Epilogo.

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«Privet, Papa?»

Jake era seduto accanto a Roman mentre, questi, parlava al telefono con suo padre dopo anni che non lo sentiva. Ovviamente la conversazione era in russo e Jake non capiva una parola, ma il solo stargli vicino, osservarlo mentre sul suo viso passavano le più disparate espressioni, mentre cercava di confortarlo e fargli forza stringendogli la mano libera, lo fecero sentire parte della situazione.

D'altronde non c'era bisogno di capire se bastava uno sguardo.

« Pozvol'te mne govorit'»*


Jake sentiva il cuore battergli nel petto. Erano passati tre giorni da quando si erano confessati il reciproco amore, tre giorni passati a casa di Roman a fare l'amore, vivere la quotidianità insieme e cercare di prendere coraggio per fare quella fatidica chiamata in Russia.

Erano andati in ufficio solo il giorno prima, avevano infatti chiesto a Randy un paio di giorni di permesso e Stevenson non aveva fatto domande, nonostante fosse strano che entrambi gli amministratori della compagnia prendessero dei giorni di ferie contemporaneamente, così, la mattina precedente, entrarono alla Stevenson Inc. salendo direttamente all'ultimo piano, entrarono nell'ufficio di Stevenson mano nella mano e, come se già non fosse ovvio, dissero la verità al Grande Capo.

Randy era di certo sconvolto, ma per lui Roman era come un figlio, lo aveva visto crescere, lo aveva preso sotto la sua ala subito dopo la laurea e lo aveva sempre stimato per la professionalità e il coraggio.

Così, dopo qualche secondo di pausa, fece un grande sorriso, un leggero inchino e diede loro un'altra giornata libera.


« Da, papa , ya gey , i yesli eto ne nravitsya, ya ne zabochus'» le parole di Roman portarono di nuovo Jake alla realtà.

Osservò in viso il suo uomo, la cui ruga al centro della fronte, sempre presente nei momenti di stress, adesso era ancora più enfatizzata dal cipiglio sul viso. Erano arrivati alla verità, a quanto pare.

Jake sentì distintamente delle grida dall'altra parte della cornetta.

Roman, allontanò il cellulare dall'orecchio e chiuse gli occhi infastidito. Jake strinse la presa sulla sua mano e si sentì sollevato sentendo che il gesto era ricambiato.

« YA skazal vam, ya ne zabochus' . Eto kto ya . YA lyublyu drugogo cheloveka, i my o tom , chtoby vyyti zamuzh.Podkhodyat dlya sebya.»

Roman sbuffò: «do svidaniya» e Jake sapeva cosa significasse, era un addio.

La telefonata venne conclusa. Roman fissò lo schermo per qualche secondo, posò il cellulare sul tavolino di fronte a sé e poi riportò lo sguardo sul biondo.

«Sei stato molto coraggioso, amore»

Roman fece un piccolo sorriso, «Sembra che tu abbia capito com'è andata», rispose.

«Mi basta guardarti in viso per capire cosa provi. Ti amo Roman, ti amo da morire e voglio essere la tua forza.»

Bastarono quelle parole per far crollare le mura impenetrabili del russo.

Roman posò la fronte sulla spalla del norvegese che portò entrambe le braccia dietro la schiena del suo uomo. Sentì la maglietta bagnarsi ma non disse nulla, anzi, strinse ancora di più la presa e lasciò che il suo uomo si sfogasse. Non pensava che avrebbe mai potuto amarlo di più di così, ma il fatto che avesse preso tutto il suo coraggio e avesse affrontato l'incomprensione e l'ignoranza del padre, lo resero ancora più fiero del suo uomo.

«Ha detto che non sono più suo figlio» Jake sentì un peso sul cuore, gli occhi si fecero liquidi.

«Non hai bisogno di lui, adesso sono io la tua famiglia e lo sarò per sempre»

The Angel and The DevilDove le storie prendono vita. Scoprilo ora