Il villaggio

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Era isolato, dunque, sperduto in un luogo ignoto. Non gli restava altro da fare se non addentrarsi nel villaggio e cercare aiuto.
Fu ciò che fece, in effetti, ma faticò moltissimo a trovare qualcuno in giro. Le strade erano deserte, dalle abitazioni non giungevano rumori di vita né riverberi di luce, il villaggio sembrava abbandonato da almeno un secolo. Si costrinse a risalire un viottolo appena un po' più spazioso degli altri speranza che conducesse ad una piazza o ad un qualsiasi luogo "affollato", lottando col vento gelido che lo sferzava ed una pioggia sottile priva di alcuna pietà, schiaffeggiandosi gambe, busto e viso per contrastare l'indolenzimento. Stava tuttavia per arrendersi, quando scorse un individuo che entrava di corsa in quella che aveva l'aria di una locanda. Vi si fiondò senza esitazione, nonostante provasse un certo timore ad incontrare gli sfuggenti abitanti dell'isola, spinto dalla necessità di trovare un riparo e un telefono funzionante.
Entrò e tagliò fuori il vento richiudendosi alle spalle la pesante porta, venendosi a trovare faccia a faccia con tutta la popolazione del luogo, per quanto poteva saperne. Decine di occhi gli si appuntarono addosso, occhi curiosi, sorpresi, taluni allarmati. C'erano soprattutto vecchi, collaudati prodotti della più pura vita da marinaio, la pelle cotta e spaccata dal vento, la barba incolta, il corpo massiccio; tutti indossavano scarponi pesanti di cuoio ed incerate per difendersi dalle intemperie. I più giovani parevano comunque assai vissuti e le donne differivano dagli uomini per ben pochi particolari.
Il silenzio lo aveva accolto, e nessuno pareva interessato a romperlo. <<Mi chiamo Fletcher>>, si presentò avanzando di soli due passi. <<Liam Fletcher. Ho assoluto bisogno di un telefono, e magari di qualcosa di caldo.>>
Nessuna reazione, nessuno mostrò di aver capito una parola. Solo adesso Fletcher realizzò che non aveva idea di dove fosse e, di conseguenza, di quale lingua parlassero quelle persone. Il panico gli strinse le viscere, tuttavia decise di insistere, sperando di far intendere almeno qualcosa della sua condizione.
<<Sono un naufrago>>, disse afferrandosi i vestiti per rendere l'idea. <<La mia nave, la Jumping Child, era salpata da Calais, in Francia, ed era diretta ad Halifax, in Canada. Durante il tragitto dovevamo svolgere degli esperimenti, fare rilevazioni su correnti oceaniche e cose del genere, ma siamo naufragati e ora ho bisogno di un telefono satellitare per chiamare aiuto, per i miei compagni dispersi.>>
Non ottenne l'effetto desiderato, ma quantomeno ci furono dei sussurri ed alcuni uomini parlottarono fra loro, come per decidere il da farsi. Uno di loro scattò di corsa, passandogli accanto, e lasciò la locanda. Fletcher giudicò di avere qualche speranza, ma ancora non vedeva alcun telefono perciò proseguì nei tentativi.
<<Non ricordo le coordinate, a bordo ero soltanto il cuoco, però sono certo che qui non doveva esserci nulla, nessuna isola, insomma...>> La testa prese a girargli e a pulsare. Si strinse le tempie con entrambe le mani e scosse il capo per contraddire ciò che lui stesso stava dicendo. <<... voi non siete qui, non esiste alcun luogo abitato in questa fetta di mare, anzi nessun luogo e basta!>>
Stava perdendo il controllo, si rese conto. Stanchezza, fame, dolore, angoscia per i compagni scomparsi, tutto contribuiva ad appesantire la strana situazione nella quale si trovava. E il vociare che si levò dopo le sue parole non gli fu affatto d'aiuto. La lingua parlata da quella gente non aveva nulla da spartire con l'inglese, il francese, lo spagnolo e qualunque altra che gli fosse capitato di sentire, essendo una singolare successione di suoni strozzati, gutturali, ed altri acuti e squillanti, simili ai richiami dei delfini.
Schernì se stesso per le ipotesi che gli si affacciarono nella mente e rise mentre un velo scuro gli calava davanti agli occhi e il pavimento gli andava incontro.
Riprese i sensi su una sedia, in fondo alla locanda, circondato dagli avventori che lo fissavano come fosse una bestia rara. Oltre che vecchi, si rese conto adesso, erano anche malati, di una strana patologia che rendeva come squamosa la loro pelle.
Fece per parlare di nuovo, quando la porta si aprì e l'uomo che prima era uscito di corsa ritornò facendo strada ad un individuo diverso da tutti gli altri, fuori luogo sebbene si trovasse su un'isola inesistente con abitanti dall'aspetto grottesco. Era alto e magro, di carnagione chiara, i capelli pettinati all'indietro e gli occhi grigi, vestito in giacca e cravatta ad onta del freddo. Si fermò sulla soglia per un istante, scrollandosi di dosso le gocce di pioggia che gli imperlavano gli abiti con pochi, leggeri colpi col dorso delle mani, poi posò lo sguardo su di lui e gli andò incontro.
Fletcher voleva alzarsi ma era esausto, perciò ricadde a sedere dopo un goffo tentativo. L'uomo in nero gli tese una mano lunga che culminava in dita affusolate. Non aveva nulla in comune con gli altri, la sua pelle era perfetta.
<<Il mio nome è Alain Lescard>>, si presentò rivolgendogli un rassicurante sorriso. <<E le do il benvenuto ad Atlantide.>>

L' Isola SperdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora