Capitolo 1.

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Mi tirò con forza.
<<Ora posso giocate con gli altri bambini?>> chiese con delicatezza.
<<Certo che puoi.>> e le lasciai la mano.
Ariel fu il nome di mia sorella minore. Aveva sette anni e andava in prima elementare. Era alta per la sua età e aveva i capelli molto ricci e soffici, di un color rosso acceso. Aveva gli occhi di un colore fra il grigio e azzurro. Erano stupendi e, per questo motivo, spesso si vantò.
Mi sedetti su una panchina da dove potei vedere Ariel mentre giocava. Che buffo come nome ma, allo stesso tempo, unico. Presi il libro di storia e iniziai a studiare. Poteva sembrare strano ma fu la mia materia preferita alle superiori.
Quel posto era tranquillo e bello. Tutte le volte che ebbi bisogno di pensare, venni qui a rifugiarmi e a scrivere una pagina del mio 'diario segreto' che non lo fu affatto poiché mio padre andò a leggere tutto ciò che io scrissi. I sorrisi dei bambini che giocavano ti rallegravano l'animo e rendevano ancora più bello questo parco, tanto da concentrarmi solamente sullo studio,

<<A quanto pare non sei affatto cambiata, Alice. La storia è ancora la tua grande passione.>> disse qualcuno dietro di me.

Al sentire di ciò, alzai lo sguardo per riflettere su dove ebbi già sentito quella voce. Non ci potei credere. Fu lui, ancora una volta, ma non mi girai, non volli vederlo.

<<A quanto pare sì.>> dissi fissando Ariel che, per tutto il tempo, saltò e corse.

Si sedette di fianco a me. Il suo profumo riuscii ancora a distinguerlo, nonostante non lo sentii da tempo.
Fu il momento giusto per chiarire alcune cose.

<<Devi smetterla, Kevin, sai che i nostri genitori non vogliono che ci parliamo.>>

<<Ma io senza di te non so stare.>>

<<Credo che dovrai fartene una ragione.>>

<<Dimmelo guardandomi negli occhi che non mi ami.>>

Passò un po' di tempo prima che mi decisi a rispondere.

<<Non ti amo.>>

I suoi occhi. La cosa più bella di questo mondo. Durò davvero poco quell'istante in cui ci guardammo ma riuscii a leggere in lui rabbia, amore, delusione e altre mille emozioni che provava nei miei confronti in quel momento.
Ci alzammo entrambi e, senza salutarci, andammo in due direzioni opposte. Mi avvicinai ad Ariel e mi chinai per arrivare alla sua altezza.

<<Dobbiamo andare, devo cucinare la cena.>> le dissi accarezzandole il viso.

<<Ma io non voglio. C'è qui Sophia, la mia migliore amica, e voglio giocare con lei.>> incrociò le braccia e mise il broncio.

<<Dopo chiamerò la madre e le chiederò se domani puoi andare a casa sua, ok? Ma ora dobbiamo andare, è davvero tardi.>>

Dopo quelle parole, salutò i suoi amici e mi segui fino a casa.
Quando arrivammo, mi misi subito ai fornelli mentre Ariel guardò i cartoni animati.
Iniziai a preparare le lasagne, il nostro cibo preferito. All'improvviso suonò il telefono di casa e rispose mia sorella.

<<Pronto? Chi sei? Ah, ok. Te la passo subito.>>

Mi raggiunse in cucina e mi passò il telefono dicendo che fu un mio amico a telefonarmi ma che non riuscì a ricordarsi il nome che poco prima le disse.

<<Pronto?>>

<<Ehi, Alice.>> attaccai. Fu lui e, se mio padre lo scopriva, ero in guai seri.

<<Chi era?>> chiese con molta curiosità mia sorella.

<<Un postino, ha finto di essere mio amico perché di solito non gli rispondiamo. I postini portano sempre brutte notizie.>>

<<Brutte quanto?>>

<<Tanto tanto. Comunque, papà non dece sapere nulla di questa telefonata che abbiamo ricevuto, va bene?>> annuì e tornò in salotto mentre io continuai a cucinare.

Fu ora di cena e, mio padre, che tornava a casa affamato, aspettò seduti a tavola mentre Ariel mi aiutava ad apparecchiare. Appena fu tutti pronto, servii i piatti e ci mettemmo a mangiare.

<<Allora piccole, cosa avete fatto oggi?>>

<<Nulla di interessante, papà. Siamo andate a scuola, abbiamo pranzato, abbiamo fatto i compiti, siamo andate al parco e siamo tornate a casa perché dovevo cucinare.>> spiegai con la bocca piena di cibo.

<<Che mi racconti di bello, Ariel?>> chiese papà, come sempre.

La guardai con la speranza che non dicesse nulla ma, come al solito, stava scoppiando dalla voglia di raccontare tutto.

<<Nulla.>> disse con vice forzata.

<<Sicura?>> chiese.

<<ALICEHARICEVUTOUNACHIAMATADAUNSUOAMICODINOMEKEVIN.>> rispose tutto ad un fiato.

Mio padre mi guardò male. Mai fidarsi dei bambini.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 02, 2016 ⏰

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