COME LORO NON SARAI MAI

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Domani ricomincia la scuola. E io non ho neanche aperto il libro di filosofia. Ma adesso non mi importa

Mi ficco gli auricolari nelle orecchie e accendo l' iPod. La musica, medicina e veleno dell' uomo, ma soprattutto fidata compagna di vita.
Alzo il volume e ascolto il mio gruppo preferito, mi lascio accarezzare e coccolare dalle note conosciute e dalla voce tanto amata.
Così forse non penserò, né alla filosofia né ad altro.

A volte pensare per me è qualcosa di profondamente doloroso. E oggi è una delle mie giornate no. Non è successo nulla di particolare, se escludiamo la scomparsa del cd dei My Chemical Romance, che temo sia sparito per sempre. È semplicemente uno di quei giorni in cui il mondo gira male, quantomeno il mio, e io lo guardo da lontano, sentendomi un'estranea.

Un'estranea in mezzo a un mondo di uguali. Quello che faccio, tutto quello che mi accade, mi ricorda che io sono deliversa. Ogni piccolo episodio, ogni parola, è come un urlo che squarcia il silenzio e che ribadisce la mia diversità. Un urlo crudele che mi ripete continuamente: ti manchera sempre qualcosa. E come loro, non sarai mai.

Oggi a pranzo, per esempio: mio padre aveva perso la sua agenda e dopi un po' l'ha ritrovata Elena, sotto una pila di carte sparse sul tavolo, mentre lui la cercava invano e la mamma era in cucina a preparare il pranzo.

<< Era sotto i fogli accanto al raccoglitore, papi >> gli ha detto, porgendogliela.
Lui l'ha presa, battendosi laano sulla fronte ornata di ciuffi biondi.

<< Ma certo, che scemo! L'avevo messa lì prima....>>

Quindi si è avvicinato a Elena e le ha accerezzato la testa e la guancia, quasi fosse ancora una bambina.

<< Grazie, angelo mio >> le ha sussurrato. La mamma si è girata a guardarli, sorridendo, con un'espressione serena e Amorevole.

Sembravano appena usciti da una pubblicità. Erano perfetti, bellissimi, affiatati....
Io ero sulla porta a guardare questa commovente scena di intimità familiare.

Da fuori. Io non ne facevo parte.
Ero sotto l'arco della porta. Ai confini della stanza. Ai confini della loro vita. Come un ospite indesiderato che guarda dal buco della serratura un mondo e una vita di cui non fa parte e in cui non si riconosce.

Sospiro mettendo una canzone più romantica, che possa consolarmi, chiudo gli occhi e mi vedo, presa per mano dalla melodia, abbracciata da mille note di chitarra e di basso.

In quell'istante di pace mia sorella irrompe nella stanza come una furia. Spalanco gli occhi spaventata e lei urla qualcosa che non sento.

<< Eh? Cosa? >>

Mi strappa gli auricolari.

<< Ehi! Ma che fai? >> protesto.

<< Quante volte ti ho detto che non devi prendere le mie cose? Sei la solita casinista, e ora io sono in ritardo! >>

Si mette a rovistare tra i miei cassetti.

<< Ma che cavolo dici? Io non ho preso niente di tuo! >>

Continua a buttare all' aria le mie cose, aumentando, se possibile, il caos che regna nella stanza.

<< Elena, ma dico, piantala! Che accidenti cerchi? Smettila subito, io non prendo mai le tue cose! >>

<< Si, come no, il mio caricabatterie non l'ho visto per tre settimane prima che tu me lo restituissi. >>

<<Ma te l'avevo chiesto! Fermati, ascolta...>>

Mi piomba in faccia una felpa, direttamente dall'armadio, che mia sorella sta smontando come fosse uno scaffale dell' Ikea. Ora mi arrabbio.

<< Senti, potrei almeno sapere cosa stai cercando? >> chiedo educatamente da sotto i tre strati di vestiti che ormai mi ricoprono.

<< I miei jeans bianchi con le tasche.>> Adesso la gonfio.

<< Ah, ecco! >> dico invece in tono molto calmo. << Quelli che non metterei mai neanche sotto tortura e che soprattutto sono in bella vista nella cesta dei panni da stirare da almeno quattro giorni.>>

La pioggia di vestiti si interrompe.
L' angelo biondo con cui mio malgrado condivido l'esistenza mi guarda.

<< Potevi dirlo prima.>>
<< Potevi chiedere! >>
<< Calmati ora.>>
<< Calmarmi, io?! Sei tu che dai di matto per ogni sciocchezza, un angeli che si comporta da demone, ecco cosa sei! >>

Si irrigidisce, stringe le labbra in una smorfia di stizza.

<< Sei una stupida. Su certe cose nln si scherza.>>

Esce sbattendo la porta, amareggiata più che arrabbiata. Io non capisco, cosa ho detto di così letale, di così tremendo?

<< Elena, cosa ho detto di male? >>
Apro la porta e la inseguono per il corridoio, inciampo in un vado ( troppi vasi in questa casa).

<< Rispondimi, che cosa ho detto? >>
<< Niente, niente. >>

Si passa una mano tra i capelli biondo grano. Vuole liquidarmi, ma io continuo a seguirla.

<< Elena, dimmelo.>>
<< È inutile. Tanto non capiresti! >>

Mi fermo.
Una bastonata tra capo e collo. Lei sa che peso hanno queste parole su di me. E sa bene come approfittarne.
Abbasso la testa e torno sui miei passi.
Mi chiudo in camera.
Gli occhi bruciano.
E le mani.
E la testa.
E le labbra.
E i pensieri.
Io non capirei. Io non posso capire.
Quante volte ho sentito questa frase?
La prima volta, avrò avuto sei o sette anni.

<< Mamma, perché voi avete le ali? >> chuesi un giorno. Lei era appena uscita dalla doccia e io osservavo la sua schiena nuda, così diversa dalla mia.

<< È una storia lunga e complicata, tesoro. Non la capiresti. >>

<< Papi perché le vostre ferite guariscono subito? >> domandai una sera. Ero caduta dalla bicicletta e lui mi stava disinfettando il ginocchio.

<< Oh, piccola, è troppo difficile da spiegare, non capiresti. >>

Troppe volte, ormai ho perso il conto.
Ma ogni volta mi ricorda che io non sono come loro.
Che la mia storia è un' altra.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 11, 2015 ⏰

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