Epilogo

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20/11/2017

I giorni successivi furono tranquilli.

Michael restò a casa, non solo per il maltempo, ma anche per la poca voglia di andare a lavoro. Sapeva che se avrebbe continuato a lungo, avrebbe perso anche quello.

Pensava che ormai fosse diventata una cosa normale. Era tutto così uguale che non sapeva cosa fosse meglio per lui. Stava steso sul divano ad ascoltare sempre la stessa musica, con cui però riusciva a sentirsi, in qualche modo, bene.

Lo faceva uscire dalla realtà. Gli faceva sognare tante bellissime cose, la vita che avrebbe voluto davvero. Il sogno che non aveva mai realizzato.

Fin da bambino, voleva diventare un chitarrista famoso. Voleva comporre canzoni, far sapere tutto di lui in poche parole, cantate e accompagnate dal suono semplice di una chitarra acustica. Ma la sua autostima non era delle migliori, non gli piaceva la propria voce ed era troppo timido per poter suonare da solo davanti a un pubblico. Così, decise che un giorno avrebbe fatto parte di una band.

Gli piaceva tantissimo l'idea di poter viaggiare insieme a qualcuno che, come lui, aveva la passione per la musica. Suonare in tutto il mondo, essere qualcuno per il pubblico.

Dov'era finito il Michael che amava tutto questo? Il Michael felice, pieno di sogni, che non perdeva mai la speranza?

A volte aveva il desiderio di voler ritornare bambino. L'età in cui tutto era bello, anche un semplice braccialetto di plastica con il proprio nome. L'età in cui poteva fare di tutto, senza che qualcuno gli dicesse di smetterla, perché era solo un bambino.

Con un sorriso sempre stampato in volto; con una madre che gli accarezzava i capelli e gli raccontava le storie prima di andare a dormire; con un papà che lo prendeva sempre in braccio, con cui giocava a calcio e con cui si divertiva sempre.

I baci della buonanotte dei nonni e dei genitori. Le continue coccole da parte loro.

Quanto gli mancava tutto questo.

Gli mancavano troppe cose in quel posto, e mentre era lì, seduto sul divano del salotto, ipotizzò di tornare a Sydney dal padre e da tutti i suoi amici.

Ma scartò subito l'idea. Non poteva lasciare da sola la madre, dopo tutto quello che aveva fatto per lui. E sapeva che, dopo qualche giorno, avrebbe sentito comunque la sua mancanza.

Lui non se ne rendeva conto, ma una parte infantile in lui era sempre rimasta.

Non aveva mai smesso di amare la propria famiglia in qualunque circostanza; stare da solo e rendersi autonomo, anche se gli sembrava il contrario, non era così facile.

Dopo aver chiamato Calum qualche giorno prima, però, si sentì meglio. Adesso si sentivano quasi sempre al telefono o in video chiamata, e ogni tanto spuntava anche Ashton.

Non erano cambiati per niente, forse solo Calum, che si era tagliato i capelli un po' troppo per i gusti di Michael. Infatti, appena lo vide, non potè evitare di ridere. Ashton, invece, si era finalmente trovato una ragazza. Lui stesso aveva mostrato a Michael una sua foto, e non si poteva non dire che era davvero bellissima.

Aveva sempre immaginato Ashton insieme a qualcuno, era sempre stato romantico e con quel sorriso, tutte le ragazze cadevano ai suoi piedi. Ed era geloso, ma non perchè gli piacesse Ashton. Semplicemente, voleva essere come lui ogni tanto. Avere quel fascino in volto, vedere le persone attoro a lui che lo considerassero un esempio da seguire.

Sentendo la vibrazione del telefono, lo sbloccò velocemente, immaginandosi un messaggio da parte di Calum. Fin da quando aveva aperto gli occhi quella mattina, sentiva di aver dimenticato qualcosa. Non sapeva effettivamente cosa, ma non gli dava tanta importanza.

Parlò al telefono insieme a lui per una buona ora. Si raccontavano ogni giorno quello che stavano passando, ed erano più o meno le solite cose. Ma piaceva ad entrambi sentirsi, quindi gli andava bene.

"Devo andare, possiamo sentirci dopo se vuoi." disse Calum, forse un po' troppo velocemente.

"Mh.. okay, a dopo"

E senza una risposta, terminò la chiamata. Si chiese il perchè avesse talmente tanta fretta da neanche salutarlo, ma non ci rimase tanto male alla fine.

Posò il telefono e si alzò dal divano guardando l'orologio appeso alla parete. La casa cominciava a prendere forma e a diventare anche più carina da vedere. Oltre a stare sul divano, aveva avuto la possibilità di sistemare alcuni mobili. Ed era soddisfatto.

Quando ebbe l'intenzione di cucinare qualcosa, però, fu fermato dal suono del campanello. Andò ad aprire e sorrise vedendo la madre, con un grande sorriso stampato in volto.

"Hey.. Mike" lo abbracciò sorridendo.

"Ciao mamma" sorrise anche lui, per poi staccarsi dopo qualche secondo.

Lei entrò senza aggiungere altro, mentre Michael stava per chiudere la porta.

"Mi scusi?"

Si voltò nuovamente e guardò l'uomo davanti a sè. Quest'ultimo era impegnato nel prendere una busta dalla tesca posteriore dei suoi jeans. E nel frattempo, Michael ebbe il tempo di osservarlo meglio, ma non troppo, dato che la visiera del berretto che portava gli copriva un po' il viso.

Appena gli porse la busta, che sembrava essere una lettera, la prese in mano e la esaminò attentamente corrugando la fronte. Poi la aprì e tirò fuori un biglietto, che lesse velocemente per la curiosità.

"Hey michael.                    
Spero tu non ti sia dimenticato
di me in questi anni.
Ti amo tanto. Auguri,
spero che il regalo ti piaccia.
Il tuo, Luke."

Il battito del suo cuore passò, nel giro di qualche secondo, dall'essere regolare ad essere improvvisamente più veloce. E sorrise instintivamente, perchè era così. Non si era mai dimenticato di lui. Aveva sempre continuato ad amarlo, e se ne rese conto solo in quel momento.

"Il regalo è qui, se le interessa" disse l'uomo.

Annuì velocemente "Dove?" alzò lo sguardo su di lui, che non aveva più quell'orribile cappello in testa. Bensì, un bellissimo sorriso stampato in viso, che fece impazzire Michael.

"Qui." disse Luke, guardandolo negli occhi.

Fine.

Punk Boy || Muke ClemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora