Sentii dall'altro capo del telefono la voce femminile che gridava e Dan che cercava di calmarla. Avrei tanto voluto sapere cosa stava succedendo durante quella telefonata, ma il buonsenso ebbe il sopravvento, convincendomi a non origliare. Nella mia mente frullavano mille pensieri.
"E se fosse fidanzato?"
"Va bene, sono appena andata in marina con uno sconosciuto per lo più fidanzato, complimenti Elisabeth, complimenti davvero"
"Ora me ne vado, al diavolo Dan"
Non feci in tempo a formulare altre ipotesi che vidi Dan chiudere il cellulare appoggiandolo sul tavolo. Decisi di non fare domande, e cercai inutilmente di scacciare i pensieri che alleggiavano nel mio subconscio. Dan riprese a parlare, come se nulla fosse successo, e io feci lo stesso.
Passai così la mattinata, al tavolo con un perfetto estraneo.
Erano le 2 ormai, e capii che era ora di andare. Presi lo zaino, e senza fare troppe domande mi diressi verso la porta vetrata. Venni afferrata per la manica della felpa, e mi ritrovai fra le possenti braccia di Dan. Mi fece voltare, e ci ritrovammo a pochi centimetri l'uno dall'altro. Mi guardava, ispezionando ogni centimetro del mio viso, facendomi avvampare. Distolsi lo sguardo e guardai altrove.
"Non sono mai stata brava con i saluti" sentenziai, cercando di interrompere il silenzio che si era creato.
"Avevo notato"
Era sulla difensiva. Poteva sempre chiedere a Jenn, o come cavolo si chiamava, un saluto. Perché si ostinava a trattenersi con una come me, se poteva avere tutte le ragazze che desiderava? Notai delle ragazze al tavolo affianco al nostro, che bisbigliavano lanciando i loro sguardi nella nostra direzione. Una delle ragazze, con una folta capigliatura mora si alzò dalla sedia, e per un attimo pensai che ci avrebbe raggiunto, invece andò al balcone, cercando di attirare gli sguardi di Dan sul suo fondoschiena tristemente strizzato in dei pantaloni di almeno due taglie più piccoli. A suo malgrado, Dan tenne gli occhi fissi su di me, e ne fui contenta.
"Credevi di poter andartene così?"
"Saggia deduzione, Detective Dan" dissi scherzando.
"Beh, non credo proprio" rise. Tiró fuori un foglio e una biro dallo zaino, scrisse suo numero e me lo porse.
"Chiamami quando vuoi Miss Gentilezza"
Sorrisi, in parte contenta del suo gesto.
Presi il foglio e lo ficcai nella tasca del jeans. Presi nuovamente lo zaino, salutai Dan con la mano e varcai la porta d'uscita.
Appena tornai a casa, lanciai scarpe e zaino davanti all'uscio, e mi chiusi nella mia stanza. La mia camera era piuttosto piccola, in parte occupata da degli armadi strapieni di capi rigorosamente neri. Le pareti erano coperte da poster dei The Script, Rihanna e Eminem, foto che ritraevano le mie vacanze passate e orari del bus. Mi distesi sul letto, e pensai a tutto ciò che era successo nelle ultime 8 ore. Mi addormentai con il viso immerso nel cuscino, sperando di sognare qualcosa che non fosse Dan. Negavo a me stessa che mi piacesse, non poteva succedere. Una come me, con uno come lui? Anzi, uno come lui, con una come me? Impossibile. Ne sarei uscita sconfitta e io volevo essere vincitrice. Nel gioco dell'amore ero sempre io a decidere le parti ed ero sempre stata cacciatrice, mai preda. Le prede sono vulnerabili, pronte ad essere uccise da un momento all'altro, e non volevo rischiare l'inevitabile. Troppe volte avevo sofferto, e solo un masochista avrebbe lasciato che succedesse di nuovo. Frugai nella tasca anteriore dei jeans, e trovai il biglietto. Lo lessi.Dan
719-281-228Mi attraversó la mente il pensiero di chiamarlo, ma non potevo rischiare che iniziassi a provare qualcosa che non potevo controllare, anche se una parte di me sapeva che era inevitabile. Strappai il biglietto e lo gettai.
Tornai al piano di sotto e accesi la televisione, cercando qualsiasi programma che potesse distrarmi. Ad un tratto sentii bussare alla porta, mi alzai con fatica dal divano ed andai ad aprire. Era Duncan.
"Duncan!" Escalmai abbracciandolo come di consueto. Rimanemmo così per qualche secondo, con le sue grandi mani che mi cingevano la vita e il mio viso posato nell'incavo della sua spalla.
Duncan era la mia roccia, l'unica certezza su cui potevo sempre contare. Ci consideravamo fratelli e tutti ormai si erano abituati a vederci perennemente insieme.
"Sera Beth!"
"Non ricominciare, sai che non sopporto i soprannomi"
"Qualcuno oggi si é alzato con il piede sbagliato?"
"Si.. Scusa, é che la mia testa é talmente piena di pensieri che penso sia sul punto di esplodere"
Duncan rise e si distese sul divano.
Incominció a mordicchiarsi il piercing che portava sulle labbra, guardando con disinteresse un programma sulla storia della Terra.
"Che succede, o meglio, chi devo pestare?" Chiese con un lieve impeto di preoccupazione.
Duncan aveva 3 anni più di me ed é sempre stato il mio punto di riferimento. Era sempre protettivo nei miei confronti, non riusciva a metabolizzare nulla che potesse farmi del male, era come un fratello maggiore, una sicurezza costante.
Risi, cercando di mascherare la tensione.
"Niente di che Dunc"
"Sputa il rospo"
"Insomma, c'è un ragazzo.."
Sbiancó di colpo, e smise di mordersi il labbro per spostare il suo sguardo verso di me.
"Che c'è?"
"Niente"
"Dimmi" intimai
"Niente cazzo, niente" si alzò di scatto, stagliandosi davanti a me. Duncan é sempre stato di corporatura forte ed era per questo che incuteva terrore a chiunque. Strinse i pugni e incroció le braccia, ricominciando a mordersi il labret.
Non avevo mai capito completamente Duncan. Era lunatico, poteva cambiare umore in una frazione di secondo e con me non faceva eccezione. Nessuno capiva Duncan e nemmeno i sentimenti che provava verso di me. Molte volte ci eravamo trovati sul punto di essere più che semplici amici, ma la paura di rovinare il nostro rapporto da parte mia era troppo per correre il rischio di perderlo.
"Chi é?" chiese secco
"Perché dovrei dirtelo? E comunque smettila di comportarti come un bambino, diavolo Duncan"
"Ti ho chiesto chi è"
Mi scrutava con i suoi grandi occhi marroni, quasi costringendomi a rispondergli.
"Dan" dissi risoluta sperando di mettere fine a quell'inutile scenata
"Dan Arthur??" Domandó quasi urlando
Non risposi e Duncan mi guardó freddo, un lampo di rabbia gli percorse gli occhi.
"Cosa centri tu con Dan? Che cazzo ti ha fatto?" Domandó cercando visibilmente di mantenere la calma.
Contraeva la mascella ad ogni respiro, inspirando a pieni polmoni.
"Dan non mi ha fatto assolutamente nulla!"
"Ti piace!"
"Io, cioè.. Non.."
"Elisabeth, ti rendi conto di cosa cazzo stai combinando? Non sai chi é realmente! Non puoi farmi questo, siamo amici da una vita!"
"E tu cosa ne sai di lui? Duncan smettila!"
"Beth, non posso dirtelo, davvero, é qualcosa più grande di te che non puoi gestire!"
"Allora dacci un taglio! Non devi darmi ordini su chi devo frequentare!"
I muscoli di Dan pulsavano da sotto la maglietta, ogni sua cellula era tesa, pronta a sbottare. Capivo quando Duncan era al limite, e sapevo quando la discussione giungeva al termine prima che potesse prendere a pugni qualcuno o qualcosa. Ma prima che io potessi mettere fine alla discussione, Duncan sbottó.
"Porca puttana Beth! Vuoi sempre fare di testa tua! Voglio solo proteggerti ma vedo che é più importante un coglione come Dan di me! Al diavolo!"
Uscì sbattendo la porta, e poco dopo sentii il rumore del motore della motocicletta scomparire in lontananza.Duncan
Beth non poteva sapere, non doveva sapere. Non volevo che il mio passato e quello di Dan soprattutto potesse ferirla. Volevo tenerla lontano da qualunque cosa avesse potuto farle del male.
Non potevo ancora crederci. Non volevo crederci. Speravo che tutto fosse stato un terribile malinteso, ma lo sguardo di Beth non riusciva mai a mentirmi.
Fin dai primi tempi del college fra me e Dan non scorreva buon sangue. Era fra loro, quel 5 settembre. Quel giorno mi trovavo nei sottoborghi di Manhattan, per concludere una compravendita di marijuana, da gente molto poco raccomandabile. Mi trovavo fra ubriachi e cocainomani, intento a prendere quella merda ed andarmene al più presto possibile. Ero piccolo allora, avevo soltanto 16 anni quando mio fratello maggiore mi costrinse a procurargli la droga. Non avevo paura, volevo soltanto portare a termine la vendita, quando ad un tratto degli ubriachi si avvicinarono a noi. Eravamo seduti in un angolo nascosto dalle pattuglie della polizia che setacciavano il territorio minuziosamente, decisi a scovare gli spacciatori principali del circolo degli stupefacenti. Non seppi mai esattamente cosa successe, ma ricordai soltanto di aver udito qualcuno gridare:
"Piccolo figlio di puttana, levati da lì!" riferendosi a un bambino, probabilmente fratello minore di qualche spacciatore, disteso a terra.
L'urlo proveniva da uno degli ubriachi che gli sferrò un calcio in pieno addome. Il bambino si raggomitolò su se stesso con il fiato mozzato in gola, cercando di nascondere il dolore. Piangeva sommessamente, rannicchiato sopra un pezzo di cartone sudicio. Non ci vidi più, non potevo lasciare che tutto ciò accadesse senza che quel pezzo di merda non ne avesse pagato le conseguenze. Tirai un pugno in pieno viso all'ubriaco che si accasciò a terra imprecando. Gli spacciatori, udendo la rissa, scapparono in tutte le direzioni, cercando di nascondersi dal possibile arrivo delle volanti. I compari dell'ubriaco ormai svenuto lo soccorsero, caricandolo sulle loro spalle possenti. Erano in 5, e non conobbi mai né le loro identità né il loro aspetto, tranne di uno. Era un ragazzo, piu o meno della mia stessa età, con dei folti capelli castani che gli ricadevano sul viso e due grandi occhi verdi. Stava nascosto dietro uno di quegli energumeni, probabilmente suo fratello, cercando di intravedere cosa fosse successo. Quando rimasi lì, da solo in quel posto sudicio pieno di cucchiai e siringhe, i compagni del ragazzo che avevo colpito mi minacciarono di farmela pagare, ma lui non disse nulla. Rimase imperterrito a guardarmi, per poi correre via insieme agli altri appena si accorse delle sirene che si avvicinavano dal fondo della strada.
Non sapevo cosa fare, non potevo essere arrestato. Non c'erano vie di fuga da quel posto. Era un sottopassaggio nascosto per evitare sguardi indiscreti, ero in trappola. Mi accasciai a terra nascondendo l'erba nella tasca interna dei pantaloni, aspettando il momento in cui sarei potuto scappare. I cani antidroga probabilmente mi fiutarono, perché pochi minuti dopo una pattuglia di poliziotti mi puntó le torce addosso, intimandomi di alzare le mani.
Mesi dopo aver scontato la pena nel riformatorio minorile del Mexico tornai a Manhattan dai miei fratelli ma soprattutto da Beth. Lei non seppe mai nulla di tutto questo, non doveva sapere. Ritornai alla MTH come se nulla fosse mai successo, finché un giorno, sfogliando l'annuario scolastico vidi un volto familiare.
Lo riconobbi all'istante.
Era lui.
Dan Arthur.Spero che il capitolo vi piaccia! Continuerò a 4 commenti e 5 voti
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Something New
RomanceUn'adolescenza travolgente, spinge Elisabeth a cambiare, a smettere di esistere e ad iniziare a vivere. In un giorno che sembra uno dei tanti, conosce Dan, 19enne in fuga da un passato turbolento che Elisabeth fatica a comprendere. Fra i due nasce u...