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Solo al pensiero di provare un'emozione, Sherlock Holmes avrebbe immediatamente rivolto i suoi pensieri alla facilità di coinvolgimento emotivo di coloro che suo fratello definiva "pesci rossi". Le emozioni per lui erano sempre state soltanto la venarura in una lente, l'imperfezione dell'essere umano, programmato per essere perfetto, ma che invece di perfetto non aveva nulla. Questo era quello che l'unico consulente investigativo al mondo aveva sempre pensato, fino a quando un soldato tornato dalla guerra in Afghanistan non gli fece cambiare idea.

Non era particolarmente freddo, quella sera. Pioveva, ma era una pioggerellina quasi piacevole, e Holmes se ne stava seduto su un taxi, osservando con quanra fretta le persone camminavano o entravano e uscivano dai negozi, e pensava a cosa fosse dovuta tutta quella fretta. Nessuno era degno di dover sbrigarsi, nessuno stava lavorando per salvare la vita di qualcun altro. Nessuno era come lui. Fino a poco tempo fa il pensiero di essere unico nel suo genere non lo disturbava, ma da due mesi a quella parte era evidentemente cambiato qualcosa. E la causa era evidente a tutti. A tutti tranne al diretto interessato. Scese dal taxi e, dopo aver pagato il tassista, si avvió verso il portone dell'appartamento che condivideva con la causa del suo evidente cambiamento: John Watson.

Si erano incontrati quasi per caso, i due. Grazie a un amico comune si sono conosciuti e hanno iniziato a condividere un appartamento, dapprima con disinvoltura da parte di entrambi, ma, con il tempo, con sempre più rigidità da parte del detective. Sherlock non capiva molto bene cosa stesse succedendo: si setiva strano, ogni volta che vedeva John si sentiva mancare, come se il suo corpo rifiutasse di stare in piedi, sovrastato da cotanta purezza e normalià, cose che Sherlock aveva iniziato a invidiare alle persone che non erano lui. Trovava quell'uomo stranamente affascinante, cosa che non aveva mao pensato prima di nessuno. Oramai il detective reputava John come un aiuto, un appiglio, lui era ciò che sbrogliava la matassa di pensieri che si era formata nella sua testa, era lui che dava un senso a tutto ciò che era e che stava diventando.

Dopo un mese, Sherlock pensó quasi di impazzire. Non sapeva cosa aspettarsi dal suo cervello. C'era ovviamente qualcosa che non andava. Stava iniziando a provare emozioni. Stava iniziando a pensare che forse John fosse l'uomo programmanto per essere perfetto, e che fosse l'uomo che lo aveva reso un essere umano, trasformandolo da un pezzo di carbone a un diamante ancora non perfetto, ma comunque sul punto di diventarlo. Sherlock era convinto di provare davvero qualcosa, e questo era, a suo parere, orribile. Sapeva che ci sarebbe stato un qualunque intoppo, una qualsiasi cosa, e infatti non troppo tempo dopo, qualcosa successe.

Sherlock aveva preparato un discorso. Un piccolo discorso relativo al provare sentimenti e ad altre cose che solo due mesi fa avrebbe rinnegato. Holmes scrisse il discorso, e lo chiuse in una busta. Non lo imparó a memoria. Non ne ebbe il tempo. Non gli è stato dato il tempo per leggerlo una seconda volta. Un segno del destino? Probabilmente soltanto sfortuna, nulla di più. Soltanto una terribile coincidenza. Peccato che debba finire qui. Davvero.

Decise di fare lo stesso una telefonata. Compose velocemente il numero di John sulla tastiera e schiacció il pulsante di chiamata. Trattenne il respiro per gli interminabili quattro squilli, prima che la soave voce di John non lo investisse, con il suo tono gentile ma maestro allo stesso tempo. Sarà l'ultima volta che Sherlock sentirà quella voce.

"Addio, John."
Lanciò il telefono dietro di se. Guardó in basso. Si sentiva pronto? No. Si sentiva uno sbaglio, qualcosa di strano e disumano? Qualcosa di folle? Qualcosa che nessuno avrebbe mai accettato? Si. Prese un respiro profondo. Il suo ultimo respiro profondo. Mosse un piede in avanti, lo tese nel vuoto. Sentí un urlo, un urlo disperato, appartenente a un uomo. John Watson. Non aveva il coraggio di morire di fronte a lui. Guardó John. Doveva essere l'ultima cosa che avrebbero dovuto vedere. E cosí fu. Si buttò, e senza nemmeno aver il tempo di ripensarci, si trovó per terra, con il respiro pesante e la coscenza, a suo parere, quasi pulita. Oramai era diventato tutto troppo grande per lui. La sua vita era stata breve e intensa, e a lui andava bene cosí. Dopo pochi mintui gli si appannó la vista. Dopo altrettanto tempo diventò tutto buio. Non molto tempo dopo l'uomo dal cuore di metallo aveva il cuore fuso, fuso da un soldato, che oramai non avrebbe mai più rivisto, se non all'inferno.

Goodbye, John.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora