I.

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Chiusi gli occhi.

Il getto d'acqua mi colpiva la nuca ed il calore si irradiava per tutto il capo. Gli occhi non volevo aprirli, era rilassante quella situazione ma soprattutto stavo perdendo tempo.

Avevo l'abitudine di farmi una doccia molto sbrigativa, tempo tre o quattro minuti, ma questa volta avevo bisogno di concentrarmi su me stesso e pensare un attimo alla situazione.

Mi guardai i piedi e mi accorsi dei rigonfiamenti provocati dalle vene sul collo del piede. Sembravano delle catene montuose che si innalzavano fino ai polpacci per poi ritornare ad essere un tutt'uno con la pelle.

Il corpo umano è una macchina imperfetta, nel suo genere, ma allo stesso tempo rimane stupefacente. Siamo una composizione di miriadi di cellule, atomi e reazioni chimiche che danno vita all'essere.

Mentre cominciavo ad applicare lo shampoo sui capelli sentii le gocce del rubinetto che cadevano e si infrangevano sul fondo della doccia. Un rullo di tamburi naturale, un rumore che riecheggiava per l'intera stanza. Correlavo il suono con il battito del mio cuore. Il mio piccolo muscolo che si faceva sentire nei momenti più imbarazzanti. Lo sentivo nelle mie vene, specie quando incontravo lei. Ecco perché ero lì sotto a pensare: Lei.

La sera prima le scrissi, dopo l'ennesimo schiaffo morale. Non sapevo come né perché ma avevo bisogno di sentirla. Mi faceva sentire bene, ero felice quando parlavo con lei ma soprattutto non era mai stata così crudele nei miei confronti. Nonostante tutto era sempre stata chiara, non aveva mai cercato di farmi credere cose che in realtà erano false. Non mi aveva mai deriso per quello che era successo o aveva provato a lasciarmi andare. Nel bene o nel male c'era sempre, parlavamo sempre e ci ritrovavamo. Sì, ci ritrovavamo dietro uno schermo del telefono. Pensandoci non avevo mai provato a parlarle, forse qualche saluto era scappato ma rimanendo sempre su un verso sfuggente e imbarazzante.

Riaprii l'acqua e rimasi ipnotizzato, fissavo il vuoto, quando quello stato di quiete si ruppe a causa della sveglia settata. Guardai lo schermo del telefono illuminarsi: 7:10.

Non ci misi molto ad asciugarmi, quel bagno in un certo senso nella sua tristezza mi rasserenava. Una stanza monotona. Le piastrelle dei muri continuavano e formavano anche il pavimento, i colori non erano accesi. Quel beige che si vedeva in ogni angolo mi riposava e ho sempre avuto impresso le palme disegnate sulle piastrelle della doccia. L'unico colore che si notava era quello della tenda della doccia. Un blu elettrico con tutte figure concentriche che si legavano, per finire con dei pesciolini gialli nella parte bassa.

Ogni mattina era piatta. Non c'era nessun azione diversa, come un automa bevevo il latte con il Nesquik in polvere e addolcivo il tutto con le Gocciole.

Appena finito presi la borsa dalla mia camera, mi aggiustai le cuffie sull'orecchie e uscii di casa.

Un odore di asfalto bagnato riempì le mie narici. Pioveva.

La pioggia mi ha accompagnato in ogni momento della mia vita, ho sempre amato il suo odore. Come nessun'altra cosa al mondo riusciva a farmi risalire il morale, nonostante la mia intensa meteoropatia.

Non sentivo nulla, le cuffie riuscivano ad isolarmi in maniera efficace dal mondo circostante. Potevo solamente immaginare e dedurre i suoni che si trovavano all'esterno. Le macchine che sfrecciavano al mio fianco, il suono dei clacson in una coda trafficata e le persone che parlavano al telefono mentre correvano per la fretta mattutina.

Ma io camminavo sulle nuvole, c'eravamo solo io e la mia musica. Cantavo usando solamente il labiale ed era divertente vedere le persone che mi fissavano neanche stessi facendo la cosa più insolita al mondo.

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