Rabbia

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Questo capitolo è stato creato in collaborazione di alice_love_kawaii, che mi ha aiutato nel momento in cui non avevo più idee. Grazie, mi hai salvato. :")

La bambina incitò la bestia a continuare.
Essa annuì e iniziò.
"La ragazza vedeva le figure dei suoi compagni puntarle l'indice contro, anche se non perfettamente per via del pianto. Più precisamente, le vedeva offuscate: non distingueva bene i contorni e questo la mandava in confusione. Poteva solo sentirli, mentre la insultavano.
- Guarda, guarda! Piange ancora! -
- Dio mio, è proprio una buona a nulla. -
- Dai ragazzi, se aveste una faccia come la sua piangereste disperati anche voi! -
E poi tutti giù a ridere. La ragazza approfittò del momento per abbassare la testa e sistemarsi gli occhiali.
- Ehi, ma che hai?! Stai pensando a quanto fai pena? - uno spintone.
L'ennesimo, oserei dire. Abbastanza forte, aggiungerei. Tanto da farla cadere a terra.
Riprese gli occhiali caduti di fianco a lei e si rialzò un po' dolorante.
- Cosa fai, ti rialzi? Mh? - uno dei bulli s'avvicina. Lei indietreggia, non vuole essere picchiata.
- Codarda. - per poco non le sputa addosso. La guarda dalla testa ai piedi, poi ride.
- Che schifo di vestiti. Ma ti sei vista allo specchio? - - Non ce lo ha manco uno specchio, una volta che vede il suo riflesso si spacca in mille pezzi! - e giù a risate.
La ragazza sente una specie di peso sulle spalle, che si somma a tutti gli altri.
Masso, sopra masso, sopra masso.
- Cosa vuoi fare adesso, eh? - uno spintone. - Piangere ancora? Mh? - un altro. - Sei solo una frignona, lo sei stata fin dal primo anno. - un altro, molto più forte. - E quegli stupidi personaggini? Ne vogliamo parlare? Dovrebbero essere inceneriti, quegli orribili scarabocchi che fai. - a quel punto la ragazza ha stretto un pugno. Potevano risparmiarselo, per una volta. - Non ti rendi conto? Fanno schifo.
Scusa, cosa vuoi diventare? -
- Una... Fumettista... - mugulò lei, con la rabbia che aumentava.
- Cosa? - il bullo fece il gesto del "non sento", avvicinando una mano all'orecchio, quando era palese che aveva udito perfettamente.
- Una fumettista. - ridisse, sempre più adirata.
- Pff, davvero? Una fumettista? - si girò verso gli altri e urlò. - Una fumettista, gente! - risate. Risate dovunque. Nel corridorio, nelle classi, ovunque.
Il bullo si rigirò verso di lei.
- È chiaro ora, razza di- -
Ora la ragazza stringeva entrambi i pugni. Uno scatto d'ira le attraversò il corpo, e quasi inconsciamente prese il collo del bullo, facendolo sbattere contro il muro. Lo iniziò a picchiare e a riempirlo di pugni, prima che i suoi "amici" la prendessero dalle spalle, allontanandola dal bullo che ora restava, tremando, per terra, con del sangue che gli usciva dal naso e dalla bocca. La ragazza tirò una gomitata o un calcio ad un paio di coloro che l'avevano bloccata, ma alla fine riuscirono ad immobilizzarla.

-

- Mamma, domani dobbiamo andare dalla preside. - disse la ragazza appoggiando lo zaino a terra, dirigendosi verso la cucina.
- Perché? - chiese la madre, anche se sapeva già la risposta.
- Indovina. - disse lei, sospirando e prendendo del ghiaccio dal freezer.
La madre la guardò e semplicemente annuì.
- Capito. Posso venirci solo io? Tuo padre è occupato al lavoro. -
La ragazza alzò le spalle.
- Penso di sì. - Si mise il ghiaccio, avvolto in un panno, sull'occhio nero.
- Vado in camera mia. - disse, e dopo essere entrata nella sua stanza chiuse la porta.
Poi iniziò a piangere silenziosamente.
Prese il suo telefono dalla cartella e le sue cuffie dalla sua scrivania e attaccò il jack. Selezionò la canzone e si sedette sulla sedia, mise i gomiti sulla cattedra e si appoggiò le mani sulla faccia, coprendo gli occhi. Sentiva ancora la rabbia che le scorreva nelle vene. Ad un certo punto poggiò una mano sulla scrivania e si mise a graffiare la scrivania con le corte unghie che aveva, dato che le mangiava per lo stress.
Maledetti bulli.
Ma non si rendono conto che sono solo degli stupidi ad agire in quel modo?

La ragazza non riusciva a capire. Cos'ho di sbagliato? Solo perché magari non sono tanto carina, non ho le loro stesse passioni, forse.
- ...ma che passioni vuoi che abbiano, quelli la - mugolò in un sospiro, tra sé e se.
Parlava spesso, ma con la sua immaginazione. Ciò faceva presupporre ad un qualsiasi spettatore che parlasse da sola.
Ma non era esattamente così: non parlava da sola, ma con tutti quei suddetti personaggini che disegnava.
E non solo li disegnava, ma nutriva quasi un amore materno verso quest'ultimi.
Personaggi, O.C., chara. Chiamateli come vi pare.
Spesso desiderava essere come loro: ognuno di essi aveva un background specifico nella sua testa: li aveva immaginati specificandone ogni ben che minimo particolare. E ognuno di essi, rappresentava una parte di lei stessa, che solamente le mancava, o non riusciva ad emergere per la sua troppa insicurezza.
Molti dei suoi personaggi erano strani, ma non come lei: erano sadici, quasi psicopatici.
Aveva sempre avuto una passione per l'horror, e per le cose inquietanti.
Poi le rivenne in mente quello che aveva fatto a quel bullo, meno di un'ora fa.
Si era sentita bene.
Non più sottomessa.
Voleva riprovare quella sensazione di goduria, quasi libidine, che si prova ad... odiare. Odiare fino al punto di arrivare ad uccidere chi ti aveva fatto un male che ormai era inguaribile.
Non era un livido, o un braccio rotto. Era la persistenza, il continuo martellamento di insulti, lanciati come frecce, da chi non potrà mai capire cosa si prova a sentirsi inferiori, feriti nel profondo.
La ragazza si portò una mano alla fronte, facendo scorrere le dita fra i suoi capelli.
- L'odio genera odio. - mugoló nuovamente, fredda.
- Non devo fare ulteriore male a me stessa, non per colpa loro. Non è necessario. Sono loro che dovrebbero provare un po' di dolore, una volta tanto. Un po' di dolore. -
La sua voce si stava facendo ad ogni parola che usciva fievola dalle sue labbra, sempre più instabile.
- Dolore. -
Oramai il suo cervello era andato. Senza nessun preavviso. In un momento casuale, tutte quelle pietre, che metaforicamente, si portava alle spalle, avevano ceduto alla sua pazzìa.
Era sempre stata troppo timida per reagire, ma oramai la goccia aveva fatto sgorgare il vaso.
Era pazza. Ce l'avevano fatta diventare così.
La faccia della ragazza si ringrinzì in un ghigno.
- Non vali niente. Dicevano. Forse dovrebbero imparare cosa significa non valere niente, sparendo dalla faccia della terra.
Sei brutta. Dicevano. Forse se strusciassi le loro belle facce contro una parete non saranno più tanto belli da poter giudicare. Nessuna ragazza li cercherà più. Perché a stento li riconosceranno.
Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua? Dicevano. Forse sarebbe carino da parte mia fargli capire cosa significa letteralmente farsi mangiare la lingua dal proprio gatto... -
Intonava queste frasi come una cantilena, e uno sguardo omicida dipinto sul volto.
Voleva finire quello che aveva iniziato.
Per una volta, non vedeva l'ora di tornare a scuola.

C'era una volta... La rabbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora