Solo dieci minuti, mancava poco, erano passati nove mesi ed ora, dieci minuti maledetti non si decidevano a passare.
Dalila fissava l'orologio e contava i secondi, la professoressa di Latino li torturava fino alla fine: <<e l'anno prossimo, sarà più complicato, impegnatevi durante le vacanze>> diceva con la sua voce altisonante. Dalila pensava che
con quella voce che si ritrovava, avrebbe potuto insegnare anche ai morti, chiunque poteva sentirla, spesso era la protagonista
dei suoi incubi; quando c'era latino, la sua voce le rimaneva impressa fino al giorno dopo, poteva denunciarla per inquinamento
acustico.
Quando suonò la campanella, si sentì libera, libera! Tre mesi senza scuola, senza stupidi ragazzini brufolosi che le facevano il filo, senza orari e occhiaie per le notti passate a studiare e
soprattutto senza la professoressa di latino. Si sistemò la lunga treccia e con un sorrisetto soddisfatto, si portò lo zaino in spalla.
<<Dali, mi mancherai>> le disse Aurora, la sua amica di banco fin dalle elementari. Vivevano in una piccola provincia di Milano e
si conoscevano dai tempi dell'asilo.
<<Anche tu, tantissimo ma quest'anno va così>>
<<mi dispiace per i tuoi>>
Camminavano tra i corridori della scuola, tra cacofonia e urla di ragazzi, agitati ed euforici. Nell'aria c'era quell'energia elettrizzante che solo nell'ultimo giorno di scuola si può
provare.
Dalila non rispose, preferiva assaporare quell'eccitazione, quel senso di leggerezza, quando uscì all'aria aperta tra canzoni
cantate a squarciagola e urla di gioia, sorrise felice. "Sono libera" pensò.
<<E quindi tua madre si è decisa? Andrete via?>> le chiese Aurora mordicchiandosi l'unghia del pollice
<<ah, ah>> rispose Dalila, non aveva voglia di parlare, si sentiva un pacco postale.
Si incamminarono lungo la via di casa, una strada deserta e secondaria circondata da villette silenziose.
<<ti rendi conto?>> sospirò dopo, <<mio padre, ha bisogno di cambiare aria e se va in vacanza con quella... sua infermiera.
Mia madre ha bisogno di cambiare aria e obbliga anche me a farlo ma io non voglio! Voglio stare qui, voglio andare in piscina e
poi chi lo conosce questo zio? Non l'ho mai visto. Neppure in foto>>
<<Ma dove sta questo zio?>>
<<in Francia, ora dimmi tu: io cosa devo fare in Francia con mia madre e suo fratello? Ho quasi diciassette anni lo sa?>>
<<Oh chissà che palle!>> esclamò Aurora, <<ma quanti anni ha?>>
<<mia madre ha trentanove anni, lui mi pare abbia 7 anni in meno, quindi trentadue ma mio padre lo chiama "il delinquente" una
volta l'ho sentito chiacchierare con la mamma e dicevano che è stato in galera, è un pazzo, uno strafottente. Mia mamma lo adorava quando era piccolino, i nonni stravedevano per lui e
questo cosa fa? Anzi, cosa non fa? La mamma dice che era un ribelle, uno che quando aveva la nostra età, era sempre coinvolto in risse, una testa calda, il povero nonno entrava e usciva dagli ospedali e dalle stazioni di polizia. Però mia mamma dice anche che era un tipo generoso e buono, è sempre suo fratello gli vuole un gran bene.>>
Dalila e Aurora, vivevano nello stesso condominio, abitavano a cinquecento metri dalla scuola, erano sotto il portone ma
continuavano a chiacchierare.
<<ed ora cosa ci fa in Francia?>> chiese Aurora, sedendosi su un gradino del palazzo, di solito si fermavano sempre li al ritorno
da scuola.
<<non ne ho idea ma so che è ricco, mia madre non conosce le sue entrate ma un tipo così come può guadagnarsi da vivere?>>
<<ma tuo padre è andato via definitivamente?>>
<<si, ci credi? Buttare venticinque anni nel cesso, ha perso completamente la testa per quella sgualdrina, ha solo otto anni
più di me, ti rendi conto? La mamma passa le giornate a piangere.
