t a k e m e h o m e

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Un piede avanti, uno indietro, un passo dopo l'altro e le porte del treno si aprono, ma tu non sei ancora arrivata. È come se non arrivassi mai, come se quelle porte che si aprono ma che ti ricordano che tu non sei ancora arrivata fossero una metafora per farti rendere conto che non devi illuderti.

Fai le scale di corsa, non perché sei in ritardo ma perché non vuoi aspettare. Aspettare ti stanca, non lo sopporti, quindi preferisci arrivare a boccheggiare fuori le porte della metro che appena arrivi si chiudono davanti a te e il treno sfreccia via, lasciandoti ancora una volta disillusa, prendendoti in giro su quello che sei.

E allora aspetti, perché non puoi fare altro. La musica ti risuona nelle orecchie e due canzoni sono già andate, quando il prossimo treno ti si ferma davanti, le persone dietro di te che spingono per entrare prima di chiunque altro.

Ma tu non ci fai caso, persa come sei. Li senti, ma non dici niente, non lo fai mai. Li guardi e forse dentro di te li giudichi anche, ma sei stanca anche per pensare a loro. Sei in piedi, le dita avvolte intorno al metallo per sostenerti, l'ennesima canzone che conosci a memoria si ripete nella tua mente.

Sei consumata, distrutta e i tuoi pezzi sono insieme perché devono starci, non perché lo vuoi.

Una sola fermata, le porte si aprono e tu scendi dalla metro, le mani nascoste nelle tasche e i capelli legati disordinatamente anche se la giornata è appena iniziata. Vai verso le scale, e sali anche quelle.

Sei fuori, l'aria pungente e fredda ti colpisce in volto ma tu ti riprendi subito. Sorpassi quasi tutte le persone che ti sono davanti, non ti è mai piaciuto camminare lentamente, perderti in cose di cui puoi fare a meno.

Una strada dritta davanti a te, la stessa strada che percorri ogni giorno senza neanche pensarci, quella che hai imparato a memoria. Corri al semaforo anche se è il tuo turno di passare, poi altre scale, tutte in salita. L'imponente struttura si innalza davanti a te, ci sono ragazzi seduti che fumano la loro sigaretta prima delle lezioni, ci sono quelli che parlano, quelli che sorridono anche se è lunedì e fa schifo, e poi ci sei tu, indifferente a tutto.

Arrivi in classe, raggiungi il tuo posto in seconda fila e ti siedi, sei da sola. Ma non ti pesa, ti piace. Tiri fuori i libri e studi gli appunti dell'ultima lezione, perché non ti piace arretrarti le cose ma a volte non puoi farne a meno. Le persone ti guardano, ti osservano, ma non ti vedono per davvero. Loro vedono soltanto quello che vogliono vedere.

I minuti scorrono, la tua fila si riempie e alcune ti salutano, tu ricambi debolmente e con un sorriso forzato e poi riporti lo sguardo sul libro.

Le lezioni iniziano, iniziano e finiscono, tu sei soltanto lì a scrivere quello che il professore dice. Non intervieni, ma ci pensi. Pensi a tanto mentre le parole si perdono nell'aria, ma tieni tutto per te. Pensi a quello che dovrai ancora fare, perché la tua giornata non è finita, come quella della maggior parte delle persone in quest'aula. Non lo è per niente, solo che loro non lo sanno.

Raccogli velocemente le tue cose e tieni il cellulare in una mano e nell'altra l'abbonamento della metro, con la tua foto stampata sopra. Ti scontri con qualcuno mentre questa volta le scale le scendi, alcuni ti chiedono perché sei sempre così di fretta.

"Perdo il treno", rispondi ogni volta, e le prime loro ti dicevano "Puoi prendere quello dopo", poi hanno smesso. Non sai se l'hanno fatto perché hanno capito che quello dopo tu non vuoi prenderlo, se puoi prendere questo, perché hai già perso troppo. Non ti interessa ciò che pensano, non più. E tu non devi loro nessuna spiegazione, perché non fanno parte della tua vita come tu non fai parte della loro.

E tu lo sai che loro parlano comunque, che ti commentano il modo in cui sei vestita o quello in cui ti comporti, ma a te continua a non importare, perché loro non posso conoscere te se tu non sei la prima a conoscere te stessa.

Take me homeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora