7. Non ce la faccio più a sentirmi solo

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L'indomani, la tanto attesa finale di campionato di calcio regionale arrivò. I ragazzi dell'oratorio, con le loro magliette bianche a strisce blu, scorazzavano per il campo facendo esercizi di riscaldamento, seguiti a ruota dai proprio avversari. Il resto della truppa, invece, sedeva sugli spalti del piccolo palazzetto del paese, a mezz'ora dalla baita. Nel pullman che li aveva portati a destinazione, Sara era salita per ultima, piazzandosi comodamente nella parte anteriore del bus, ad una distanza non casualmente grande dal posto dove sedeva Riccardo. Immaginando che la ragazza non avesse ancora intenzione di rivolgergli la parola, Riccardo, con le palpebre cadenti dal sonno, prese posto sugli spalti superiori, meditando non solo di poter schiacciare un pisolino tra un tempo e l'altro, ma anche di poter sapientemente evitare lo sguardo dell'amica. Dopo una lunga attesa, l'arbitro fischiò finalmente il calcio d'inizio. La squadra avversaria, che giocava in rosso, si dimostrò superiore durante tutto il primo tempo, ma i ragazzi dell'oratorio seppero tenere testa all'attacco aggressivo degli avversari, fomentati e sostenuti dal tifo caloroso delle ragazze e dei ragazzi in tribuna. Purtroppo però, complice un Daniele particolarmente spento e una evidente disattenzione della difesa bianco-blu, intorno al '40 arrivò il primo gol dei Rossi, che lasciò l'amaro in bocca ai numerosi tifosi sugli spalti. Al doppio fischio dell'arbitro, i ragazzi, demoralizzati, lasciarono il campo e le tifoserie presero a sedersi quietamente sui freddi gradini di pietra del palazzetto. Riccardo, dal canto suo, si stese a pancia in su, scrutando le nuvole nel cielo e maledicendosi ancora una volta per non aver portato con sé il blocco da disegno e i pastelli ad olio. <<Ci sarebbe venuto su un bello schizzo>> disse ad alta voce, mentre ripensava al momento in cui la madre gli aveva "gentilmente imposto" di non portare materiale da disegno con sé, almeno quella volta. Poco prima della partenza, infatti, il ragazzo, facendo attenzione a non farsi notare dalla madre, aveva aggiunto qualche pastello nello zaino all'ultimo secondo, contando di trovare qualche foglio a destinazione. A quanto pareva, però, aveva di nuovo commesso uno dei più grandi errori della sua vita: aveva sottovalutato sua madre. Errore di cui si accorse, suo malgrado, una volta arrivato in camera, quando al posto dei pastelli trovò nello zaino una fetta di dolce avvolta nei tovaglioli e un biglietto con su scritto: "mangia invece di disegnare". Riccardo, stufo di continuare a pensare a quanti bei disegni avrebbe potuto fare durate quella gita se avesse prestato più attenzione alle diaboliche intenzioni materne, decise di avvicinarsi alle panchine per sentire qual era la strategia della squadra per il secondo tempo. Una volta avvicinatosi, il ragazzo non poté fare a meno di notare che le parole dell'allenatore erano tutte rivolte al povero Daniele, in genere grande trascinatore della squadra, che quella mattina non era particolarmente in forma. Il ragazzo dagli ondulanti capelli biondi aveva uno sguardo pensieroso: le spesse sopracciglia abbassate e la fronte corrugata gli segnavano il viso stanco e preoccupato, mentre lo spasmodico mordicchiarsi delle labbra e il battito frenetico del piede sul terreno lasciavano trasparire il suo nervosismo. Il ragazzo portava sulle sue spalle il peso delle aspettative di tutti i compagni di squadra, che si erano sforzati e impegnati durante l'anno, non solo per poter arrivare alla tanto agognata finale, ma anche per poter accedere alla divisione superiore e smettere di essere una semplice squadretta di quartiere. Daniele lo sapeva. Sapeva perfettamente quali erano i suoi doveri quel giorno. Doveva ritrovare la sua forma migliore e lo doveva fare in fretta, poiché i primi dieci minuti della pausa erano già trascorsi.
Al contrario di quanto aveva detto lo stesso Daniele la sera prima sul suo conto, mentre parlavano della faccenda di Sara nel buio della camerata, Riccardo riusciva a percepire i pensieri e la preoccupazione dell'amico anche a distanza; lo conosceva talmente bene, che poteva dire perfettamente tutto quello che passava nella testa del ragazzo, senza che egli neanche aprisse bocca. Sapeva quanto tenesse a quella partita e quanto significasse per lui vincere. In fondo, Daniele voleva fare del calcio la sua principale fonte di sostentamento da adulto, dato che non poteva contare sulle sue doti scolastiche per garantirsi un futuro.
Riccardo decise quindi di scavalcare il muretto che lo separava dalla panchina e di parlare un po' con l'amico, nella speranza di poterlo tirare un po' su di morale prima dell'inizio della ripresa. <<Ehi Dan, come va?>> gli chiese Riccardo con aria gentile.
<<Male, non lo vedi? Non riesco ad azzeccare una sola azione>> rispose Daniele seccato.
<<Non sono un esperto di calcio lo sai, non posso darti consigli tecnici, ma hai ancora 45 minuti a disposizione, no? Sfruttali per fargli vedere chi sei>> rispose con le migliori intenzioni Riccardo.
 <<Già, è semplice parlare per chi non c'è dentro, vorrei vedere te al posto mio, con questa pressione addosso. Ma comunque, che ci fai qui? Non dovresti essere con Sara?>> replicò Daniele in modo sgarbato.
<<In realtà è da stamattina che mi evita, non sono riuscito ad incrociare il suo sguardo per più di un millisecondo. Credo sia meglio rinviare la nostra conversazione a quando saremo tornati a casa>> rispose l'altro.
Daniele sospirò e disse: <<Sì, probabilmente è meglio così. Cosa le dirai?>>.
<< Ci ho pensato molto ieri notte. Ho pensato a tutti i pro e i contro della situazione, ma non sono ancora arrivato ad una conclusione. Forse...>> Riccardo si fermò un attimo a riflettere prima di continuare la frase; poi, con una inaspettata indole sadica, mordendosi le labbra, aggiunse: <<Forse le darò una possibilità>>.
<<Capisco. E' un bel progetto. Beh, comunque tra poco cominciamo, è meglio che tu vada>> disse Daniele, mentre si congedava dall'amico con un cenno del capo.
Riccardo strinse i pugni e con lo sguardo basso, pensò tra sé e sé: "Cazzo, ma perché l'ho fatto di nuovo?".
Come previsto, dopo qualche minuto l'arbitro richiamò le squadre in campo. Durante il secondo tempo ci fu un netto cambiamento nella compagine dell'oratorio. Daniele aveva parzialmente ritrovato il suo estro, così come aveva fatto anche la difesa. Dopo appena 15 minuti dall'inizio della ripresa, Palvetti, della squadra dei biancoblu, segnò il goal dell'1-1, facendo letteralmente esplodere la gioia dei tifosi sugli spalti. Ormai tutta la panchina e i ragazzi dell'oratorio si aspettavano il colpo di genio del loro Capitano, che avrebbe messo la firma alla vittoria della squadra e determinato il passaggio alla divisione superiore. I minuti però passarono veloci e la partita entrò in una situazione di stallo, che si protrasse fino quasi al 38esimo, con le tifoserie che si accendevano sempre di più e i giocatori con il fiato sempre più corto. Finalmente arrivò il secondo goal dalla squadra dell'oratorio, di nuovo dal talentuoso Palvetti, che, con la sua doppietta, aveva siglato la vittoria del campionato. La tifoseria esplose nuovamente in festa, partirono cori e abbracci spontanei, che si intensificarono quando finalmente l'arbitro diete voce tre volte al fischietto. Riccardo, nonostante fosse felice per come si era risolto il match, sentiva una certa tristezza per l'amico, che non era riuscito a chiudere la stagione con una prestazione degna del suo talento. Dopo che i ragazzi della squadra ebbero finito di lavarsi, una grande festa li accolse nel pullman che li avrebbe riaccompagnati a casa. I quattro giorni di campo estivo erano giunti al termine, la truppa sarebbe rientrata in città per le 23 della sera stessa e nonostante quel giorno fosse stato l'ultimo di quella magnifica esperienza, neanche un velo di tristezza aveva segnato i volti dei ragazzi. La gioia per la vittoria della finale aveva sovrastato tutto il resto. Le ragazze avevano dato il via a canti e balli nello stretto corridoio del bus dai sedili verde antrace, mentre i ragazzi continuavano a riportare minuto per minuto tutte le azioni della partita. Alcune bottiglie di plastica contenenti Gin di pessima qualità erano finite, con delle manovre degne dei migliori contrabbandieri, nelle borse dei ragazzi, che avevano cominciato a bere di nascosto dagli organizzatori, seduti pochi metri più avanti. L'entusiasmo aveva coinvolto tutti, eccetto Riccardo e Daniele. Quest'ultimo, infatti, si era rannicchiato da solo in un angolo, all'estremità del bus, col viso coperto dal cappuccio della felpa. Riccardo, accortosi dell'umore dell'amico, si sedette cautamente sul sediolino accanto, cercando nella sua mente qualche parola di conforto. Poi alla fine decise che il meglio che potesse fare per l'amico era restargli accanto, in silenzio, pronto ad ascoltarlo qualora avesse deciso di sfogarsi. Daniele, come se avesse letto nei pensieri di Riccardo, si voltò verso di lui e gli disse: <<non sei obbligato a stare qui, puoi anche andare a cantare con gli altri se vuoi>>. Riccardo fece un sospiro profondo e disse: <<Ma che sei diventato scemo? O forse ti hanno rapito gli alieni? Primo, sei qui da solo a rimuginare invece di stare davanti a festeggiare. Secondo, come puoi pensare che vorrei unirmi agli altri per cantare?>>. Daniele rise.
<<Chi sei tu? E cosa ne hai fatto del mio migliore amico? Esci da questo corpo!>> disse drammaticamente Riccardo, mentre scuoteva l'amico prendendolo per la felpa.
Daniele rise fragorosamente, poi fece: <<Hai ragione. Devo essere proprio impazzito eh?>>. Riccardo fece sì col capo e con tono più serio gli chiese: <<Beh, cos'hai allora? Non dirmi che stai così solo per non aver segnato durante la finale. Insomma, sono cose che capitano>>.
<<No, non è solo per la partita>> rispose abbassando lo sguardo Daniele <<diciamo che è semplicemente un periodo difficile>>.
Riccardo aggrottò le sopracciglia <<è successo qualcosa di cui non sono a conoscenza?>> chiese. <<Niente che non avresti potuto capire già da qualche anno>> rispose istintivamente l'amico. Daniele guardò Riccardo fisso negli occhi e, accortosi della sua espressione interrogativa, aggiunse: <<Lasciamo stare, fai finta che non ti abbia detto niente. Il tempo della tristezza è finito comunque. Il gin mi aspetta e il capitano deve prendere di nuovo in mano le redini della situazione>> disse con aria trionfante Daniele, che, scattando in piedi, si avvicinò ai compagni di squadra e nel giro di un minuto aveva preso a cantare a squarciagola insieme agli altri. Riccardo si sentì sollevato alla vista dell'amico nuovamente raggiante, ma era consapevole del fatto che l'atteggiamento spavaldo di Daniele era una solo maschera, indossata momentaneamente per nascondere qualcosa che lo turbava nel profondo.

L'altra metà del mio mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora