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Mi svegliarono delle voci sommesse, ma non osai aprire gli occhi. La mia mente si mise subito in stato di allerta e divenni tutto a un tratto completamente vigile, senza residui del sonno dal quale mi ero appena distaccata. Volevo ascoltare quello che dicevano. Provenivano dall'altro lato della stanza e sembravano appartenere a tre persone diverse.

«Mi dispiace tanto, ok? Non provare a farmi sentire in colpa, ragazzino.»

Rabbrividii nel riconoscere la voce del ragazzo che aveva tentato di uccidermi. Sembrava scocciato e leggermente in ira con qualcuno.

Si udì una risata, poi una voce che non conoscevo disse con tono accusatorio: «Non è vero che ti dispiace, Dante.» Era più piccola delle altre. Non proprio come quella di un bambino, ma sembrava appartenere, forse, a un adolescente.

«Tu non dovresti essere qui, piccoletto» osservò Dante con un tono più scocciato di prima, profondo come solo l'oceano poteva essere.

«Abbassate la voce, ragazzi. Lei ancora dorme.» Questa volta riconobbi Ace, l'uomo che mi aveva portato in quella stanza.

«Sai quanto me ne importa.»

«Ha ragione Ace» affermò il ragazzino in uno sbadiglio. «Penso che dovremmo dormire anche noi, a questo punto.»

«Andate pure, io resto.» A quelle parole, provenienti dalla voce ghiacciata, il mio cuore accelerò.

«Dante, se credi che ti lascerò qui da solo, ti sbagli di grosso» osservò tranquillamente il capo.

Dante sbuffò e borbottò qualcosa che non capii. Per fortuna Ace aveva quel tanto di buonsenso che bastava da non lasciarmi con quel ragazzo senza supervisione.

Rimasero in silenzio per un po' e alla fine mi riaddormentai.

Mi risvegliai il giorno dopo, quando qualcuno bussò alla porta. L'orologio digitale che stava a fianco al letto segnava le otto del mattino, lampeggiando le sue scritte con un colore verde acido, fastidioso per gli occhi appena aperti. Pensai a mia madre, che la sera prima mi aveva aspettata in ansia. Chissà adesso come si sentiva, non vedendomi tornare. E Valeria? In quel momento stava entrando in classe, mi avrebbe attesa al nostro banco come tutti gli altri giorni?

Tremai, ma mi ripresi in fretta, vedendo la porta che si apriva. Decisi che non mi sarei mostrata impaurita, avrei mantenuto la mia dignità fino alla fine, guardando il mio assassino sempre diritto negli occhi. Chi entrò, però, mi colse di sorpresa, facendo saltare in aria tutte le mie convinzioni coraggiose e la mia espressione neutra ma decisa.

«Buongiorno» esclamò una vocina. La stessa del ragazzino che avevo sentito quella notte.

Sembrava volesse ispirare fiducia, quindi gli risposi titubante dandogli il buongiorno.

«Io sono Gabriel, piacere» disse tendendo la mano piccola e affusolata. Non sembrava minaccioso, ma non mi fidavo, quindi evitai di toccarlo e mormorai solo: «Lucrezia.»

Il ragazzino parve rimanerci male, ma non disse nulla. Approfittai del momento di silenzio per osservarlo meglio. Aveva i capelli biondo cenere che gli ricadevano sulla fronte in ciocche spettinate e gli occhi color del mare che esprimevano speranza. Quella speranza che solo i bambini hanno. Subito capii che voleva mostrarsi adulto, ma dentro era ancora perso nella reminiscenza dei sogni di un bambino. Chissà cosa ci faceva in quel posto di matti che ancora non ero riuscita a identificare.

«Ti va di fare colazione?» propose, porgendomi un vassoio con dei cornetti, del caffè, due pezzi di pane morbido e della marmellata. Il mio stomaco rispose per me, brontolando. Fino a quel momento non mi ero accorta di avere fame, ma effettivamente non mangiavo da un po'. Mi chiesi da dove provenisse il cibo, mentre prendevo con cautela un cornetto dal vassoio per poi rigirarmelo nella mano con attenzione.

The Changers - EtereaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora