1. Don't go

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Un urlo continuava a rimbombare nella testa del ragazzo, permeando ogni cosa e impedendogli di sentire altro. Non riusciva a pensare a nulla che non fosse quell'unica nota continua, era come una tortura che non voleva avere fine. Dopo quelli che sembrarono anni, il ragazzo iniziò a sentire un altro rumore in aggiunta all'urlo, un suono ripetuto ad intervalli regolari come un allarme, che prese gradualmente il posto di quel doloroso grido.

Vic Fuentes iniziò a sentirsi nuovamente padrone del suo corpo dopo quasi un giorno intero da che era stato portato in ospedale. Aprì gli occhi su un soffitto candido, venendone quasi accecato dopo quel periodo prolungato di buio, e non si stupì per niente nel sentire un dolore terribile localizzato principalmente nella testa.

«Victor? Ti sei ripreso?» una voce a lui sconosciuta gli fece voltare il capo, movimento decisamente doloroso, per incontrare un paio di occhi neri come la notte. La ragazza davanti a lui aveva, presumibilmente, solo qualche anno più di lui, indossava la divisa azzurra da infermiera e gli stava controllando la flebo.

«I-io...»

«Non ti sforzare, è normale non riuscire a parlare bene dopo un incidente come il tuo.»

A quelle parole, immagini dei suoi ultimi istanti di coscienza prima dello schianto tornarono a costellare i suoi pensieri, facendolo rabbrividire. Vedeva tutto attraverso una patina opaca, come se qualcosa stesse alterando i suoi ricordi.

«C-cosa è successo?» chiese, la voce resa rauca dal lungo silenzio che aveva mantenuto a causa del sonno.

«Tu e la tua ragazza avete avuto un incidente d'auto mentre tu guidavi in stato di ebbrezza. Lei sta bene, è tornata a casa quasi subito.»

Ecco perché non riusciva a ricordare, allora, era colpa dell'alcool. Gli venne voglia di darsi uno schiaffo per essere stato così incosciente, avrebbe potuto morire e, insieme a lui, anche Danielle. Idiota era un aggettivo troppo gentile.

«Perché sono ancora qui? Cos'ho che non va?» solo in quel momento aveva realizzato la portata delle parole dell'infermiera. Lei si era premurata di dirgli di Dani perché era una bella notizia, perché non gli aveva detto nulla della propria salute? Appoggiandosi sui gomiti, cercò di mettersi a sedere, ottenendo come unico risultato quello di far aumentare i battiti cardiaci registrati dall'apparecchio collegato al suo corpo.

«Fermati, non vorrai staccare qualche filo.» lo ammonì l'infermiera, spingendolo per una spalla in modo da farlo tornare sdraiato.

«Mi risponda, cos'ho che non va?»

«Forse è meglio... non sono tenuta a dirti nulla. Lo farà il dottor Bennington quando sarà il tuo turno di visita.»

Un sospiro frustrato uscì dalle sue labbra mentre la giovane infermiera infilava una siringa nella sua flebo, iniettandovi quella che, quasi sicuramente, era morfina. E addio alle tanto attese risposte.

°°°

Il dottore non andò a fare visita a Vic fino a dopo il pranzo, quando aveva già ricevuto una ramanzina dai genitori e da qualunque infermiere che passava nella stanza. Ormai aveva capito da solo che c'era qualcosa che non andava in lui, soprattutto perché gli avevano legato saldamente le gambe e la vita al letto, come se avessero paura che sarebbe scappato. Non aveva alcun motivo per farlo, vero?

«Victor Fuentes, giusto?» il ragazzo non avrebbe mai detto che quell'uomo era il suo dottore, se non avesse indossato il camice. Certamente non erano d'aiuto i dilatatori e gli avambracci tatuati che si intravedevano dalle maniche lievemente arrotolate.

«Sì, signore.»

«Allora, teoricamente dovrei farti la predica sul fatto che non bisogna guidare in stato di ebbrezza, ma sono sicuro che ne hai ricevute abbastanza. Piuttosto vorrei parlarti della tua questione un po'... delicata.» prendendo tempo, l'uomo estrasse un paio di occhiali dal taschino del camice, aprendo poi la cartella medica del ragazzo per leggervi qualcosa. O per fingere di leggere, cosa decisamente più probabile.

He could make hell feel just like home || KellicWhere stories live. Discover now