E poi in un freddo pomeriggio di Novembre, misi il cappotto, presi il cellulare con gli auricolari e chiusi la porta di casa alle mie spalle. Era uno di quei pomeriggi nei quali non si ha la testa per studiare ed è per quello che decidi di uscire. Appena misi un piede fuori casa, sentii l' aria gelida scagliarsi contro le mie guance rosee, le quali si raffreddarono di colpo. Tirava un forte vento, che faceva muovere con forza le chiome dei grandi alberi, come se fossero fantasmi che fluttuavano nell' aria. Le foglie cadute dagli alberi, gracili ormai morte, sembrava che stessero per riprendere vita danzando in un vortice frenetico ai margini della strada. Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse in grado di essere maestosa la nostra Madre Natura. Enormi nubi tetre correvano velocissime con una potenza mai vista prima. Erano rabbiose e agitate. Pensai che se al posto di proseguire per la loro strada avessero deciso di cambiare direzione e giungere fino al suolo, avrebbero distrutto intero territori. Tutto ciò che mi era possibile vedere era opera del vento. Lui non c'è, mai si sente. È assurdo come un qualcosa di invisibile sia una vera e propria forza della natura. Il freddo mi obbligò a farmi estrarre dalla soffici tasche le mie mani, per tirarmi un po' più su la morbida sciarpa di lana che avevo preso pochi istanti fa, dall' armadio di mia madre. Anche se il clima sembrava volermi ostacolare, decisi di continuare la mia uscita. La città era deserta. Sembrava che io fossi l' unica persona sopravvissuta sulla Terra dopo una terribile guerra. Solo in quell' istante mi ricordai di avere portato con me il cellulare con gli auricolari, e al contrario di ciò che avrei fatto di solito, mi imposi che non li avrei utilizzati. Non volevo interrompere quella sintonia che si era creata tra me e la natura. Era una sorta di rispetto. Io ero uscita di casa con il desiderio di rimanere sola, ma tutt'un tratto ho incontrato lei e ora mi dispiace abbandonarla, tradendola con la musica. Magari la natura aveva fatto in modo di incontrarmi. Vidi una panchina sulla riva del fiume che attraversa la città. Decisi di raggiungerla per sedermici. Chissà se potesse parlare quanti segreti mi svelerebbe. Quante promesse non mantenute, quanti sorrisi trasformati in baci, quanti arrivederci divenuti addii, quanti litigi mutati in scuse... Tutto questo poteva raccontarlo una semplice panchina di legno ricoperta di vernice verde. Il vento stava calando, mentre il buio della sera stava avanzando. Ora dovevo rientrare a casa. Promisi a quel pomeriggio ventoso, di non dimenticarlo mai.