Un giorno Speedy, criceto e mio unico coinquilino, si era ammalato dopo aver mangiato distrattamente una fettina di prosciutto sul tavolo, e metà del mio salario era evaporata dal veterinario. I miei soldi hanno cominciato a diminuire sempre più, e qualche settimana dopo sono stato licenziato. Avevo cominciato a cercare lavoro in bar, stazioni e uffici postali; in seguito ne ho trovato uno al Dinner's Hawaii, un ristorante mal illuminato, sporco, e di cui il proprietario puzzava di aceto. Mi sono arrangiato come potevo e nel week-end riuscivo ad avere un po' di tempo per Speedy. Poco dopo l'assunzione, Speedy era morto, presumo cercasse una compagna. Ero rimasto solo. Al ristorante Mattew, il cameriere era stato costretto ad andare per motivi di famiglia, così l'avevo sostituito, e ogniqualvolta chiedevo un aumento al proprietario, questi mi rinfacciava un arrogante <<no>>. Non potevo ribellarmi per paura di perdere il posto, e allora ho dovuto sopportare amaramente le ingiustizie del capo. Oramai i miei giorni apparivano scuri e freddi. E solo quando era arrivata Amanda, una nuova cliente del locale, hanno cominciato a illuminarsi. Era bellissima, una di quelle bellezze naturali e questo si notava di più quando con un sorriso mi ringraziava di averla servita. L'avrei voluta conoscere e non aspettavo altro che il momento opportuno, ma quando ci pensavo, mi chiedevo che cosa avrei potuto dirle mai di interessante: 'salve, sono Kail, un lavapiatti, facevo il pagliaccio e mi è morto il criceto'. Mi vergognavo del mio aspetto, dei miei riccioli ribelli che non ho mai saputo domare, delle mie mani untuose e graffiate. Mi vergognavo di me stesso, di quello che sono. Rimandavo, in disperata attesa che fosse lei a interessarsi di me, e l'attesa era finita quando mi aveva chiesto come mi chiamavo, io ho risposto ed è stato così che ci eravamo conosciuti. Come tutte le storie, eravamo destinati a stare insieme e come tutte a separarci. Tutto è cominciato da quando Amanda ha portato degli "amici", ma sembravano tutto tranne che amici: gente che stava fino a tardi e che si svegliava alle tre del pomeriggio, forse stanchi di sognare cose che non sarebbero accadute realmente, gente che fumava o si dava alla droga. Ho cercato di convincerla a lasciarli, ma non era servito a nulla. E così, ci siamo separati dopo una lite fra me e uno dei suoi amici. Il proprietario mi aveva cacciato, minacciandomi di non mettere più piede nel locale. Dopotutto ho continuato a mantenere degli affetti verso di lei, e in seguito ho scoperto che frequentava un centro di disintossicazione per dipendenti. Così ho rinunciato per sempre al sogno di Amanda, alla sua simpatia, all'agilità di carattere e a quella punta di malizia che aveva su tutti i miei discorsi. La amavo, e come tutte le cose che amo, se n'è andata via... Ero rimasto solo, senza lavoro, senza compagna, senza soldi. La vita aveva cominciato a fare quello che tutti chiamano vendetta. Mi sentivo uno di quei tanti microbi senza alcuna importanza, calpestati apposta o forse per distrazione. Mi arrangiavo come e quando potevo. Non avevo trovato nessuna soddisfazione che la vita potesse offrirmi. Ogni volta che cercavo di interagire con il resto del mondo, venivo respinto. Basta. Avevo toccato il fondo. Un giorno che avevo deciso sarebbe stato l'ultimo dei miei, ero sulla terrazza del mio palazzo, seduto sul bordo del muro basso e corroso dall'acqua. Mi batteva il cuore come mai prima di allora, ero terrorizzato, e ho capito che l'uomo poteva superare forse tutte le paure del mondo, ma la morte no, non era una paura, perciò non poteva essere superata. Le lacrime mi avevano rigato il viso, le sentivo calde sulle mie guance. Non ricordo che sapore avessero. << Ciao Vita, sai, dicono tutti che tu abbia uno scopo, un obiettivo, ma a quanto pare ti sei scordata di mettermi nella lista. Credevo che dopo tanti sacrifici avrei ricevuto almeno una ricompensa. Ti chiedo scusa se non sono stato un buon allievo, o forse tu sei stata una cattiva maestra, non saprei, ma in ogni caso non cambierebbe nulla.>>.<< Non ti sei accorto però che oggi c'è un tramonto stupendo...>>. Era Josh, un vecchio di 74 anni, disabile che vive all'ultimo piano. Non l'avevo sentito mentre arrivava per via delle ruote gommose. Così, ho alzato un po' lo sguardo e ho ammirato. New York per la prima volta ha saputo stupirmi. Josh si è avvicinato:<< se ti dico che la vita è una cosa straordinaria, mi crederesti?>>. Ci ho messo un po' a rispondere e poi con un filo di voce rispondo:<< Quando hai tutto ciò che desideri, beh, perché non dovrebbe esserlo?>>. << Sai figliolo, a volte le soddisfazioni arrivano in ritardo, bisogna saper aspettare. Se pensi che buttarti giù serva a qualcosa, su, fa pure, ma sappi che chiunque abbia posto fine alla sua vita, è stato solo un vigliacco. Come un coniglietto spaventato che scappa al primo rumore, non accorgendosi forse che proveniva da un altro coniglio o semplicemente dal fruscio delle foglie contro il vento. Molte volte quella che tu chiami ingiustizia, per la vita è sinonimo di opportunità, basta riconoscerle>>. Scoppio a piangere, talmente tanto che la testa comincia a girare. Josh mi tende la mano come l'avrebbe tesa un padre per aiutare il figlioletto a salire le scale o semplicemente a rialzarsi. Ricambio, scendo e lo abbraccio, lo abbraccio più forte che posso. Dal quel giorno non mi sono più tirato indietro; sono entrato a far parte di un'associazione che si occupa di bambini affetti da malattie di ogni genere. Faccio il pagliaccio e stavolta mi piace; perché attraverso ciò che amo trasmetto gioie ad altri. Ricevo molto spesso delle lettere da parte di alcuni bambini. Rispondo perché mi fa piacere corrispondere con loro dopo il lavoro, e ad ogni lettera, prima dei saluti, aggiungo sempre: 'qualsiasi cosa accada, ricordati che la vita è una cosa straordinaria'.
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