Si rimisero in marcia che era ancora notte.
Il sidecar proseguiva lento e ad andatura costante, scartando le dune e accompagnato solo dal rumore del motore sotto sforzo. Le tre ruote giravano slittando sulla sabbia e alzando una densa nuvola di pietrisco. Si stavano avvicinando alla parte rocciosa del deserto e questo non poteva che significare che il canyon era sempre più vicino. Da lì sarebbe stato molto più facile orientarsi e trovare una qualche via d'uscita.
Rupert, seduto nel suo carrozzino, sporgeva con il muso all'infuori, la bocca aperta e la lingua penzoloni. Sembrava sorridere, per quanto possano sorridere i cani. L'Uomo, invece, si era tolto il cappello lasciandosi accarezzare dolcemente i lunghi capelli corvini dalla brezza del deserto. Chino sullo sterzo cercava di mantenerne il controllo, evitando di andare contro le dune che apparivano all'improvviso sotto la luce del faro anteriore. In un posto come quello, la notte era sicuramente più pericolosa del giorno poiché le distanze erano approssimative e se non fosse stato per l'unica luce disponibile si sarebbero andati a schiantare contro qualche crostone roccioso o magari in un avvallamento troppo profondo.
A un tratto apparve qualcosa in lontananza. Come se fossero state dipinte, le alte vette rocciose del canyon si ersero silenziose in quel vasto paesaggio, simili a titani a guardia di un tesoro che il tempo aveva dimenticato.
L'Uomo si chinò ancora di più, sporgendosi quasi oltre la moto per cercare di scrutare la catena rocciosa che si faceva sempre più chiara sotto il fascio di luce: la trovava di una bellezza spaventosa, ultraterrena, quasi angosciante. Rise di quel pensiero, un pensiero tanto buffo quanto necessario. Sembrava impossibile che un posto del genere potesse evocargli immagini così vive, eppure quello che vedeva era reale. Aveva viaggiato talmente a lungo che si era abituato a pensieri di quel tipo. Pensieri che erano diventati i suoi unici compagni di viaggio. Pensieri che gli permettevano di non impazzire.
Superarono una serie di basse dune e subito dopo si ritrovarono davanti la carcassa di un vecchio camioncino. La luce del sidecar si era riflessa sulle lamiere contorte e arrugginite, prigioniere della sabbia.
L'Uomo Vestito Di Nero si limitò ad allentare la presa sulla manopola del gas senza scalare le marce. Le ruote scivolarono lentamente e il motore borbottò contrariato fino a fermarsi. Rupert tese le orecchie, aspettandosi qualcosa. Rimasero così, entrambi, con la luce del sidecar che guizzava da una parte all'altra.
Scese dalla motocicletta e risalì verso il veicolo. Il camioncino aveva perso i suoi connotati originali e la sua massa irriconoscibile sembrava fondersi piano piano nel terreno. Passò vicino alla fiancata e scorse una serie di ammaccature vaste e profonde. Sul parabrezza si era formata una fitta ragnatela di schegge. Aprì il cofano e lo sollevò di una spanna: la sabbia aveva inghiottito parzialmente il blocco motore.
I suoi occupanti dovevano aver viaggiato nel deserto, proprio come loro, e poi avevano ceduto. All'interno del camioncino L'Uomo riconobbe i resti di tre persone. Una era quella di un bambino. Deglutì a fatica, cercando di scacciare quel pensiero.
Aveva passato intere notti a porsi sempre le stesse domande, domande che non trovavano quasi mai una risposta, tranne che per il canto di una donna. Una voce dolce, gentile. In quei momenti non aveva paura. Si sentiva protetto, amato, proprio come un bambino che scorge lo sguardo intenso di sua madre. Ma sapeva anche che quel canto non sarebbe durato a lungo. Immagini strane, minacciose, si accavallavano nella sua mente. Dolore. Morte. E il fuoco... il fuoco sembrava l'unica risposta costante alle sue preghiere. Si levava alto nel cielo divorando qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino. Sentiva gli strepiti della gente, grida che gli laceravano i timpani: uomini, donne, vecchi e bambini che cadevano davanti ai suoi piedi. Alle urla di disperazione si sovrapponevano stonate le grida inumane di esseri che viaggiavano con il fuoco. E quelli che viaggiavano con il fuoco cercavano lui che si ritrovava a correre a perdifiato per quelle strade, mentre i muri delle case si schiantavano al suolo travolgendo qualunque cosa. Quella sua corsa disperata finiva sempre davanti una distesa di tizzoni ardenti che esplodevano. Poi lo vedeva, dall'altra parte, che lo fissava con quel volto esangue e sorridente.
Ras.
Non si accorse neppure che Rupert era sceso dal carrozzino e aveva preso a leccargli il dorso della mano. Era rimasto per chissà quanto tempo a fissare i resti di quel veicolo. Tornò indietro e rimise in moto, proseguendo verso una piana di roccia cristallizzata. Da lì seguì una serie di tornanti che si districavano alla base del canyon. Superato quel passo si sarebbero lasciati dietro il deserto.
Il cane continuava a ciondolare con la lingua fuori dal carrozzino e ad agitare la coda. Sembrava si fosse reso conto anche lui di essersi lasciato alle spalle quella interminabile distesa sabbiosa. Il canyon era meglio, o almeno era sicuramente un posto più sicuro. Ci si poteva riparare più facilmente, nascondendosi nelle cavità della roccia e non era poi del tutto improbabile trovare qualcuno che passasse di là per raggiungere un villaggio o magari le grandi città.
Il sidecar sterzò a destra, diretto verso un avvallamento e lì si fermò. L'alba era ancora lontana e L'Uomo decise che sarebbe stato il caso di fermarsi per riprendere le forze, magari bevendo un sorso d'acqua. L'idea entusiasmò Rupert che subito saltò fuori dalla sua postazione: girò un paio di volte attorno al padrone e infine si sedette aspettando la sua razione.
L'Uomo allungò la mano verso il muso del cane, che subito fece sparire con una sola leccata quel poco d'acqua che gli spettava. Altrettanta ne bevve lui. Poi sistemò nuovamente i sacchi di iuta nel baule e afferrò il lungo involucro di panno nero.
Questa volta se lo portò davanti agli occhi. Sciolse rapidamente le cordicine che lo tenevano legato e tirò fuori quello che a prima vista sembrava un bastone laccato di nero. Lungo circa ottanta centimetri, verso la metà si curvava dolcemente all'insù.
Fu allora che strinse l'impugnatura ricoperta di seta intrecciata e tirò via con un colpo secco il fodero: echeggiò un tintinnio, seguito da un riflesso di freddo acciaio. Il cane alzò lo sguardo in direzione della lama. La lunga spada era stretta saldamente tra le mani dell'Uomo che la maneggiava con cura e riverenza, facendola vibrare in aria con gesti armoniosi.
Se fosse stato nel pienodelle sue forze si sarebbe accorto subito della presenza di qualcuno alle suespalle, ma la traversata nel deserto l'aveva stremato. E così anche Rupert nonsi rese conto delle ombre che scivolavano silenziosamente dietro di loro,finché non gli furono addosso.vw>{= |
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L'ULTIMO EROE
FantasíaIn un mondo post apocalittico, un uomo privo di memoria fugge. Non sa bene da chi o da cosa, solo un nome gli riecheggia nella testa: Ras. È l'inizio di un lungo viaggio, anche e soprattutto interiore. Un percorso lungo il quale il protagonista rice...