Prima storia

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La guardai attraverso la fessura tra le mie palpebre. Stava sorridendo. Anzi, stava ridendo. Piano piano, il rumore ovattato della sua risata si fece spazio nelle mie orecchie. Quando mi giunse al cuore, sentii una sensazione strana. Come quando sei sulle montagne russe e arrivi su, su, fino al punto più alto. Poi guardi giù. E scendi in picchiata.

Ecco, sentii quella sensazione.

Pensai che mi era mancato così tanto quel suono. Ma, nello stesso momento in cui lo pensai, non capivo perchè mi fosse mancato. Come poteva mancarmi così tanto qualcosa che sicuramente avevo sentito il giorno prima? Io e lei ci vedevamo sempre.

Mi resi conto, però, che non mi ricordavo di nessun giorno prima.

Lei non si accorse di niente, mentre guardava la tv. Ora la sentivo bene. La sua risata, la sua bellissima risata. Rideva come c'era scritto in qualche poesia che ci avevano fatto leggere a scuola, una risata come perle di una collana che cadono a terra. Come il mare che si infrange sugli scogli. Come il vento che soffia tra gli alberi.

Scorsi la fossetta tra i suoi denti. Quella in cui ci passava sempre la lingua in mezzo quando era nervosa, e che da piccola si riempiva di dentifricio perchè se ne vergognava. Per me, invece, era così bella. Perfetta.

Cercai di mettere a fuoco lo schermo della tv. Vedevo solo delle ombre sfocate, ma capii che era uno di quei vecchi film comici che piacevano a lei. Piaceva ridere, a lei.

Mi tornò in mente la prima volta che l'avevo fatta ridere. Era un giorno d'estate. Mi trovavo in un parco giochi in riva a un fiume, un enorme spazio verde creato appositamente per le famigliole perfette che ogni domenica si ritrovavano attorno a uno di quei banali tavoli di legno per prendere parte a un banale, noioso pic-nic.

La mia era una di quelle famiglie.

Il pranzo si era protratto per più di un'ora e mezza, e io non ne potevo davvero più. Così, avevo deciso di allontanarmi da loro - specialmente da mia cugina, una peste che continuava ad urlarmi nelle orecchie - e me n'ero andato a fare una passeggiata a piedi scalzi, stando attento a non pestare qualche regalino lasciato dai numerosi cani presenti.

Allontanandomi dalla zona che più brulicava di persone, ero arrivato in uno spazio isolato, popolato solamente da alberi nel pieno del loro splendore estivo.

Mi ero addentrato in un piccolo bosco e, dato che sempre meno sole filtrava tra le fronde degli alberi, avevo deciso di sedermi su una grande radice per potermene stare al fresco. Volevo rimanere da solo a pensare, nient'altro.

Quella scena idilliaca avrebbe continuato ad essere perfetta se non avessi improvvisamente sentito un urlo straziante. Ero saltato in piedi, spaventato, e avevo drizzato le orecchie. Dopo aver sentito un secondo urlo e capito da dove veniva, mi ero messo a correre in quella direzione. Avevo dovuto addentrarmi ancora di più tra gli alberi, i cui rami mi graffiavano le braccia. Il terreno era cosparso di oggetti spinosi che mi bucavano la pelle dei piedi, ma poco importava. Qualcosa mi spingeva verso quella voce, e mi faceva correre talmente forte da farmi credere di volare. Poi, però, mi ero bloccato di scatto nel vedere una figura di spalle, con capelli biondi e arruffati lunghi fino alla vita. Il suo corpo minuto era coperto da un vestito bianco e svolazzante, che le arrivava fino alle ginocchia. Ai piedi portava dei sandali dorati con delle pietre azzurre, lo stesso colore delle sue unghie. Non si era accorta della mia presenza fin quando, involontariamente, avevo spezzato un ramo con un piede. Si era voltata di scatto e mi aveva guardato terrorizzata, con i suoi grandi occhi blu spalancati. Erano circondati da mascara colato.

Aveva iniziato a indietreggiare, ma la sua schiena era andata a sbattere contro un albero.

- Tranquilla, non ti voglio fare del male. Ho sentito delle urla, e sono venuto a vedere cosa stesse succedendo. - avevo cercato di rassicurarla.

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