Quella sera era così fredda che nessuno sano di mente si sarebbe azzardato a mettere il naso fuori di casa. Il gelo faceva tremare le ossa e il vento era così freddo da ghiacciare il naso e atrofizzare le mani tanto da provare dolore a qualunque movimento delle dita. Le labbra diventavano viola e tremavano senza sosta facendo battere i denti e quel suono oramai era diventato quasi come una melodia, un sottofondo, così come le luci dei lampioni che non facevano altro che spegnersi e accendersi alternando ora momenti di buio ora momenti di luce facendo intravedere ore le ombre ora no. Le strade erano deserte e la pioggia ormai stava per arrivare e con essa anche la grandine e ancora più gelo e freddo. Non aveva nessun posto per ripararsi e non aveva idea di dove poter andare;ormai camminava da ore e le sue gambe erano stremate ad ogni movimento, l'avvisavano con fitte sempre più intense che non né potevano più. Non faceva altro che desiderare il caminetto caldo della sua casa e una bella cioccolata calda o magari un caffè bollente con un po' di anice dentro. Il solo pensiero la riscaldava anche se sapeva che era solo un illusione: le gambe erano due ghiaccioli, le calze strappate non le proteggevano più erano completamente invisibili. La pioggia iniziava a scendere e ben presto il suo naso avrebbe iniziato a gocciolare e le sue mani sarebbero state inutilizzabili,si meravigliava che fosse ancora in piedi. I brividi le percorrevano lungo la schiena, non si era mai sentita così stanca e terrorizzata, non sapeva dove andare, non ricordava nemmeno più il motivo per il quale era finita là. Aveva paura, ma non sapeva nemmeno lei bene di cosa, stava fuggendo da qualcosa che non c'era, solo perché voleva scappare, allontanarsi da un demone che in realtà era solo nella sua mente. La finestra era aperta: poteva arrampicarsi e tutto sarebbe finito. Tutto il freddo, la paura, la stanchezza il senso di impotenza sarebbero finiti. Ma aveva le mani troppo ghiacciate per poter salire fin lassù. Era quella la verità ? No, lo sapeva bene, lei voleva rimanere lì, non voleva tornare alla sua vita perfetta: adesso si sentiva viva. Mentre i brividi di terrore e di ansia o forse di freddo le percorrevano la schiena l'unica cosa a cui pensava era di essere viva. Riusciva a sentire tutto quel dolore perché lei c'era. Era lì in quel preciso momento, lei esisteva. Non c'era nessun altro al mondo che esistesse in quel momento e in quel posto, c'era solo lei, era unica. Non era forse assurdo ? Tanti esseri umani, tanti secoli, eppure non vi erano doppioni, il corso della storia mutava in continuazione, non era esistita nessuna come lei e nessuna sarebbe mai esistita. Quando sarebbe finito tutto non saresti più esistito e non ci sarebbe stato nessuno identico a te, nessuno avrebbe avuto i tuoi stessi pensieri,i tuoi stessi sogni le tue stesse esperienze. Andava nell'assurdo ma quei tanti esseri umani che si vedevano tutti i giorni erano unici. Unici e inimitabili e così come tutte le altre creature viventi e non viventi, era praticamente impossibile che esistessero al mondo due cose perfettamente uguali. Ogni cosa era diversa in una piccola parte. Ormai era una zuppa d'acqua, i capelli le si attaccavano al viso e il vento era così forte da impedirle di tenere gli occhi aperti: non vedeva nulla e non sapeva dove stesse andando. Si rese conto ben presto di trovarsi in un parco-giochi e a qualche metro di distanza da lei c'era una casetta, quelle per i bambini, non era granché ma aveva bisogno di sedersi e di ripararsi dalla pioggia. Così si rifugiò al suo interno. Appena si sedette il dolore alle gambe divenne più forte, non riusciva a muoverle e le mani erano nella stessa situazione, anche il respirare era diventato faticoso. Le palpebre erano pesanti e gonfie e mentre lì fuori il vento continuava a infuriare non riuscirono a restare aperte per più di un secondo. I raggi del sole le colpirono il viso; pur istintivamente coprendosi il volto con le mani essi erano troppo forti e lentamente aprì gli occhi: sbatté le palpebre più e più volte prima di riuscire ad aprirle completamente. Poi cercò di mettersi seduta. Adesso aveva il pieno funzionamento delle mani, anche se le gambe le dolevano ancora un po'. Rimase seduta li ancora un po' prima di farsi forza e di alzarsi: fra poco sarebbe arrivato di sicuro qualche bambino che sorpreso di vederla lì avrebbe fatto troppe curiose domande. Così si sveltì e si alzò uscendo velocemente dal parco. Aveva il bisogno urgente di una doccia, puzzava. Non le era mai capitato di puzzare così tanto. Ma non poteva tornare a casa sua, se ancora poteva definirla casa. Non aveva nessun posto dove andare così si avviò verso il ponte, ogni volta che ci passava c'era un barbone che però era differente dagli altri: puzzava di meno. Forse conosceva un posto dove potersi dare una rinfrescata, non era un'idea fantastica, ma era un inizio: almeno le sue gambe sapevano che direzione prendere. Quel percorso le sembrò lungo più di un miglio, una strada che normalmente attraversava in pochi minuti adesso le sembrava la più lunga che avesse mai percorso. Non aveva mai camminato così lentamente in tutta la sua vita, perfino un anziano con un bastone l'aveva superata, guardandola con aria di superiorità quasi come a sentirsi orgoglioso di essere più veloce di una ragazza così giovane. Per quanto si sforzasse di ripetersi che sarebbe andato tutto bene, sapeva che non era così, non era mai stata una ragazza pessimista, per lo più trovava sempre il lato positivo delle cose, ma questa volta proprio non sapeva dove sbattere la testa non aveva nessuna idea di cosa fare di preciso, ormai le sembrava di non conoscere nemmeno più il suo nome, non sapeva che cosa stesse succedendo alla sua vita. Senza volerlo la sua mente ritornò alla sera prima: per quanto si sforzasse non aveva idea di come tutto quel disastro fosse iniziato, lei proprio non sapeva come fosse successo, riusciva solo a sentire le urla di Meridith che continuava a imprecare contro Dawson di quanto lei fosse pericolosa , ricordava lo sguardo superbo con cui l'aveva guardata , risentiva le parole sprezzanti con cui le diceva che era tutta colpa sua, che lei era strana, era una pazza. Rivedeva il momento in cui era uscita sbattendo la porta. Aveva chiuso non solo la porta, ma aveva messo fine a quella parte della sua vita, per una volta che le cose stavano andando bene, senza sapere come né perché aveva di nuovo rovinato tutto. Si pentiva solo di non aver preso qualche soldo e qualche vestito, ma non sarebbe ritornata in quella casa, in un modo o nell'altro se la sarebbe cavata oppure sarebbe morta. Certo che era proprio sfortunata: c'era sempre quel vecchio barbone lì in quell'angolo e proprio oggi non c'era nessuno. Non aveva nemmeno la forza di imprecare, si avvicinò all'angolo e notò una coperta verde sgualcita e un po' bucata, ma a lei sembrò quasi un dono dal cielo anche se era una bella giornata, l'aria era tiepida e lei stava tremando, le stava di sicuro salendo la febbre. Si sedette e si raggomitolò in quella vecchia coperta, aveva un odore strano: puzzava di pipì di gatto e di benzina e di qualcos'altro però non le importava le portava calore e quello le bastava. Stava camminando su una cancellata, era in bilico, camminava quasi sulle punte, sembrava una di quelle del circo, era felice e allegra come non lo era mai stata, quando all'improvviso il vento, un soffio di vento con un viso maligno le si avvicinava ridendo,le fece perdere l'equilibrio e lei cadde, stava cadendo nel vuoto quando si svegliò di soprassalto. Stropicciò gli occhi e cerco di abituarsi alla luce, non riusciva a capire dove si trovasse ... aveva qualcosa di freddo sulla fronte e non era più per la strada, di questo né era certa: sopra di lei c'era un soffitto, appena riuscì ad aprire di più gli occhi notò il dipinto che c'era sopra di lei: era la creazione dell'universo; di sicuro era in una chiesa,come ci era arrivata era tutto da scoprire. Voleva alzarsi, ma non appena sollevava la testa girava tutto, così al terzo tentativo si arrese e rimase a guardare il soffitto finché non si addormentò di nuovo. Quando si risvegliò non era più nello stesso posto, sopra di lei c'era un soffitto grigio: per lo più sembrava il solaio di un seminterrato o di una soffitta, non né aveva idea, voleva capire che diavolo stava succedendo, come si trovava in quel posto. La febbre le doveva essere scesa, perché si sentiva meglio, molto meglio. Sentiva delle voci, tante voci, ma non né distingueva nemmeno una e non riusciva nemmeno a capire quante persone ci fossero. Girò leggermente la testa e in un angolo seduti c'erano un paio di ragazzi, poi i suoi occhi incontrarono un paio di occhioni blu. Di un blu profondo, un blu bellissimo. Era una bambina, una bellissima bambina, sembrava quasi una bambola che dopo un po' le sorrise e gridò – Si è svegliata, si è svegliata!- Dei ragazzi si girarono verso di lei, ma non dissero nulla. Lei si era messa a sedere su l'unico letto che c'era in quella stanza a quanto pareva era completamente vuota non c'era alcun arredamento, forse un bagno dietro una porta che era a un paio di metri da lei ma non né era certa. Le girava la testa e si sentiva totalmente stonata come se avesse bevuto, voleva chiedere delle spiegazioni, ma non riusciva ad aprire bocca. Una ragazza, quella che sembrava più grande fra tutti (aveva forse un ventina d'anni) le si avvicinò. – Hey, stai bene ? -. Annuì, ma per qualche strano motivo non riusciva ad aprire bocca, era come se fosse scioccata, forse un po' lo era, si trovava in un posto strano con tanti ragazzi e non stava capendo proprio un bel niente. Nella sua mente si formavano una marea di domande, ma era come se il cervello non mandasse alcun segnale alla bocca per parlare. – Io mi chiamo May, qual è il tuo nome ? .- La ragazza la guardava con fare interrogativo e finalmente lei riuscì a biascicare il suo nome – Io sono Ellen. Ellen Welland.- -A nessun importa del tuo cognome.- Un ragazzo biondo appoggiato ad un pilastro disse quelle parole con molto disprezzo e guardandola con rabbia come se gli avesse fatto qualcosa, ma in realtà lei non lo conosceva o almeno le sembrava di non conoscerlo. – Non essere arrogante Tate. Non fare caso a lui Ellen, è solo arrabbiato con il mondo intero.- Lei annuì di nuovo e poi finalmente riuscì a dire – Dove siamo ? - - Ecco, non lo sappiamo ci siamo tutti risvegliati qui, dopo che qualcuno ci ha drogato. – - Stai dicendo che siamo stati rapiti ?- - Si, principessa siamo stati rapiti adesso non metterti ad urlare e a piangere però. – - Tate .... - Gli urlò May con fare di rimprovero. - Ma quale principessa non lo vedi come è conciata, più che altro sembra una barbona. - Ellen si girò per vedere chi stesse parlando e vide una ragazza cicciotella, con un viso paffuto che ti metteva allegria e con dei lunghissimi capelli castani – Ciao io sono Adelaide.- Le si avvicinò come per abbracciarla e poi disse – Puzzi anche come una barbona - e scoppiò in una risata che contagiò un po' tutti tranne Tate che accennò ad un piccolo sorriso che per lo più sembrava una smorfia. Ellen non si offese sapeva che puzzava e anche tanto, la testa le scoppiava, era incredibile non era possibile che le stessero succedendo tutte queste cose assurde in così poco tempo non aveva senso. Prima quel casino a casa poi la sua fuga, la pioggia e infine era stata rapita. Era stata rapita. Wow ! Si lasciò ricadere sul letto perché tutto quello era assurdo . Ma non appena appoggiò la testa sul cuscino sentì urlare adesso sapeva di chi era quella voce :Tate – Hey non pensarci nemmeno, il letto non è di tua proprietà -. – Scusa io non avevo intenzi... - - Non me ne frega un fico secco delle tue scuse. Oggi è il mio turno, smamma ckyHc. - Ck che ? - Dal suo sguardo capì che non gli avrebbe dato alcuna spiegazione così si alzò dal letto senza dire nulla; non voleva problemi e non aveva nemmeno la forza per discutere, voleva solo capire perché diavolo si trovava lì. Si avvicinò alla porta e provò ad aprirla più volte anche se tutti continuavano a ripeterle che era inutile, provò perfino con le forcine, ma un ragazzo la prese in giro dicendo che sbagliava completamente la tecnica e glielo diceva uno che di professione faceva il ladro. Dopo un paio di tentavi si arrese e provò ad aprire l'altra porta, quella che all'inizio aveva pensato fosse il bagno; la porta si aprì facilmente e notò con piacere che aveva ragione. Purtroppo quella stanza assomigliava ad un bagno come lei assomigliava a Taylor Swift. Era sudicio, puzzava molto di più di qualunque bagno degli autogrill, solo che sulle pareti non c'era alcun numero di telefono. C'era anche una vasca, ma era in pratica inutilizzabile, era ricoperta di una sostanza giallognola soprattutto attorno ai bordi, e la vasca che avrebbe dovuto essere bianco perla ormai era cenere e quasi non si vedeva più il colore iniziale. Provò ad aprire la fontana, ma era bloccata, non riusciva in nessun modo ad alzarla. Passò la mano sui bordi della vasca e sentì qualcosa di viscido sotto le dita che le fece accapponare la pelle, così allontanò subito la mano. Si avvicinò al lavello: doveva essere un pezzo da collezione, era molto bello anche se tutto rovinato e pieno di calcare e ruggine, ma pensò che Dawson sarebbe stato capace di restaurarlo e di venderlo ad un prezzo molto alto. Pensò a cosa stessero facendo lui e Meridith...chissà se avevano chiamato la polizia e gli assistenti sociali. Forse si, ma avrebbero tutti pensato che fosse una fuga adolescenziale in realtà era così,ma adesso era stata rapita. Una cosa era certa: di sicuro non l'avrebbero trovata perché nessuno che conosceva si sarebbe sprecato a cercarla per più di un paio di giorni, ma magari i genitori di quei ragazzi avrebbero insistito e avrebbero trovato anche lei. Lo sperava, non aveva voglia di essere violentata da un pazzo maniaco e tagliata a metà e i suoi resti buttati chissà dove. Ok,' forse stava esagerando' pensò, magari le cose non era messe così male, forse era solo un pazzo che voleva qualcuno che facesse le faccende domestiche e si prendesse cura di lui senza nessun pagamento come una sorta di schiava. Rise mentalmente, forse Mrs Claudette aveva ragione quando diceva che lei guardava troppi film. Si guardò al piccolo specchio appeso di fronte al lavello: era uno di quegli specchi piccoli, uno di quelli che vendevano i negozietti cinesi sotto casa sua. Quegli specchi tutti colorati che erano troppo grandi per portarli nelle borsette e troppo piccoli appesi sopra i lavandini. Questo qui era di un giallo vivace e forse era l'unica cosa più nuova in tutto il bagno. Non riconobbe il suo riflesso, non era una che amava tanto la moda il trucco e i capelli, ma non era mai arrivata al punto di essere davvero inguardabile: i suoi capelli erano peggio di quelli di Hermione nel primo film di Harry Potter. Provò ad aprire la fontana del lavello sperando che uscisse un po' d'acqua ,aveva un certo bisogno di lavarsi almeno il viso e le mani . L'acqua uscì... solo che uscì color marrone; provò a farla scorrere per un po' nella speranza che uscisse così solo perché non si utilizzava quel lavello da molto tempo e che fosse una sorta di ristagno; dopo un po' l'acqua prese un colore più trasparente anche se non era del tutto limpida. Le faceva altamente schifo, ma si lavò comunque la faccia perché ne aveva un disperato bisogno. Si avvicinò al water e sperò con tutto il cuore di non doverlo mai utilizzare, che non sarebbe rimasta lì a lungo perché definirlo schifoso era davvero insufficiente. Non rimase in quella stanza un minuto di più e aprì la porta di scatto come se volesse scappare a gambe levate da quel posto, ma in realtà non poteva andare da nessuna parte e si ritrovò di nuovo in una stanzetta con una decina di ragazzi e il cui unico arredo era un misero lettino, il cui posseso, per ora, era del signorino Tate. Non provava antipatia per nessuno e aveva imparato a non giudicare mai nessuno dalla prima impressione, ma quel ragazzo l'aveva trattata male senza nemmeno una ragione valida, non poteva certo dire che era la simpatia in persona,ma si sforzò di non odiarlo: infondo era stato rapito anche lui e chissà da quanto tempo era lì, magari era solo malumore. Mentre era persa in questi pensieri si rese conto che era stata ferma immobile sull'uscio della porta come una vera idiota e qualcuno di quei ragazzi la stava fissando. Il fatto era che non aveva idea di cosa fare però pensò che muoversi fosse la cosa migliore. In un angolo vide il suo zaino così si avvicinò, lo prese e poi si lasciò cadere a terra. Seduta accanto a lei c'era quella bimba dagli occhi di un blu stupendo: era intenta a pettinare una bambola con le dita e quasi non si accorse di lei, poi d'improvviso si girò e la guardò per un paio di secondi con i suoi grandi occhi blu che sembravano scrutarla come se stessero cercando qualcosa. Poi disse: - Non preoccuparti, facciamo a turno per il letto e oggi era il turno di Tate, prima o poi toccherà a te. - Ellen annuì, poi ripensò alle sue parole... facevano a turno!? Da quanto tempo erano in quel posto? era convinta che fossero lì da un giorno o due, ma adesso non ne era più tanto sicura,e aveva decisamente troppa paura della risposta. Dopo un paio di minuti si fece coraggio: respirò a fondo e fece la fatidica domanda. La bambina la guardò per un po' come se avesse fatto la domanda più stupida del mondo e poi con la sua vocina dolce disse – Io e Tate siamo qui da due settimane, più o meno, gli altri non lo so, ma erano qui prima di noi-. Detto questo ritornò a pettinare la sua bambola come se nulla fosse. Sembrava così calma, si chiese come fosse possibile che una bambina non avesse paura o che non chiedesse della mamma, proprio non lo capiva visto che lei stava morendo di paura, iniziava ad avere terrore perfino di quella bimba così maledettamente calma, infondo tutto quello che sembrava così angelico e puro in realtà non lo era mai. Scacciò quel pensiero dalla testa e si rese conto che era solo una bambina e che forse stava solo trattenendo le lacrime perché gli avevano detto di fare così. Le accarezzò i capelli arancioni: erano davvero di un colore particolare, sembravano quasi finti, ma soprattutto erano morbidi, davvero morbidissimi... come faceva ad avere i capelli così morbidi ? di sicuro non li lavava da una settimana e pure erano certamente più in ordine dei suoi. – Come ti chiami ?- Le chiese gentilmente mentre continuava ad accarezzarla. La bambina si girò di nuovo lentamente verso di lei e la guardò fisso negli occhi prima di fare un ampio sorriso e di rispondere in maniera allegra – Io sono Ruth e questa è Polly.- E le portò la bambola dai lunghi capelli biondi davanti al viso. Ellen le sorrise e le disse che era davvero molto carina. Ruth con molto entusiasmo confermò che aveva proprio ragione e continuò a pettinarle i capelli. Ellen la osservò per un po', poi chiuse gli occhi è appoggiò la testa al muro. Poco dopo si sentì osservata e aprendo gli occhi vide Ruth che aveva praticamente il naso sul suo: dovette fare una strana espressione perché subito dopo la bimba si mise l'indice sul naso per indurla a rimanere in silenzio. Ruth allungò il braccio appena dietro la nuca di Ellen e subito dopo con felicità annunciò – Ti ho presa ! - Dopo poco Ellen vide che teneva tra le mani una piccola lucertolina: non era del solito colore verde, ma andava più nel marroncino, quasi nel rosa, una volta aveva sentito che quel tipo di lucertola portava fortuna. Non era quel tipo di persona che aveva paura dei rettili o degli insetti, ma non le piaceva nemmeno averli troppo vicino, non li trovava affatto carini, preferiva un bel cane o un gatto, magari anche un coniglietto. Ruth si spostò e si andò a sedere di nuovo vicino a lei tenendo la lucertola per la coda e giocandoci come a volte facevano i gatti. Poi la mise a terra tenendola ferma per la coda e le iniziò ad accarezzare la testolina. – Non ti piacciono le lucertole ? -Chiese d'improvviso a Ellen. – Non tanto a dire il vero. – -Non piacciono mai a nessuno, sono così carine invece! soprattutto queste rosa, sono le più belle.- Lo disse con il broncio come se fosse delusa che nemmeno a lei piacessero. Continuò ad accarezzarle la testolina, però Ellen notò che adesso non la teneva più ferma per la coda, la lucertola era libera di andarsene se voleva eppure rimaneva lì ferma sotto le manine paffute di Ruth...la cosa la sorprese, non pensava che a una lucertola potessero piacere le carezze, o forse era morta ? Il pensiero la faceva rabbrividire: era già abbastanza strano accarezzare una lucertola, ma perfino una morta era davvero un po' schifoso. Non appena quel pensiero le sfiorò la mente la lucertola si mosse e corse via, Ruth non fece nulla per fermarla. Ellen non riusciva proprio a capire la calma di quella bambina, era così piccola, tutti gli altri non che stessero piangendo o urlando, ma si vedeva che erano tesi; un ragazzo continuava a camminare avanti e indietro e poi si sedeva di nuovo e poi ancora camminava, un'altra ragazza si stava torturando le unghie a furia di mangiarle , Adelaide si faceva e si disfaceva una treccia, il ragazzo che si vantava di essere un ladro stava giocando con un elastico, accanto a lui c'erano due ragazzi che prima non aveva notato: erano due gemelli,no un momento, erano tre, il ragazzo che continuava a camminare avanti e indietro era identico a loro. Si rese conto di non sapere i nomi di parecchi di quei ragazzi, ma loro non si erano presentati , forse lei poteva dire qualcosa, poteva avvicinarsi a loro, infondo erano tutti stati rapiti, erano tutti sulla stessa barca, forse conoscerli era una buona idea, almeno per capire se qualcuno di loro avesse un idea del perché si trovassero lì. Doveva pur esserci un motivo ? Oppure no, ma anche se era solo la follia di un pazzo, doveva esserci qualcosa che li accumunava: tutti i serial killer sceglievano delle vittime in base a qualcosa nei tratti fisici o sull'età o su qualche attività comune. Beh non si trattava di sicuro dei tratti fisici, lì erano tutti diversi, e nemmeno dell'età e le attività: non credeva che nessuno di quei ragazzi facesse qualcosa come la scherma. Lei adorava la scherma fin da quando era bambina, fu molto triste per lei quando dovette abbandonarla: si era sempre detta che l'avrebbe ripresa. La scherma era l'unica maniera in cui riusciva a comunicare con sua madre e le mancava tanto la sensazione di impugnare una spada nelle mani, la faceva sentire sicura di sé: se adesso avesse potuto avere una spada di sicuro avrebbe avuto meno paura. Si era decisa ad alzarsi per fare amicizia con gli altri ragazzi, per cercare di capire, di trovare una ragione per cui erano tutti lì, se fosse morta voleva almeno capire perché lei, perché uno svitato avesse preso proprio lei. Non appena stava per alzarsi, Ruth appoggiò la testa sulle sue gambe, così non se la sentì di farla spostare e iniziò ad accarezzarle i capelli,poi senza volerlo le fece la domanda a cui stava pensando fin da quando l'aveva vista :- Non hai paura Ruth ? Ruth non si mosse e sempre con tanta calma le rispose – No, finché c'è il mio fratellone non ho paura di nulla -. - Il tuo fratellone ? - -Tate.- Le rispose con grande naturalezza. – Tate è tuo fratello ?- Se avesse avuto qualcosa in bocca lo avrebbe sputato, si rese conto di aver alzato leggermente il tono della voce, ma per fortuna nessuno sembrò notarlo tranne May che si girò verso di lei con uno sguardo torvo come ad avvertirla di stare attenta a quello che diceva. Ellen si girò di scatto verso Tate per assicurarsi che non l'avesse sentita, non voleva alcun tipo di problema, ma per fortuna lui sembrava immerso nei suoi pensieri. Mentre lo osservava sentii sbiascicare un ''si'' da parte di Ruth. – Lui non è cattivo, prima ti ha detto così solo per proteggermi.- – Proteggerti ? - -Si, se te lo dico ma prometti di non dirlo ?-. Ruth si era alzata e l'aveva guardata dritta negli occhi come per capire se potesse davvero fidarsi di lei. – Si te lo prometto. - Ruth annuì energicamente e poi fece un gran sorriso si avvicinò a lei il più possibile in modo che potesse sentirla solo lei – Bene allora ti racconto tutto. Quando sono arrivata qui May... - -Aspetta Ruth come sei arrivata qui?-. - Non lo so, era il mio compleanno: ho appena compiuto otto anni.- Disse compiaciuta e poi continuò - Tate mi aveva portato a prendere la cioccolata calda, mi ero anche fatta mettere i pezzi di marshmallow e poi mi sono svegliata qui. Io e Tate eravamo davvero spaventati, ma per fortuna May ci ha aiutati: lei è stata la prima ad arrivare qui e ci ha spiegato che visto che c' era solo un letto, si cercava di fare a turno per non creare litigi, però disse che io potevo avere il mio turno e dormire un'altra volta con Tate e una volta anche con lei visto che ero piccola e si poteva stare a due nel letto, ma Adelaide ed August non erano d'accordo ; - Ellen cercò di capire chi era August ma c'erano quattro ragazzi di cui non conosceva il nome quindi non aveva idea di chi potesse essere, riprese ad ascoltare Ruth - Così durante la notte quando dormono tutti Tate e May mi fanno dormire nel letto anche se non è il mio turno, hai capito adesso ?- Ruth non le diede il tempo di rispondere – Tate non è cattivo voleva solo essere sicuro che tu non ti addormentassi sul letto così io stanotte potevo dormirci con lui. Lui è bravo davvero.