Parte senza titolo 6

5 1 0
                                    


5 Cara Maryon,

ormai si è già conclusa la mia prima settimana qui a Londra, credo sia giunto il momento di mettere da parte la mia vita da turista e iniziare a mettere radici. In questi giorni non ho fatto altro che andare in giro per la città, mancavo da tempo e c'erano tanti luoghi che volevo rivedere, oltre a tutte le cose ancora da esplorare. Londra è un po' un cantiere a cielo aperto, una città viva e in continua trasformazione, qui sembra che il tempo sia accelerato e non è difficile scoprire che tutto, anche quel vecchio angolo a te così caro, non è già più quello di una volta. Ma tutto sommato è anche questo il bello di questa metropoli, l'energia che la attraversa in ogni sua parte non può fare a meno di contagiarti e tu stai lì, con ogni fibra del tuo corpo pronta a recepire quella fiamma di vita e libertà che solo questa città sa donarti, ecco perché aveva ragione quel famoso uomo che diceva che chi è stanco di Londra è stanco della vita: Londra è vita. Ad ogni modo, questa prima settimana è volata via e ora mi tocca rimboccarmi le maniche. Ma quello che mi preme raccontarti è soprattutto come sta andando con mio padre. Strano rapporto il nostro, tu lo sai bene. Quando io avevo cinque anni, dopo il divorzio dalla mamma, lui ha preso le sue cose ed è tornato in Inghilterra. Io ci sono stata male, gli volevo bene, dopo tutto era sempre mio padre e non mi era facile riuscire ad abituarmi alla sua assenza, ero solo una bambina e, per quanto avessi sempre faticato a comprenderlo, più attratta dagli abbracci affettuosi di mia madre che dai suoi timidi sorrisi, saperlo lontano era difficile da accettare. Mio padre aveva sempre vissuto in un mondo tutto suo, nel nostro piccolo paesino non stava bene e per questo si era costruito quella sua realtà solitaria, in cui a nessuno era concesso entrare. A nessuno, me compresa. Questo aveva creato una barriera, non è facile sentirsi davvero un padre ed una figlia quando sono poche le cose che si condividono, però io allora ero troppo piccola per comprendere e comprenderlo, mi limitavo ad accettare quello che lui mi offriva, a ricevere come acqua quei rari momenti in cui mi permetteva di arrivare un po' più vicina al suo cuore. Non capivo eppure avvertivo quella distanza, quel muro enorme che ci separava, quel muro che lui aveva costruito con tutti e che alla fine lo ha imprigionato. Dei miei primi anni di vita, quando penso a lui, lo vedo solo nella sua stanza, intrappolato fra i ricordi, le foto di un tempo che per lui doveva essere stato felice, la sua musica e i suoi libri, e io mi vedo fuori da tutto questo, lontana, nascosta dietro la porta ad origliare, sperando che prima o poi lui si accorgesse che ero lì e mi venisse ad aprire, lasciandomi entrare per stare un po' con lui. Ma non è mai successo. Ricordo anche le litigate con mia madre, le urla fino a tarda notte, i suoi lunghi silenzi e i pianti di lei, ricordo la sua valigia, l'ultima cosa che ho visto quella sera. Quella sera ... lui se ne andò, lasciandoci sole. Non era quello che voleva mia mamma, lei lo amava ed ha continuato ad amarlo ma non è bastato, non era sufficiente per riempire il vuoto che mio padre si portava dietro. Lui è tornato in Inghilterra e da allora il nostro già difficile rapporto si è ulteriormente complicato. Lui mi chiamava una volta a settimana ed io andavo a trovarlo circa due volte all'anno, lui in Italia non è più venuto. Non mi piaceva venire qui, ricordo i primi tempi in cui io e lui stavamo soli; lui viveva in un piccolo monolocale a Piccadilly, trascorreva tutto il giorno fuori casa per lavoro e mi lasciava sola o mi affidava ai suoi amici, tipi strani che mi portavano con se nei loro giri per la città, poi lui tornava la sera, mi metteva davanti qualcosa comprato al cinese o al ristorante indiano sotto casa, mi raccontava un po' della sua giornata e poi mi lasciava lì, davanti alla televisione. Non mi piaceva neanche quando organizzava qualche gita, lui è sempre stato di poche parole e trascorrevamo la giornata in silenzio, vicini ma lontani allo stesso tempo. In quel periodo ogni mattina mi svegliavo e contavo i giorni che mancavano alla mia partenza, benedicendo il giorno in cui questa arrivava; lui mi accompagnava all'aeroporto e, con un abbraccio distaccato, mi lasciava andare via. E in me crescevano il rancore e la rabbia, perché avrei voluto che combattesse per tenermi con se, perché avrei voluto che mi dimostrasse di tenerci a me, invece lo vedevo sempre lontano, indifferente, mi sentivo quasi un peso per lui in quei giorni, insomma, non è così che dovrebbe sentirsi una figlia. Poi è arrivata Teresa, lei è tutta un'altra storia, lei è la donna che ha saputo guarirlo e rimetterlo a posto, lei ha saputo fare quello che né io né mia madre siamo state in grado di fare. Lei aveva due figli, Nathan e Jeremy, più o meno della mia età, insomma, mio padre si era rifatto una famiglia. Aveva abbandonato quel piccolo monolocale per una villetta in un quartiere residenziale, aveva messo da parte la sua vita disordinata e anarchica, tutto per lei. A me piaceva stare con loro ma allo stesso tempo mi sentivo fuori luogo, un'estranea, lui si era costruito una nuova vita e io non ne facevo parte, anche se volevo non potevo. Per questo un giorno ho deciso che non volevo più vederlo, anche se stargli lontano mi faceva male, per qualche strana ragione era lo stargli vicina che mi provocava il dolore più forte. Durante l'ultima visita, prima della partenza, gli ho detto che non sarei più tornata, che il mio posto non era quello. Non so se lui ha sofferto, se ha pianto una volta tornato a casa, se si è maledetto per tutti i suoi errori, biasimato per non aver saputo costruire il rapporto con sua figlia, fatto sta che lì, davanti a me, non ha ribattuto, ha detto solo che, se era quello che volevo, lui non poteva forzarmi e costringermi a cambiare idea. E io l'ho odiato ancora di più, perché mi sembrava che non avesse aspettato altro, ho pensato che era da sempre che attendeva il momento per potersi liberare di me, ho pensato che gli stessi facendo un favore, che il mio addio per lui fosse un regalo. Sono salita su quell'aereo con le lacrime agli occhi e tanta rabbia nel cuore, in testa solo una certezza, non volevo rivederlo mai più. Al ritorno mia mamma ha capito subito che c'era qualcosa che non andava, io le ho detto poco ma non le serviva, lei sapeva già tutto. Quella sera mio padre mi ha chiamata per assicurarsi che il viaggio fosse andato bene ma io non ho voluto parlargli. È stato così per molti mesi, poi un giorno, era la festa del papà, mi sono sentita schiacciare sotto il peso della sua mancanza. L'ho chiamato ed abbiamo chiacchierato per un po' ma non è stato come speravo, dopo quella telefonata mi sono sentita ancora più sola, mi faceva troppo male sentirlo così chiuso in se stesso, non capivo, se era riuscito ad amare Teresa, se era capace di amare qualcuno, perché non poteva amare me, sua figlia? Avrebbe dovuto essere naturale per lui, invece no, sembrava la cosa più difficile che potesse fare. Nel tempo i rapporti si sono ridotti, le telefonate e le visite si sono diradate, io e lui ci siamo allontanati sempre di più, io decisa a mettere distanze incolmabili fra di noi, lui incapace o non desideroso di superarle, come ci si può sentire padre e figlia così? Eppure, nonostante questo, è a lui che mi sono rivolta nel momento più difficile della mia vita. Non ci ho pensato su un attimo, Londra era il posto che mi aspettava; è che forse, dopo la brutta storia con Marco, ho sentito il bisogno di mettere a posto i pezzi della mia vita. Da dove cominciare allora se non da mio padre? Mi è sembrata la cosa più normale. L'ho chiamato e gli ho detto semplicemente che volevo raggiungerlo, che avevo bisogno di venire a Londra, che volevo stare qui per un periodo. Lui non mi ha fatto domande, non mi ha chiesto nessuna spiegazione, non mi ha domandato perché, dopo tanti silenzi, era di lui che avevo bisogno, era a lui che chiedevo aiuto. Avrebbe potuto chiudermi la porta, rinfacciarmi di averlo tenuto fuori dalla mia vita, dirmi di bussare altrove ma non lo ha fatto. Mi ha semplicemente accolta, esattamente come un padre farebbe con una figlia e io non lo so, ma spero che questo sia l'inizio di un nuovo rapporto, spero che, prima o poi, potremo ritrovarci. Vivere di nuovo sotto lo stesso tetto con lui è strano, è passato tanto tempo, mio padre è cambiato, ora c'è una serenità che non ho mai visto nei suoi occhi, ora è un uomo felice, che ha trovato la giusta direzione da dare alla sua vita, poco importa in fondo quante vittime e quanti errori abbia fatto nel suo percorso. Io sono stanca di avercela con lui, forse è il momento di dimenticare il mio rancore, forse ho capito, non è che non voleva amarmi, è che semplicemente non sapeva farlo nel modo che io desideravo. E proprio quando avrebbe potuto riuscirci, io ho deciso di non dargli la possibilità. Io e mio padre siamo simili, schiavi dei sentimenti e delle nostre paure, poco inclini ad aprirci agli altri, noi quando il mondo ci ferisce e non lo capiamo lo teniamo fuori. È esattamente quello che io ho fatto con lui... ma ora posso dargli e darmi una seconda possibilità, quello che voglio ora è solo rimediare e ritrovare mio padre.

J&s

You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Feb 17, 2016 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

OltreWhere stories live. Discover now