Il vento soffiava forte, ululando e tempestando violentemente portando neve tra le sue braccia invisibili. In mezzo a quella tormenta gelida, fredda, una figura si distingueva tra le altre incomprensibili.
La sua pelle era nivea, come quello stesso gelo, gli occhi erano azzurri come il mare ghiacciato del nord. I suoi capelli erano lunghi e neri come la notte, intrecciati e decorati con piume e perline.
Sembrava un fantasma, una figura mitica, mentre affrontava quella bufera di neve senza alcuna protezione a proteggerlo dal vento fendente come la lama affilata di una katana.
Il freddo pungente sembrava non toccarlo, era come se non percepisse la rigida temperatura di quel luogo impervio e non fatto per essere abitato.
Mentre camminava la sua collana di perle e di denti rimbalzava sul suo petto, coperto da una camicia di pelle nera, che però gli lasciava scoperte le morbide curve delle clavicole. Ai lobi delle orecchie portava degli orecchini che assomigliavano a piccole zanne di lupo, che gli davano un'aria selvaggia e fredda come tutto ciò che gli stava attorno.
Apparentemente sembrava disarmato, solo un'allucinazione bellissima per i viaggiatori che stavano morendo, poiché troppo incautamente avevano tentato di attraversare quelle terre; e forse, era davvero così.
In quel silenzio infranto solo dall'ululare dell'aria, lo vidi per la prima volta, proprio mentre il sonno, fratello della morte, stava tentando di portarmi con sé.
Tremavo violentemente, non sentivo più le mie gambe o qualsiasi altro arto, mentre mi stringevo su me stesso e tentavo di darmi calore con quel cappotto che però non riusciva a fermare quel gelo che mi era penetrato fin dentro le ossa. I miei denti battevano, le mie lacrime si erano gelate molte ore prima, mentre coloro che erano con me si erano già abbandonati a Morfeo a causa dell'ipotermia. Io ero l'unico a rimanere, l'unico che ancora respirava.
Quando si avvicinò non parlò, semplicemente mi osservò e poi iniziò a tastare gli altri corpi freddi, morti e immobili, come statue di ghiaccio che in fondo ormai erano.
Lo guardavo, senza riuscire a parlare. Semplicemente stavo lì, mentre cercavo di combattere la morte che stava tentando di prendere anche la mia anima. La gola era secca, percepivo la pelle d'oca, le forze abbandonarmi. Non ce l'avrei fatta, sarei morto lì, in quella terra fatta di ghiaccio e tutto per cosa? Per una stupida ricerca.
Non provai neppure a scongiurarlo di salvarmi, probabilmente era solo un'illusione creata dalla mia mente. Magari era uno dei tanti ragazzi che avevo osservato da lontano o visto di sfuggita, uno dei tanti che magari non avevo mai neppure notato passeggiando per le strade affollate di New York. Uno dei tanti, che se avessi avuto il coraggio, avrei invitato a cena o a bere un caffè e che magari sarebbe potuto diventare l'amore della mia vita, quello che mi avrebbe scaldato il cuore e fatto uscire dalle pareti sterili del mio laboratorio.
Lo guardai ancora un attimo, sorridendo amaro, appallottolandomi come un riccio su me stesso, e poi decisi che era ora.
Prendimi morte! Urlai nella mia testa, quasi la scongiurai.
Bella fine, vero? Morire tra i ghiacciai e soli.
Avevo sprecato gran parte della mia vita a osservare le cose, senza mai davvero prenderne parte. A fuggire dalle mie stesse paure, dalla gente, dal mondo reale.
Lo sapevo, lo avevo sempre saputo, ma non avevo mai fatto nulla per cambiare le cose; forse era per questo che il mio destino mi aveva portato alla sola età di ventinove anni al capolinea. Ero inutile: come uomo e come scienziato.
Lasciai che le mie palpebre si chiudessero, che il gelo le incollasse proprio come le mie ciglia. Avevo resistito fin troppo a lungo, aggrappandomi alla mia futile vita, alla materialità di questo mondo corrotto, malato e pronto ad estinguersi, come era nella natura dell'uomo, com'era normale che fosse, anche se sapevo che non eravamo altro che stupidi ammassi di proteine.
Cercai di fermare il mio respiro, già franto, rantolante.
Desideravo morire, desideravo lasciarmi andare e basta, ma non sempre le cose vanno come ci aspettiamo.
Braccia calde come il fuoco mi cinsero e scaldarono, un pungente profumo di cenere e agrumi penetrò nelle mie narici, ricordandomi l'estate.
Gemetti di sollievo, accoccolandomi ancor più vicino a quella fonte di calore, che pensai fosse la morte, venuta a sollevarmi e a portarmi via, verso quello che c'era oltre; qualunque cosa o luogo fosse.
Non seppi mai quando persi i sensi, forse mentre ondeggiavo cullato tra quelle forti braccia che mi avevano sollevato o forse quando mi portò al riparo e mi spogliò completamente, lasciandomi nudo e indifeso davanti ai suoi occhi magnetici, alle sue mani che vagavano sul mio corpo e mi stupravano, donandomi calore.
Ricordavo solo il momento in cui mi ero svegliato, nudo ed eccitato a causa di ciò che mi stava facendo, della sua bocca sul mio membro e delle sue dita che stavano giocando con la mia apertura.
Quando aprii gli occhi lui incrociò il mio sguardo, ma non disse nulla, continuando a cibarsi di me, facendomi risvegliare e travolgere completamente dalla passione.
Percepivo la sua lingua farmi cose meravigliose, aggrovigliarsi contro la mia staffa, leccarla e avvolgerla come se fosse l'occhio di un ciclone.
Gemetti incontrollato, le guance rosse e roventi a causa di quel calore bollente che risiedeva all'altezza del mio basso ventre e stava risalendo verso il mio stomaco, irradiandosi ovunque.
Provai a muovere le mani, ma le trovai legate e in qualche modo mi andò bene anche così, probabilmente perché ero ancora intontito e debole. Ancora credevo fosse un'allucinazione.
Le sue dita affondavano in me, divaricavano i miei muscoli sensibili e bollenti, mi facevano male e mi facevano godere allo stesso tempo toccando quel punto magico in profondità che mi faceva contorcere e gridare.
Ero impossibilitato a pensare, non riuscivo bene a capire nemmeno se stesse succedendo realmente o fosse solo frutto della mia immaginazione.
Mi fece accendere, infuocare, urlare, imprecare e pregare. Mi fece bramare di averne ancora e che poi smettesse e che non lo facesse mai.
Andai in un completo black out, mentre mi rubava la verginità e mi stuprava, prendendosi tutto di me e solo con quelle dita, ma con i suoi attributi.
Vidi le stelle, la verità universale, mi sembrò di toccare le nuvole e di entrare in un buco nero.
Il mio corpo era bagnato, sudato, sporco, assuefatto da lui.
Se poche ore prima stavo congelando, in quel momento stavo ardendo vivo. Mi aveva gettato su di un rogo e aveva appiccato il fuoco.
Mi stremò, mi riscaldò con il suo ardore, con le sue carezze sul mio corpo con quelle morbide mani chiare. Seguì la linea dei miei muscoli, le loro pieghe, mi toccò come se stesse plasmando un vaso di creta.
Di nuovo mi assopii quando venni nella sua calda bocca, che non aveva smesso di pomparmi.
Avrei preferito fosse un sogno, perché la realtà portava sempre amare conseguenze.
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Vincolo di ghiaccio
RomancePerso tra le terre ghiacciate e innevate di Yor, Hania sta per morire. È l'ultimo rimasto del suo gruppo di amici, morti a causa di una bufera di neve che li ha presi alla sprovvista e non ha lasciato loro alcuno scampo, ma il ragazzo resiste, con l...