Capitolo II

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Il buio avvolgeva la camera come una spessa coperta dove solo il riflesso della luna sui bordi delle cornici e sulle superfici vetrate donava un po' di luce. Il silenzio era rotto solo dai respiri frammentati di Will Graham che ora giaceva nel letto. La testa si muoveva a scatti improvvisi come a voler scacciare gli incubi che pian piano si erano insinuati in lui. La sua mente era lontana così come i suoi sogni. Nulla avrebbe potuto confortarlo, nulla a parte sé stesso.
Il detective si voltò di lato aprendo infine gli occhi. Era nella sua camera da letto a Baltimora. Tutto era esattamente come lo ricordava, tutto era al suo posto. Quel buio gli conferiva una sensazione famigliare, una sensazione di pace. Si perse ad osservarlo per diversi minuti fin quando qualcosa non ruppe quel denso nero del quale era circondato. Impiegò diverso tempo prima di riuscire a comprendere che ciò che stava guardando era ciò che aveva visto appena un paio di giorni prima nella spiaggia a Grafton, in West Virginia. Il totem di cadaveri doveva averlo colpito particolarmente di quello ne era sicuro ma non era il totem che ora lo affliggeva era solo Joel Summers. I suoi occhi non erano più chiusi ma spalancati, il corpo si trovava ancora in quella posizione anormale all'apparenza decisamente scomoda. Le gambe ripiegate su sé stesse ai lati della faccia. Era stata l'ostentazione di quel gesto che forse l'aveva colpito ma ora poco importava perché Joel Summers era lì e lo stava fissando ad appena qualche metro di distanza. Will scivolò giù dal letto terrorizzato da ciò che i suoi occhi stavano osservando, non se ne capacitava, come poteva? Quell'uomo era morto e ora invece.. lo stava fissando. Joel Summers si mosse, le sue gambe scattarono ripiegandosi all'indietro emettendo suoni secchi amplificati dal silenzio che aleggiava nella casa. Il bacino si raddrizzò e con esso la schiena. Stava riacquistando una posizione normale, stava tornando in lui per quanto tutto potesse sembrare così impossibile. Era così che era stato creato, così che era stato posto sul totem. Will riusciva a percepire in qualche modo quel dolore nonostante le ferite erano state inferte post-mortem. Una fitta lunga la schiena lo percorreva, costringendolo a restare a terra mentre Joel Summers avanzava verso di lui con movimenti scattanti e poco fluidi. Altre fitte di dolore lungo le ginocchia nel punto esatto dove la rotula si era staccata dalla cartilagine e dal resto delle ossa che erano unite. Will si sentiva avvampare mentre gocce di sudore scendevano dalla sua fronte impregnando l'aria di quel suo odore. Ancora una volta era l'odore della paura l'essenza di Will Graham. Si accucciò sul pavimento, le gambe tremanti e ferite strette al petto. Le braccia protese in avanti mentre scuoteva la testa e cercava di proteggersi da quello che sarebbe successo.
« Vedi? »
La voce era così familiare e persino quel volto. Non era più Joel Summers ma Garrett Jacob Hobbs che avanzava lentamente verso un Will Graham tremante ed in preda ad un attacco di panico.
« Vedi? »
Fu questione di un istante. Will riuscì appena ad allungare la mano sul comodino, afferrare la pistola e sparare, sparare e sparare ancora. I tuoni di quei proiettili rimbombavano nelle sue orecchie offuscando ogni suo pensiero.
« Will? »
Gli occhi dell'investigatore si aprirono. La camera da letto era sparita lasciando il posto ad un luogo che conosceva ma che non riconobbe subito. I suoi occhi vagarono a scatti tra l'asfalto ed i gradini prima di posarsi sull'uomo che qualche secondo prima lo aveva chiamato. Non rispose. Il suo respiro si fece di nuovo agitato.
« Dove sono? »
Hannibal si era posto di fianco a lui osservandolo con aria incuriosita ed allo stesso tempo preoccupata. Indossava un abito scuro, avvolto da uno spesso cappotto che ora si stava sfilando per appoggiarlo sulle spalle di Will. Quest'ultimo indossava solo una t-shirt e dei boxer di colore chiaro. A giudicare dalla neve che aveva appena attecchito a terra il clima non doveva essere particolarmente caldo.
Quando il soprabito si posò sulle spalle dell'agente questo si scrollò appena, riscuotendosi. Si strinse nel cappotto percependo l'aria fresca che ora gli sferzava il viso.
« Ti trovi sulle gradinate di fronte al mio ufficio Will. »
« Non so come sono arrivato qui »
La risposta era stata secca e frettolosa, aveva esigenza di spiegare. Far comprendere ad Hannibal quello che era successo. In un certo senso sembravano tanto delle scuse ammucchiate.
« Vieni, entriamo. ».
Varcata la soglia d'ingresso e chiusa la porta alle spalle, il clima era decisamente migliore. Hannibal fece strada verso la sua cucina piuttosto che verso l'ufficio e Will lo ringraziò mentalmente. Non avrebbe potuto sopportare l'idea che il Doctor Lecter si mettesse ad esaminarlo in quel momento, non ora che si sentiva così fragile e così vulnerabile. Raggiunsero la cucina dove Hannibal posò sul pancone il mazzo di chiavi.
« Stavi uscendo? »
Solo allora Will si accorse che forse si era appena interposto tra i piani del Dottore. La cosa lo faceva sentire terribilmente a disagio ed inappropriato.
« Nulla che non può essere rimandato »
Accennò Hannibal con un tipico sorriso confortante. Stava squadrando Will ed il suo abbigliamento poco consono. Il detective si strinse ancora di più al cappotto che gli era stato offerto.
« Ti cerco dei vestiti »
Furono le ultime parole che Lecter pronunciò prima di sparire tra i piani superiori della casa. Evidentemente anche lui aveva captato il disagio che Will stava provando. La sua mente era esposta così come il suo corpo, non doveva essere una bella sensazione. L'orologio ticchettava alle spalle dell'agente. Le due e trentaquattro di notte, che impegni si potevano avere alle due e trentaquattro di notte?
I rumore dei passi del dottore annunciavano il suo ritorno.
« Spero che questi ti vadano bene »
Spiegò allungando gli indumenti che il professore aveva appena trovato. Will li accettò con un leggero sorriso mentre Hannibal allungava il braccio destro per indicargli la direzione del bagno. Li si sarebbe potuto cambiare e magari darsi una veloce rinfrescata. Non aveva un bel aspetto. Se ne rese conto solo quando poté finalmente osservare il suo riflesso, non era quello che ricordava. Gli occhi erano stanchi, arrossati. Le piccole rughe che avevano iniziato a segnare il suo viso sembravano più marcate invecchiandolo di qualche anno. La pelle era pallida quasi quanto quella che poco prima aveva visto in Garrett Jacob Hobbs. Chiuse gli occhi cercando di dimenticare quel sogno, quella visione o di qualsiasi altra cosa si trattasse. Si infilò i jeans, il maglione e gli scarponcini che gli erano stati gentilmente offerti da Hannibal. Avevano più o meno la stessa taglia, poteva ritenersi fortunato.
Uscì dal bagno scompigliandosi la faccia sperando che questa riacquistasse un po' di colore. Hannibal lo stava aspettando. Gli occhi del professore indugiarono per qualche secondo sugli abiti e sul corpo dell'agente prima di soffermarsi sugli occhi, stanchi e confusi. Will abbozzò un sorriso
« Te li farò riavere »
Hannibal lo apostrofò con un altro sorriso gentile
« Non è un problema Will. Ti ho preparato un caffè »
Disse accennando alla tazzina di porcellana con bordi in oro che era posta sul bancone della cucina.
Will fece appena un cenno di ringraziamento prima di avvicinarsi a bere un po' di quel liquido nero che gli avrebbe scaldato il corpo e magari risvegliato un po' la mente che era ancora troppo assopita. Percepiva la curiosità di Hannibal insinuarsi dentro di lui, come due occhi che non smettevano di fissarlo.
« Non so cosa sia successo »
Tentò di spiegare Will. Sicuramente quella era una magra consolazione per entrambi ma Hannibal sembrava tranquillo, come se in realtà si aspettasse di udire quelle esatte parole.