Quando mi ha detto di voler andare in Francia non me la sono sentita di oppormi ma sarà dura, anche se solo per tre mesi.>>
Dalila guardò in alto verso il terzo piano, dove c'era la sua abitazione <<sono così stanca, sono io l'adolescente, sono io quella da dover tenere sotto controllo ed invece mi devo preoccupare di tutti, ora mi tocca andare a casa di un
delinquente, uno sconosciuto>>
<<ma non credo che tua madre ti porterebbe a casa di un pazzo, si vede che si fida>>
<<si vede che pur di cambiare aria, andrebbe dovunque! Ti faccio vedere come la convinco, massimo un mese e ritorniamo, solo al
pensiero mi viene un'ansia terribile>>
Aurora tirò fuori il cellulare dai Jeans, <<oh è mia madre, ti saluto, prima di partire, vieni a casa, ti aspetto>> le baciò la
guancia e corse dall'altra parte del palazzo.
Dalila, pensava che per tutto il giorno aveva contato i secondi che la separavano da cosa? Da una mamma depressa? Da una casa da
riordinare? Forse era meglio stare addirittura a scuola.
Quest'anno era diverso, non c'era ad aspettarla una vacanza da sogno, l'aveva dimenticato in tutta quella agitazione che
fluttuava tra i compagni. Saliva gradino per gradino con lentezza, come se avesse sulle spalle tutto il peso del mondo, per lei era così. Non era abituata a quella vita, la sua, era
sempre stata una famiglia modello. Suo padre era un famoso chirurgo e sua madre una scrittrice, lei era l'unica figlia super
coccolata e faceva una bella vita. Poi suo padre, si era innamorato di un'infermiera e aveva distrutto la famiglia dimenticandosi di lei e lasciando la moglie in depressione.
"Possibile che un padre dimentichi la propria figlia per un'altra donna?" Dalila non se ne capacitava. Suo padre, non era stato
molto presente, sempre impegnato con il lavoro ma lei sapeva che c'era, sapeva che la sera sarebbe ritornato. Ora, da quattro mesi
era successo di tutto e l'aveva visto solo per tre volte fugaci.
La madre dalla sera alla mattina si era ritrovata sola, amava tantissimo suo marito ed era caduta in depressione, se ne stava
sul divano oppure sul letto, guardava film drammatici e piangeva quasi tutto il tempo. Dalila non ne poteva più, si era rimboccata
le maniche e si occupava di lei, era terribile vederla in quello stato ma pregava che sarebbe passata. Frequentava il liceo classico, se la cavava piuttosto bene, non aveva ancora le idee
chiare sul futuro ma c'era tempo. Mancavano cinque mesi ai diciassette anni ed era bella, molto bella, la classica bellezza non scontata. Possedeva una bellezza acerba che solo
un'adolescente può avere, era un miscuglio tra una bambina e una donna, il viso ancora arrotondato di quando era piccina ma con lo
sguardo malizioso a volte un po conturbante vista la purezza della sua pelle e la delicatezza dei suoi lineamenti. Possedeva occhi grandi e luminosi del colore dell'ambra, era un colore
assai particolare, lo stesso colore dei lunghi capelli, con riflessi dorati, lisci e lunghi fino ai fianchi e lo stesso colore delle lentiggini che si erano formate a causa di tante
scottature di quando era piccolina; quando non ascoltava mai la mamma restando a mare sotto il sole per ore e ore. Il suo corpo non aveva niente da invidiare ad una donna di venti o venticinque anni, era formosa e anche quello, le era capitato negli ultimi mesi, era passata da una seconda di reggiseno ad una quarta,
cercava di nascondersi in ogni modo poiché era magra e quel seno prepotente era una nota stonata. Aveva chiesto a suo padre una
riduzione di seno per Natale ma lui le aveva risposto con una fragorosa risata. A causa di quel maledetto seno, i ragazzi che
prima a stento sapevano che esisteva, ora la notavano, la guardavano, le sorridevano, Dalila pensava che due taglie in più di reggiseno potessero cambiare la vita a chiunque, e proprio lei non ne era felice, per lei erano solo troppo ingombranti. E poi, purtroppo nessuno era interessante; un'intera scuola, trenta
classi, nessuno riusciva ad essere all'altezza delle sue aspettative. Teneva il conto, lo scriveva sul diario, più di dieci ragazzi negli ultimi mesi l'avevano invitata a mangiare una
pizza oppure al cinema e così via, lei aveva sempre rifiutato, non voleva alimentare illusioni o forse non era pronta. Certo!
Aveva quasi diciassette anni ma fino a qualche mese prima pensava e agiva da bambina viziata quale era. Era strano ritrovarsi grande in qualche mese, non le piaceva; non le piaceva che suo padre l'avesse abbandonata, non le piaceva partire solo perché la madre l'aveva deciso e più di tutto: non le piaceva questo zio
delinquente che la madre adorava tanto, considerandolo quasi un figlio.
"Che sciocchezza! Non si vedono da venti anni e proprio adesso, devono vedersi?" Pensava.
Il suo appartamento, o meglio, l'appartamento di sua madre dopo la separazione, non era come la villa nella quale abitavano prima, era soltanto un appartamento come un altro. Quando entrò in casa, lasciò lo zaino all'entrata, vicino al tavolo del
salone, <<sono io>> disse ad alta voce, si sporse verso il divano di pelle bianca, sicura di trovarci sua madre con gli scottex in
grembo, ormai erano una sola cosa con lei, invece non c'era nessuno. Andò in camera da letto e la madre era li, non a letto
ma in piedi e preparava le valige.
<<cosa fai? Già prepari le valige?>> la madre si voltò e le sorrise, un sorriso che Dalila non le vedeva da mesi, sembrava emozionata.
<<sei arrivata amore? Com'è andato l'ultimo giorno di scuola?>>
le chiese piegando dei jeans.
<<come sempre, la proff di latino ci ha sommersi di compiti>> la guardò mentre sistemava i pantaloni nella valigia grande,
<<perché prepari le valige? Non dovevamo partire tra dieci giorni?>>
La madre, Isabella, si voltò dalla parte dell'armadio e senza guardarla le rispose: <<partiamo domani invece, non voglio
restare ancora qui, sto troppo male, mi sento schiacciare>>
Dalila si mise a sedere sul letto, non era pronta a partire quasi subito, voleva tanto piangere <<ma mamma, ho il corso di recitazione la settimana prossima, non ti dico di non partire ma almeno aspetta qualche giorno>>
<<no, ho deciso Dali, faresti bene a prepararti le valige, abbiamo l'aereo domattina alle 7:20>>
<<hai deciso! Certo! Da qualche mese tutti decidono al mio posto, tutti hanno deciso di rovinarmi la vita!>> urlò.
Isabella non si voltò, ma le parlò con voce tremolante, stava trattenendo le lacrime <<lo so, come ti senti>>
<<no mamma, non lo sai! Ho perso papà e sto perdendo anche te, non sei più tu, non fai altro che piangere e commiserarti, non hai mai lottato per papà>> non voleva dirlo ma era troppo nervosa, le parole erano straripate senza il permesso del cervello.
Isabelle scoppiò in lacrime, <<cosa ne sai tu? Sono anni che combatto, sono anni che tuo padre cambia donne con la stessa
frequenza di come tu cambi i jeans. L'ho sempre accolto a casa nonostante tutto, l'ho sempre aspettato e amato. Non parlare
Dali, non di cose di cui non capiresti>>
<<perché non l'hai cacciato subito? Perché gli aprivi sempre la porta?>>
<<lo amavo e lo amo, ancora adesso aprirei quella porta>>
Dalila corse in camera sua, non voleva ferire ancora sua madre ma dentro di lei si contorceva. "Stupida! Come si può essere così
stupide? Se fossi stata al suo posto l'avrei preso a calci in culo! Bastardo!" Raccoglieva i vestiti dall'armadio con rabbia e li sbatteva nella valigia che sua madre le aveva preparato sul
lettino. Lanciava i vestiti come fossero stracci, senza neppure guardare, era furiosa. Chiuse la valigia e passata l'arrabbiatura, sopraggiunse un senso di tristezza e malinconia,
era sul punto di piangere, si sentiva la gola stringere ma non lo fece, lanciò la valigia per terra con un calcio e si stese sul
letto. "Ci vuole un po di musica" pensò, si aggiustò le cuffiette ed ascoltò musica rap, lei non era per quelle dannate canzoni
mielose che ascoltava sempre la mamma, le aveva odiate, le ricordavano quel periodo difficile che stava attraversando; Le
ricordavano che la mamma era una stupida, una debole. Non vedeva l'ora di compiere diciotto anni, sarebbe volata via e avrebbe
deciso finalmente per se stessa.Il viaggio fu tranquillo, Dalila aveva ascoltato musica rap per tutto il tempo, ogni tanto vedeva le labbra della mamma in
movimento ma si ostinava a non calare il volume. Non le interessava, non voleva neppure ascoltare la sua voce, era così
triste ed irritata che voleva solo stare nel suo piccolo mondo; un mondo dove esisteva solo lei, un mondo dove non aveva bisogno
di nessuno. All'aeroporto, il fratellino adorato neppure si presentò, Isabella chiamò un taxi, <<che razza di fratello, non viene a
prenderti neppure all'aeroporto?>> disse Dalila a denti stretti,
<<avrà da fare, è molto impegnato, è già tanto se ci ospiterà qualche mese. Stai zitta e ascolta la tua musica>> replicò Isabella alquanto inasprita mentre salivano in macchina, Dalila per tutta risposta, alzò il volume della sua musica al massimo e chiuse gli occhi, "era meglio andare in vacanza con papà e quella
li" pensò convinta.
Isabella la scosse, si era addormentata, quel giorno si era svegliata alle cinque, erano quasi le dieci del mattino e non ne
poteva più. Con i genitori aveva girato quasi tutto il mondo,
c'era già stata in Francia, non le importava del posto, lei voleva solo non essere li. Il Taxi entrò in una stradina isolata, quelle strade ricoperte da ciottoli, affiancate da ettari di ulivi e fiori, lo sguardo di Dalila si fece ancora più cupo,
"maledetta! Dove mi hai portata? Nel bel mezzo del nulla"
incrociò le braccia al petto e incurvò le labbra piene verso il basso.
Era una giornata sicuramente calda, nel taxi si stava bene, con l'aria condizionata ma fuori, tra gli alberi lontani, Dalila notava l'aria desertica, quella tremolante che sale dal terreno
cocente, Dalila sbuffò e sbuffò ancora più forte quando si ritrovò davanti una villa ottocentesca, nel bel mezzo del nulla
circondata da un lago e dai vigneti.
Rimase anche un po perplessa; questo delinquente, come diceva suo padre, viveva in un luogo quasi fiabesco, un luogo quasi
romantico, come mai? Questo zio cominciava ad incuriosirla. Davanti al portone di casa c'era un uomo di origine indiane a giudicare dalla pelle e dai tratti del suo viso, quando le vide
arrivare le corse incontro e le aprì la portiera, <<prego>> disse, <<il signor Daniel si è raccomandato di pagare il taxi e
si scusa di non poter essere presente>>
<<non preoccuparti emm>> replicò Isabella, scendendo dalla macchina. <<Amish>> disse l'uomo, sulla cinquantina vestito con
la divisa da maggiordomo, <<Ok Amish, io sono Isabella la sorella di Daniel e lei è Dalila>> Amish annuì sommessamente.
Dalila addirittura calò il volume della musica, ora era affascinata dal quel posto, le pareva di essere in un'altra epoca, si guardò
intorno, in lontananza c'erano alcuni contadini di colore che lavorano la terra. Si immaginò come una nobile del 1800 con tanto
di vestito largo e ombrellino parasole, quasi sorrise.
<<Dalila, cosa fai?>> le urlava Isabella vicino all'entrata della
villa, non si era neppure accorta di essere rimasta sola a sognare ad occhi aperti. Si avviò su un ponticello di legno, che conduceva fino alla villa, guardò sotto di se, il lago era di un
colore intenso, verde per via delle foglie che galleggiavano indisturbate sul filo dell'acqua, notò anche qualche pesce rosso troppo cresciuto. "Che posto è questo?" Pensò. Dentro, l'aria condizionata era bassa, le si gelò il sudore sulla pelle, rabbrividì ma non solo per l'aria fredda, forse perché quella casa era proprio come l'aveva immaginata; stile ottocento, mobili di quell'epoca, tutto, tutto richiamava quel periodo, aveva qualcosa di misterioso, qualcosa di mistico, immaginava che fosse
infestata dai fantasmi, dovevano esserci per forza, ne aveva sentite tante, su quell'epoca. <<Dormiamo insieme vero?>> disse,
appoggiandosi al braccio della madre, <<credo di si>> rispose Isabella che osservava la casa a bocca aperta, <<è meraviglioso qui vero?>> osservò con un pizzico di agitazione,
<<insomma>> borbottò lei. In effetti era un posto bellissimo ma le incuteva un senso di inquietudine, come se ci fossero onde
negative nell'aria ma poi, guardò il viso felice della madre e si convinse che erano solo sensazioni dovute a stupide superstizioni.
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Il profumo dell'innocenza
RomanceCosa faresti se ti innamorassi di un uomo che ha nelle vene il tuo stesso sangue?