1. Last Part

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Non so cosa sia successo.

Da quando è finito X Factor la frequenza con cui vedo Gennaro è direttamente proporzionale a zero. Spaccato, zero spaccato. Ci vediamo sì e no un'ora alla settimana insieme ai ragazzi di Casa Lavica, diamo a credere di stare bene fingendo quella sincronia che nel suo falso mi sa del suono più stridulo e aberrante e, alla fine, proviamo a fare qualcosa nuovo, ma senza concludere granché.

Nemmeno le nostre voci sembrano volersi più incontrare; quelle voci che sembravano vibrate nelle corde vocali di una persona sola, che prima si impastavano tra loro e sfumavano poi insieme, che nessuno si accorgeva quando uno dei due attaccava con la sua parte o la finiva, che tutti restavano ammaliati ed anche un po' io e Gennaro ci stupivamo millisecondi che forse eravamo eterei, è svanito; così nel nulla, e m'ha lasciato qui, che ancora rimugino.

E che succede ora?

Le belle voci, in qualche modo, è come se facciano i grumi.

E poi c'è Gennaro, amavo il canto che soffiava, che la laringe e la faringe tremavano al passaggio del suono (come facevo io) ed amavo anche lui, la creatura più bella che abbia mai conosciuto, fragile; al contempo tenace, era pronto a dar via la vita se questo sarebbe potuto significare regalarne un barlume al sogno che tanto gli occupava la testa. Ora ho seri dubbi che la convinzione sia rimasta solida e tale che si conceda la morte pur di raggiungere il suo obbiettivo.

Come spero che ancora ci creda! Che poi io lo so che il sogno non è sfumato, lo so perché a volte quando pizzica appena la chitarra ancora intravedo un bianco baleno luccicante che rischiara i suoi occhi ormai costantemente spenti.

Lo so che non mi vuole abbandonare.

Lo so che Gennaro, seppur stia trascurando me e la musica, ancora ci crede a tutto quello che abbiamo creato.

Lo so che andare in discoteca ogni sera per poi tornare la mattina tardi, in fondo lo annoia.

Io lo so, ne sono convinto, che Gennaro non rinuncerà mai me, a cantare, a suonare, o agli Urban Strangers.

Perché in fondo io, che ci faccio qui, che senso ha che rimanga solo, se solo non sono Urban né Stranger, se solo sono nulla.

Eppure il mio cruccio, la mia afflizione, è che non mi rivolga più le stesse parole di prima; che non mi regali i suoi sorrisi; che non mi capisca più istantaneamente perché non mi guarda nemmeno più; e soprattutto, che non mi rivolga i silenzi di prima, in cui si chiudeva in ampi discorsi di reticenze;

eppure il tarlo fisso che m'assilla è che non voglia più far musica con me; che desista; che questi quattro anni cadano nell'aria, senza tonfo né vento. Che si rompa la nostra promessa, che si chiuda il sipario. Sono stanco e deipnotizzato, è tardi ormai.

Quattro anni fa ci mise insieme il caso, senza avvertire, di fretta, e all'inizio suonare e cantare insieme costituiva un gioco, poi ci dissero che eravamo bravi, poi ci rendemmo conto che se per gli altri eravamo sempre stati criptici, nella nostra musica noi due ci decodificavamo.

Eufemismi. Ti soffocano, mezze verità che squarciano il petto. Ed io, in quest'ultimo periodo sto vivendo di eufemismi: perché giustifico il lancinante dolore dell'assenza fisica e psicologica di Genn con un blando malumore stagionale.
E lui si discolpa, infimo, intrappolato in una gabbia di codardia e scuse da due soldi che scandisce indifferente, con tale mera disinvoltura che mi disarma:

«Alè oggi sto con Giò»

«Alè oggi non ci vengo a provare, sta Giosada da noi, ma poi tu sei fissato co ste prove oh, mo' è finito X Factor, stiamo ricominciando di nuovo i mini live e gli instore e tu vuoi provare? La mia gola chiede tregua. Statt' buon!»

Tiptoe; in punta di piediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora