5. Honey Please

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Abbasso lo sguardo sulla sua testa incavata, l'ha nascosta ancora di più ora che aleggia uno strano silenzio. Gli occhi gli brillano per le lacrime, e che belli sono, che belli sono. Mi guarda, mi fissa, come se stesse scavando, apre dei cassetti dentro la mia anima e li richiude; mi apre il cuore e ho paura, ho paura perché potrebbe cadere, perché io ho un cuore piccolo e consumato, e lì dentro ci abita lui. Ho paura perché se si sporgesse troppo, da quello stretto spazio che ho nel petto potrebbe sbilanciarsi e farsi male, ed io ho promesso di proteggerlo.

«Mi avevi detto che i Sonic Youth non ti piacciono» esordisce mentre gira la testa verso il paesaggio.

«Ogni tanto uno ci ripensa pure alle cose, non vanno bene?»

«Sì che vanno bene»

«Okay»

«Mi va bene» ripete scandendo.

«O-okay»

«Dico tutto. Mi va bene il Sole che sta sorgendo avanti a noi.
«Mi va bene il mare.
«Essere qui.
«Mi va bene la tua bellissima voce che canta il mio gruppo preferito.
«Mi vanno bene, che dico, sono innamorato di quei versi, delle parole che mi hai dedicato.
«Mi vai bene tu, e non vorrei essere da nessun'altra parte nel mondo ora.» fa una breve pausa, le pupille gli si dilatano completamente «mi sei sempre andato bene» conclude ed il mio stomaco fa tre giravolte e si trasforma in una centrifuga.

Il cuore bussa così forte nel petto che ho quasi paura che ne scapperà e rimarrò cavo. Sto così male e così bene.

«Ma io sono terrorizzato da questi sentimenti Alex. Sono terrorizzato di perderti un'altra volta, non potrei sopportarlo. Sono terrorizzato che tu trovi di nuovo qualcuno che possa sostituirmi, perché io ti voglio nella mia vita, ma è così difficile»

La sua voce è incrinata da un forte tono di supplica, anche se la sola idea di abbandonarlo mi inorridisce. Che sensazione di vuoto, di precipitare senza mai avere un fondo. Fa così male la sua voce rotta, ed io ora ne sono sicuro, che non esiste un dolore più piacevole del lasciarsi sgretolare da Gennaro.

«Mi manchi e mi manca la nostra musica.» mi sussurra.

«Ti manca la nostra musica?»

«Da morire. Te e lei mi mantenete in vita»

«Anche a me manca da impazzire»

«Impazziresti senza di me?»

«Questa notte, adesso, ti sembro forse lucido? Non voglio più stare senza di te»

Abbassa gli occhi, è improvvisamente triste: «Ma ormai siamo così distanti» scosta il viso e sfugge al mio sguardo interrogativo.

«Davvero credi che io e te siamo ancora così distanti? Lo eravamo, ma io non sarò mai realmente lontano da te, perché ovunque possa essere, io ti appartengo, comunque. In ogni caso, io sarò completamente con te. Ho passato sedici anni ad esser solo, incompreso. Emarginato. Ma da quattro so di non esserlo più; con te posso piangere senza vergognarmi di sembrare debole; posso non parlare per ore e non sembrare strano; posso estraniarmi e sapere che sai che sto nel mio mondo. E da quattro anni sono diventato umano anch'io: il cuore batte e gli occhi brillano.
«Io e te non potremmo mai essere distanti. Perché U.S è un acronimo ma è anche un dato di fatto. È un noi. Ci sarà sempre questo filo che mi legherà a te»

Io penso, tanto, tantissimo, ma forse parlo ancora di più, anche ai limiti del sopportabile, parlo, straparlo, e non mi sopporto. Nemmeno un po'.
E se non mi sopporto io, come può farlo Gennaro?

«Anche io ho paura» ammetto, guardando la sua bocca semiaperta e i suoi occhi lucidi.

«Di cosa?» chiede fermo, a bassissima voce.

Tiptoe; in punta di piediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora