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I miei genitori non mi hanno mai accettata. Sono sempre stata quello sbaglio, troppo sbagliato.
L'unica che mi ha sempre accetata per quello che sono veramente è stata mia nonna. Nella disperazione più totale, nel casino più incasinato, nella pazzia più sfrenata, io andavo da lei. Andavo da lei, e tutto tornava normale. Quella voce che sapeva riportarmi alla luce in così poco tempo, che sembrava quasi impossibile. Quelle sue mani rugose che scivolavano sul mio viso, spesso rigato di lacrime nere, sapevano spegnere il mondo, insieme a tutte le domande, le ansie e le angosce. Tutto tornava alla tranquillità più assoluta.
Fu per lei che quella notte, scappai per la milionesima volta. Quella precisa notte, scomparì la persona, che mi aveva fatto crescere nella convinzione che fossi come tutte le altre persone. Non volevo assistere al suo funerale. Non soppertavo l'idea di tanta gente falsa intorno alla bara della persona più importante della mia vita. Abbracci, baci, sguardi di pietà, consolazioni. Non volevo assolutamente nulla di tutto questo. " Mi raccomando piccola mia, lascia stare chi ti cerca solo quando ne ha il bisogno e fidati solo delle persone che ti suggerisce il tuo cuore" erano le sue solite raccomandazioni. Le sue parole dolci mettevano insieme i pezzi della mia anima che ogni volta andava distrutta. Era la mia unica speranza di diventare come tutti gli altri, anchr se lei diceva che era meglio distinguersi che mischiarsi. Forse aveva ragione, ma io ho il bisogno di sentirmi come tutti gli altri. Ma non ce l'ho fatta, e non ce la farò. Adesso, non c'è più nessuno che mi darà la spinta per affrontare il mondo.
Quella mattina non volevo svegliarmi. Era una giornata storta, un po' come tutte le altre giornate. Erano le sei del mattino, mia madre bussó delicatamente alla porta della mia stanza e apri prima che le rispondessi di entrare. Aveva il volto rigato di lacrime e non riusciva a parlare. La guardai per un paio di secondi, poi le chiesi che cosa avesse e subito dopo arrivó mio padre. Li guardavo. E loro guardavano me. Sembrava che non avessero intenzione di dirmi nulla. Di lasciarmi sulle spine come una bambina quando aspetta di aprire i suoi regali di Natale. Infastidita dal loro atteggiamento, urlai che cosa avessero da piangere. Continuarono a guardarmi per un paio di secondi, quando finalmente mio padre aggiunse che nonna non si era sentita bene, che era in ospedale e che non c'era molto da fare. Non volevo piangere, ma era come se le mie lacrime stessero facendo una gara a chi uscisse prima dai miei bulbi. I miei genitori mi fissavano. Loro mi sapevano quella forte, quella senza sentimenti, perché vestita di nero, quella che non versava una lacrima da quando aveva cinque anni e cadde in bici. Ero finita.Una semplice frase, aveva stravolto la mia vita. Ero completamente disperata.

PROVACI ANCORADove le storie prendono vita. Scoprilo ora