« Ti sei dissociato ancora una volta dalla realtà Will. »
Ed era vero. Hannibal gli aveva spiegato quella teoria il giorno precedente e seppur Will fosse riluttante all'idea ormai aveva compreso che era la verità.
« Ricordo di essere andato a letto.. di aver pensato al fiume, ad Abigail »
Quelle parole uscirono senza troppe difficoltà dalla bocca dell'agente. Un suono basso quasi un sussurro. Stava cercando di ricordare pensando ad alta voce. Hannibal si sentiva affascinato dal modo in cui la mente di Will era in grado di allontanarsi da tutto anche nei momenti più banali.
« Ricordo di essermi svegliato e l'ho visto. Joel Summers. »
Fece una pausa, il tempo necessario per metabolizzare quell'idea, per archiviarla come si doveva nella sua mente. L'espressione di Will si contrasse in un'espressione confusa ed allo stesso tempo dolorosa
« Le ossa si sono rotte. Le ginocchia, il bacino.. sentivo il dolore scavare la mia spina dorsale. E' stato così.. così.. doloroso »
Le ultime parole uscirono strozzate dalle labbra di Will Graham. Si poteva leggere la sincerità e la sofferenza nei suoi occhi. Non stava mentendo.
« Hai empatizzato Will. Hai empatizzato con un cadavere. »
L'investigatore rise. Una risata amara come a voler schernire Hannibal. Trovava ironico ciò che aveva appena detto ma allo stesso tempo lo temeva. Hannibal lo guardò con fare curioso mentre si appoggiava al bancone della cucina, vicino al lavandino.
« Puoi empatizzare con gli assassini. Pensi di non poter empatizzare con le vittime? »
Pronunciate ad alta voce quella realtà si presentava non più come una banale teoria ma assumeva un aspetto decisamente più concreto. Il sorriso di Will si spezzò sul suo volto quando finalmente acquistò quella conoscenza.
« Voglio che smetta.. insomma.. io.. Non era mai successo. »
Will stava di nuovo perdendo la calma come il giorno prima nel suo ufficio. Acquistava concretezza quella realtà così scomoda, una concretezza difficile da accettare.
« Sto impazzendo »
Ammise il detective appoggiandosi al muro con aria arrendevole. Chiuse gli occhi ma non c'era pace. Non c'era conforto in quel buio perché sapeva che nessuna fortezza avrebbe potuto proteggerlo da sé stesso e dai suoi incubi. Era un mostro creato con le sue stesse mani.
« Non è pazzia Will. La pazzia è una malattia mentale con grave psicosi. Indica la perdita di ragione e tu mi pari decisamente ancorato alla ragione. Combatti per essa, per restarci attaccato.. questa non è affatto pazzia. »
« Non credo che la ragione sia così legata a me. Non c'è ragione nei miei pensieri o nei miei incubi. »
« Sei spaventato Will. Non puoi incolpare la tua mente per come cerca di proteggerti »
L'investigatore si limitò ad annuire.
Doveva trovare una soluzione un rimedio a quello che la sua mente stava creando. Gli incubi stavano diventando sempre più frequenti. Ogni caso lasciava in Will una profonda cicatrice sempre più difficile da risanare.
« Voglio che parli con Jack, Will »
Il dottore fece un passo avanti appoggiando i pali delle mani alla superficie di vetro del tavolo.
« Ti sta facendo del male, ti sta usando. »
Will non riuscì a non trattanere una risata.
« Risolviamo dei casi, salviamo delle vite »
« Sei così vicino ai casi che a malapena riesci a distinguere la tua vita da quella di una qualsiasi vittima. Tutto questo ti sta consumando nel profondo. A breve non resterà che l'ombra di ciò che eri. »
Quelle parole parvero aleggiare nell'aria per un tempo indefinito.
« E' una tua scelta Will, ma a me non interessano le vite che salvi. Mi interessa la tua. Sono tuo amico. Farei qualsiasi cosa pur di aiutarti. »
C'era sincerità in quelle parole, ma non solo. C'era un sentimento che Will era riuscito ad intravedere ma che non era riuscito a cogliere. Ricambiò il sorriso di Hannibal
« E ora.. è meglio se ti riaccompagno a casa. Devi riposare. Sul serio questa volta. »

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 09, 2016 ⏰

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