Una parte di te

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"Papá?"

Il bambino, di poco più di sei anni, fece capolino nel soggiorno con il suo pigiama azzurro, mentre si stropicciava un occhio con la piccola mano. Thomas alzò subito la testa, abbandonando la sua precedente occupazione - leggere il giornale -, per concentrarsi su quel bel bimbo che era suo figlio.

Gli sorrise. "Dimmi piccolo"

"Non riesco a dormire" disse il bimbo, anche se lo sbadiglio che aveva appena fatto tradiva la sua stanchezza.

Thomas si alzò e si avvicinò al piccoletto, per poi prenderlo in braccio e sedersi sul divano.

"Cosa succede? Hai fatto un brutto sogno?" gli chiese, mentre gli accarezzava i capelli mori, così simili ai suoi.

Il bimbo negò.

"E allora cosa c'è?" domandò ancora Thomas, senza perdere il suo tono gentile.

"Volevo chiederti una cosa" ammise, mentre si accoccolava meglio contro il petto del padre.

"Sai che puoi chiedermi qualsiasi cosa, vero?"

"É il mio nome" disse il bimbo, facendo mancare un battito al padre. "Gli altri bambini dicono che è strano, ma a me piace. Perché mi hai chiamato Newt?" chiese, puntando i suoi occhi in quelli del padre.

Thomas si prese qualche secondo prima di rispondere e, quando lo fece, il sorriso che esibiva era triste, troppo, per una storia legata ad un semplice nome.

"Newt era il mio migliore amico, insieme allo zio Minho, quando andavo a scuola" spiegò.

"E poi? Avete litigato?"

Thomas scosse la testa. "No, non abbiamo mai litigato, eravamo davvero uniti. Ma Newt era malato, aveva la stessa malattia della mamma di Emma, la tua amichetta. Per un po' è riuscito a combatterla, ma poi non ce l'ha più fatta" finì, la voce ormai incrinata dal dolore.

"Perciò adesso è lassù" disse Newt puntando un ditino verso l'alto "con la mamma di Emma?"

Il padre annuì. "Proprio così"

"Gli volevi bene?"

L'uomo sorrise. "Molto"

Un secondo sbadiglio del bambino fece intenerire il padre.

"Ora vai a letto, campione"

"Va bene. Buona notte, papà"

"Buona notte, piccolo"

Lo mise a terra e il bambino se ne andò nella sua cameretta, ma non prima di avergli schioccato un bacio sulla guancia.

Thomas rimase seduto sul divano, la mente persa nei ricordi. Quelli del liceo erano stati gli anni migliori, aveva conosciuto Minho e Newt e con loro si era divertito da matti. Poi però aveva scoperto della malattia di Newt - un caspio di cancro al cervello ormai in stato avanzato - e tutto era precipitato. Se le ricordava ancora, le notti passate in ospedale con Minho, pregando che Newt ce la facesse, come si ricordava anche i pianti infiniti e gli incubi popolati dalla sua più grande paura - perdere il ragazzo biondo. Cercavano di farsi forza l'un l'altro, lui e Minho, e non avevano mai perso la speranza. Quello che l'aveva persa, invece, era stato Newt. Gli aveva anche chiesto di staccare la spina di quelle cacchio di macchine che lo tenevano in vita, ma lui aveva rifiutato, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Non a lui.

Dopo la sua morte, aveva provato ad andare avanti, a dimenticare, ma non ce l'aveva fatta e il bambino che dormiva nella stanza adiacente ne era la prova. Aveva deciso di chiamarlo come lui - il ragazzo che, ora riusciva ammetterlo, aveva amato - senza pensarci, gli era venuto istintivo. E, quando lo guardava, mentre giocava o gli mostrava orgoglioso il disegno che aveva appena fatto, non poteva fare a meno di pensare a Newt e al fatto che una parte di lui non l'avrebbe mai lasciato.





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