Capitolo II

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Mi sveglio carica di energie. È mattina, ma qui non c'è nessuno. Mi alzo e dopo qualche istante, riesco a stabilizzarmi sulle gambe. Abbasso lo sguardo. Sono vestita esattamente come ieri, appena arrivata. Degli scomodi pantaloni e una maglia che ha proprio bisogno di una bella lavata. Come me.

-Ti sei ripresa in fretta, vedo.- È appena entrato il ragazzo che lavora qui. Credo.
-Ho bisogno di un cambio di vestiti e di una doccia.- affermo. Uso un tono che non ammette repliche.
-Niente doccia durante il giorno. Per quanto riguarda i vestiti ci sono solo cose per ragazzi. - Sembra imbarazzato.
-Non ci sono altre ragazze?-
-No...- Per quanto cerchi di non darlo a vedere, questa cosa mi preoccupa parecchio.
-Vanno bene lo stesso.-
-Okay, seguimi. Quando avrai finito di sistemarti, ti porteranno a fare un giro completo della Radura. Per ora niente domande.- La...Radura?
-Ma siete tutti così seri, qui?- Non mi risponde.

Mi accompagna davanti a un capanno, dove probabilmente tengono i vestiti.
-Tra dieci minuti mando qualcuno a prenderti.- esordisce. Entro decisa a fare più in fretta possibile, per non correre il rischio di essere sorpresa da qualche ragazzo mentre mi cambio. Trovo una casacca scura senza maniche, dei pantaloni kaki e persino un orologio digitale. Infilo i miei capelli neri in una treccia.

Non avendo voglia di aspettare, mi incammino da sola, anche se non ho la più pallida idea di dove andare. Questa "Radura" sembra essere cinta da un alto muro. Arrivo dove le pareti s'interrompono, per lasciare un'apertura. Oltre riesco a scorgere solo un lungo sentiero. Che cosa c'è davvero là fuori? Sono curiosa di uscire e scoprirlo e sto per farlo, ma una voce allarmata mi ferma.
-Ehi, dove vai? Caspio, non puoi andare nel Labirinto! Finiremo nei guai tutti e due!- Mi giro e mi ritrovo di fronte a un paffuto ragazzino di tredici anni, circa.
-E tu chi sei?- chiedo.
-Mi chiamo Chuck e mi hanno incaricato di farti fare un giro.- dice timidamente, perdendo tutta la foga di prima.
-Almeno tu ti ricordi il tuo nome.- sospiro.
-Tranquilla fagio, all'inizio è così per tutti.- Rassicurante.
-Perchè tutti mi chiamano così? Fabio, intendo.- domando con un moto di stizza.
-È il modo in cui chiamano l'ultimo arrivato. Prima di te era Thomas.- conclude rattristandosi. Lo so che lo conosco da appena cinque minuti, ma già non sopporto vederlo giù di tono, così cambio argomento.
-Va bene, andiamo, mostrami questo maledetto posto.-

Mi fa fare un lungo e noioso giro, mentre mi spiega cosa mi è successo. In breve ciò che ho capito è che ogni mese, una volta sola, la 'Scatola' si apre e porta provviste, tutto quello di cui si può aver bisogno, e un ragazzo. Si sono organizzati come una società vera e propria: qui ognuno ha il suo ruolo e riescono a essere abbastanza autonomi. Fuori dalla Radura c'è un labirinto. Anzi, il Labirinto.

È stato esplorato e mappato ogni giorno per trovare una via d'uscita, ma siamo ancora qui. Due giorni prima che arrivassi io, la statola ha portato un ragazzo, Thomas, che sembrava il ragazzo adatto a trovare una via d'uscita. È stato ucciso da un ragazzo con la mutazione. Questo non se lo aspettava nessuno, nemmeno i Creatori, sembra, cioè le persone che ci hanno rinchiuso qui e ci osservano costantemente. Questo pensiero mi mette i brividi.

-Mi hanno parlato di un biglietto. Che cosa hanno trovato vicino a me?- domando curiosa.
-È meglio che tu non lo legga...- risponde incerto. Probabilmente gli hanno proibito di riferirmelo e non credo l'abbiano fatto leggere neppure a lui.
-Okay.- dico, ma non mi arrendo. Sento di dover vedere quel messaggio. -Cos'è la mutazione?-
-Ecco, è il motivo per cui solo i velocisti possono andare nel labirinto: i Dolenti. Hanno degli aghi velenosi alla fine della coda, come gli scorpioni. Se vieni punto inizia nel tuo corpo la mutazione e se non prendi l'antidoto in tempo, beh...hai capito.- spiega. Annuisco. Intanto siamo arrivati a una parete di pietra del labirinto.
-Perchè si chiamano così, i Dolenti intendo?- Lui aggrotta la fronte. Non penso si sia mai fatto questa domanda.
-Perchè portano dolore, credo. Comunque qui ogni Raduraio incide il proprio nome quando arriva.- Camminando ci siamo avvicinati a una parete. Prima non me ne ero accorta, ma sul muro ci sono delle incisioni. Dei nomi. Ce ne sono aluni cancellati, devono essere morti.

Il mio nome. Mi concentro. Appare nitido nelle mia mente: Marie. Arriccio il naso. So che quello è il mio nome, eppure lo sento come estraneo. Guardo i nomi degli altri ragazzi, incisi sulla pietra. Leggendoli qualcosa mi si accende nel cervello, come una lampadina. Ma cosa?

Prendo il martello e la pietra appuntita che Chuck mi sta porgendo. Chuck. Di nuovo quella sensazione.
-Te lo ricordi, ora?- mi chiede. Sussulto, poi capisco che allude al mio nome. Marie, come Marie Curie. Thomas, il ragazzo che è morto, come Thomas Edison. Chuck, da Charles Darwin. Leggo uno dei nomi inciso, uno dei più vecchi, a giudicare dai bordi delle lettere più smussati: Alby. Questo è più difficile. Albert Einstein. Nomi di scienziati. Si può fare così per tutti.

Non sono i nostri veri nomi. Ce li hanno infilati nella testa in qualche modo. Mi giro per dirlo al giovane Raduraio, poi mi blocco. Non trovo giusto togliergli una delle sue uniche certezze. Inizio a incidere, decisa a non darla vinta ai creatori.

Che ne pensate? Lasciate un commento e fatemi sapere se vi piacerebbe sapere come continua la storia! Grazie in anticipo.



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