerina." Non appena si allontanò, non sapendo come ribattere si avvicinò a me mio fratello dandomi un cinque. Io e Davide avevamo un rapporto di amore e odio, tipico dei fratelli. Litigavamo? Si, certo. Ma quando uno dei due aveva bisogno, l'altro c'era sempre.
"Uffa!! Non fai mai niente" mi lamento mentre lo seguo verso la cucina. "La mia donnina di casa!" Sospira lui mentre beve il latte dalla tazza. Ed era vero, ero io la donna di casa, e lui l'uomo, anche se non c'era mai. Mamma e papà lavoravano sempre, dalle 5 di mattina alle 8 di sera e quando tornavano erano stanchi, non avevano tempo per i figli. Era così da ormai due anni, da quando avevo 14 anni.
"Dai muovi il culoooo" urla mio fratello dalla macchina. Chiudo la porta di casa e salgo al posto del passeggero. "Che bello che è da quando hai preso la patente!" Gli dico dandogli un bacio sulla guancia. Mi lascia davanti al liceo scientifico e raggiunge la sua scuola. "Giuuu" mi saluta Marco saltando facendosi perno con la mia spalla. "Heey" lo saluto io abbracciandolo. "Oggi partitella?" Mi chiede con un sorriso da orecchio a orecchio. "E me lo chiedi pure?" Rispondo io. "Alle 4 al campo" dice facendomi l'occhiolino e lasciandomi davanti alla mia classe.