III.

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Natale.


Faceva strano svegliarsi ed avere la certezza di non dover fare nulla per l'intero giorno. L'unico mio compito, a partire dalla vigilia di Natale fino alla Befana, era mangiare ed il mio metabolismo collaborava in maniera massiccia a non farmi ingrassare.

Lì, un paesino vicino Napoli, vivevo in uno stato d'isolamento poiché non ci avevo mai vissuto e quindi, di conseguenza non avevo amici. Tutti i miei cugini erano molto più grandi di me, nonostante i miei 18 anni ero trattato come uno dei piccoli della famiglia.

Adoravo il Natale, in ogni sua sfaccettatura ci trovavo qualcosa di bello e l'aria che si respirava mi faceva sentire meglio. Era il periodo migliore per uscire e vedere lo spirito vagare per le strade.


Quei negozi pieni di persone, i regali dell'ultimo momento, i fidanzati che si fermavano davanti alle gioiellerie ed i bambini in preda ad una crisi di panico per non aver inviato la lettera a Babbo Natale.

I bambini. Avevo sempre ammirato il loro spirito. Erano così piccoli ma puri. Puri in qualsiasi cosa che facessero e veri in qualsiasi cosa essi potessero dire. Essere così piccolo mi affascinava ed infondo i bambini, come diceva il vecchio William Blake, vivevano in un mondo fatto d'innocenza prima di venire a scoprire il vero mondo.


Ecco cosa ero io. Ormai ero uscito da quel Mondo d'Innocenza ed ero entrato nel baratro del Mondo delle Esperienze. Ricordavo ancora il mio punto di vista, ero un bambino fino ad un paio di anni prima. Vedevo il mondo a colori e facevo di ogni emozione una risata. Ero un bambino che passava il 90% della giornata a ridere ed il restante del tempo a sorridere. Tutti, in un certo senso, mi ripudiavano e non capivano il senso di tale continua felicità ma io la vedevo più come un'invidia indiretta nei miei confronti. Le persone che se la passano bene sono viste sempre male da chi sta peggio.


Poi verso i 16 anni qualcosa era cambiato. Cominciavo a comprendere la realtà per come a volte fosse crudele. Provavo più sentimenti, cominciavo a diventare più sensibile ed avevo forgiato con molta calma il carattere. Ero rimasto sempre il bambino di prima, ridevo sempre, ma sapevo anche quando ci fosse da essere razionale, maturo e diligente.

Sicuramente non mi lamentavo di come ero diventato ed ammettevo spesso di essere nato nell'epoca sbagliata.
Dicevo di essere un Romantico, lo dicevo a Martina.

Martina. Ormai era regolare. Non sapevo definire se fossi stupido io o lei egoista. Era una sorta di droga, dovevo sentirla. La volevo il più possibile vicino tenendomi costante sul fattore che dovevo scriverle. Mi facevo del male da solo, lei aveva ragione a dire che ero un masochista. Non avevo capito il motivo per il quale non sprecava tempo a sentirmi, specie dopo quello che mi disse pochi giorni prima. Risultava così illogico ma, allo stesso tempo, era basilare. Lei era sempre stata così "distaccata". Non si preoccupava o almeno non lo dava a vedere. Ammetto che molte volte mi sono comportato male nei suoi confronti, la prendevo di mira per sfogare la mia frustrazione e andavo a finire sempre a mostrare una parte che non mi apparteneva; essere lunatico.


Questa questione mi mandava in paranoia e pensare che lei fosse così distante e incontrollabile mi rendeva nervoso. Dovevo non pensarci.


Quella sera mi organizzai con i miei amici delle vacanze per fare una videochiamata. Era sera e quindi si sarebbe prolungata fino a tardi.


Aprii ooVoo e aspettai che anche gli altri due si connettessero. Eravamo una grande comitiva d'estate ma poi rimanevamo sempre in pochi quando bisognava parlare di cose un po' più serie. Non che gli altri fossero stupidi ma avevo le mie preferenze ed erano loro, Federica e Antonio. Una veniva da Napoli e l'altro abitava a Scafati.


La chiamata partì e finalmente li vidi.

"Oddio.. la mia salvezza!" dissi

"Marco! Che bello vederti!" disse Federica. Era un ragazza che avevo conosciuto due anni prima, ma solamente quell'anno abbiamo approfondito la nostra amicizia.

"Salve a tutti!" disse Antonio. Era il ragazzo con la mia stessa maglia dell'Hard Rock di Londra. L'unico di cui mi fidavo e l'unico, insieme a Federica, a cui tenevo.

"Allora come ve la passate?" chiesi per cominciare la conversazione.

"Tutto bene" risposero all'unisono

"Tu hai deciso di dimenticare una volta e per tutte a Martina?" mi chiese Federica.

Durante l'estate avevamo discusso miriadi di volte sulla mia situazione con Martina. Dopo che lessero il suo rifiuto nei miei confronti, automaticamente come farebbero gli amici, mi consigliarono vivamente di lasciarla perdere perché era solamente doloroso per me.


Non ci riuscivo e non potevo staccarmi dal solo pensiero di dimenticarla.

"Mmmmmm.. sinceramente parlando, no! Ma ho un problema.. non le ho mai parlato dal vivo?"

"Cosa?!" chiese Antonio.

"Lo so ragazzi! Solo che quando la vedo mi blocco. Penso sempre come se ci fossero due me nel mio cervello. Uno mi dice 'Dai Marco! Vai e salutala' e l'altro invece 'Okay, adesso rallenta o passale vicino con indifferenza'. E di solito vince il secondo perché è la via più evasiva"


Ero un codardo. E peggio: lo ero con lei.


Combattevo costantemente con queste due coscienze e la seconda era la dominante. Non ero mai riuscito a salutarla, a guardarla o a viverla.


Era colpa mia e non avevo fatto nulla.


Ero un codardo. Perché avevo paura di sembrare inadatto ai suoi occhi.

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