- Ruth continuò a enfatizzare il fatto che Tate fosse buono, il più buono di tutti: si vedeva che gli voleva un gran bene. – Ho capito Ruth non preoccuparti il tuo segreto sarà al sicuro con me.- Ruth le sorrise di nuovo e poi si sdraiò di nuovo sulle sue gambe – Mi accarezzi di nuovo i capelli ?- le chiese - Sai lo faceva sempre la mia mamma.- Ellen sentì una stretta al cuore, era una bambina e aveva paura anche lei , era solo molto coraggiosa. Non disse nulla e iniziò ad accarezzarle i capelli. Ripensò a quello che aveva detto Ruth: lei è Tate erano fratelli, di sicuro non l'avrebbe mai capito, non si somigliavano per niente. Tate era più alto di lei, doveva essere un metro e settanta più o meno, aveva un fisico asciutto, non era grasso ma non era nemmeno tutti muscoli, ma era uno di quelli che in una rissa se la sarebbe cavata. Aveva un viso sottile, capelli biondi tutti arruffati e occhi castani a mandorla e delle lunga ciglia. Ruth invece non aveva un fisico esile, era una bambina robusta, non era grassa ma era di grossa statura. Il suo viso sembrava di porcellana, aveva una pelle chiara e liscia,non c'era nemmeno una lentiggine tipica di chi aveva i capelli arancioni come i suoi. Il nasino era piccolo, alla francesina e avevi degli occhioni blu che l'avevano colpita fin dalla prima volta che l'aveva guardata, sembravano quasi disegnati. Con Tate lei non trovava proprio nessun tratto in comune, continuò ad accarezzarle i capelli sorprendendosi ancora di quanto fossero morbidi. Dopo poco Ruth si addormentò e mentre dolcemente continuava a coccolarla scorse la figura di May . Si era alzata per andare in bagno e mentre lo faceva aveva scorto sul suo fondoschiena il tatuaggio di un fiore,sembrava una rosa ma non era proprio sicura. May era alta e aveva delle gambe lunghe che la slanciavano ancora di più. I capelli le scendevano sulle spalle ed erano dorati, Ellen prima non ci aveva fatto caso, ma i suoi capelli sembravano risplendere e davano maggior risalto alla sua carnagione olivastra. Aveva degli intensi occhi color ambra che in qualche modo infondevano sicurezza, non appena l'aveva guardata Ellen si era sentita più tranquilla, adesso capiva bene anche perché Ruth si sentiva al sicuro avendo sia lei che Tate al suo fianco, almeno per quanta sicurezza ci potesse essere in uno scantinato in chissà quale città sperduta. Non c'era ben molto da fare e di sicuro i ragazzi non erano molto loquaci così ben presto Ellen si appisolò. – Cosa diavolo succede ? - -Non lo so, non era mai successo prima.- Ellen sentendo quelle voci riaprii gli occhi e si rese conto che del fumo o qualche strana sostanza stava uscendo dal condotto dell'aria. Erano tutti molto agitati e poco dopo si svegliò anche Ruth che corse verso Tate spaventata. Ellen non si mosse, qualunque cosa facesse non avrebbe fermato il fumo, pensò che poteva essere un veleno che li avrebbe uccisi tutti oppure una droga che li avrebbe tenuti svenuti per un po' come nei film. Ruth era svenuta, almeno così credeva: si era accasciata a terra e anche Adelaide e mentre anche lei iniziava a sentire girare la testa nelle sue orecchie risuonava la voce di Tate che gridava il nome di Ruth e quello fu l'ultima cosa che sentii prima di svenire.
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Gladii Domina - Padrona della Spada
FantasyIn un mondo in cui vive ormai solo desolazione,distruzione,terrore,odio e rabbia.Un mondo dominato da una guerra che prelude già da sei anni in cui tutti ormai sono rassegnati all'infelicità, in cui anche ormai gli uomini più giusti hanno perso ogni...