Gatsby era ancora lì, nella penombra del mio salotto e mi fissava come a cercare di convincermi a commettere qualcosa di scorretto insieme a lui. Pensai che il suo sguardo era troppo naturale e spontaneo. Quante altre persone aveva piegato al suo volere? Se l'avesse fatto e se le ragioni fossero state sbagliate, ora non importava più.
«E va bene, facciamolo.»
Quando arrivai ad East Egg, poco più tardi, mi ritrovai a girovagare per le stanze di casa Buchanan, in cerca di Tom e Daisy. Li trovai dietro una grande porta che, sfortunatamente, li nascondeva alla mia vista. Questo però non rese difficile capire cosa stesse succedendo all'interno: Tom misurava la stanza a grandi passi e gridava parole rabbiose e sconnesse e si interrompeva solo per abbassare la voce, come se stesse tentando di frenare l'evidente furia che lo riempiva. Doveva esserci anche Daisy con lui perché pur senza senso, sembrava che le sue frasi fossero dirette a qualcuno.
«A cosa diavolo stavi pensando? Io non...» riprese a camminare e borbottò così basso che non riuscii a sentirlo. Presi coraggio e bussai.
«Ma chi- avanti» dalla sua risposta capii che era oltremodo seccato di essere stato interrotto, ma ormai non potevo voltarmi e andare via.
«Nick..» la sua espressione tradiva una sorpresa che non mi aspettavo di scorgere nei suoi occhi. «...cosa ti porta qui a quest'ora?»
Per la prima volta da quando ero entrato, mi accorsi della presenza di Daisy. La sua postura lasciava intendere che non aveva gradito le parole che non ero riuscito ad udire e lo stesso dicevano i suoi occhi, rossi di pianto.
Appena vide il mio sguardo, cambiò espressione e quando parlò nella sua voce non c'era più traccia di debolezza e lacrime.
«Nick, tesoro, sei qui per vedere Jordan?»
Scioccato da quel cambiamento, mi tornò in mente la domanda che mi ero posto riguardo l'espressione di Gatsby. Valeva anche per lei?
«Be' veramente no, volevo parlare con Tom...» spostai lo sguardo su di lui «...in privato.»
Cercai di essere quantomeno gentile nello spedire fuori da una stanza la padrona di casa, ma non ci badai troppo. Sapevo che Gatsby la stava aspettando nel corridoio appena fuori la sala, ma ciò che non sapevo con precisione era quale sarebbe stata la sua reazione. Questo, mi turbò. E fu inevitabile pensare a quanto rischioso fosse ciò che avevamo messo in atto. Gatsby mi aveva lasciato comprendere da me i pericoli e ciò che sarebbe accaduto se avessimo fallito ma io, da eterno ottimista, mi ero garantito come consolazione il pensiero che non era una tale impresa da comportare la reclusione o addirittura la morte. Naturalmente, come ho già sottolineato in precedenza, avevo capito fino a che punto era stata cambiata la mia vita da quei pochi avvenimenti estivi, ma solo lì, in una sera d'inizio autunno, mi accorsi che solo pochi mesi prima ero a malapena un ex soldato di guerra, ma principalmente qualcuno che cercava un suo posto nel mondo. Ma in quel momento, nella sala di una grande residenza, nella zona più ricca fuori New York, tutti avevano il loro posto.
E io, cos'ero?
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The Great If
Romance«Nell'angolo del grande salotto una giovane donna sorseggiava un cocktail color tramonto concedendo di tanto in tanto teneri sguardi a chi, estasiato da cotanta bellezza si fermava ad osservare quella magnifica creatura che, silenziosa e posata muov...