Vincolo terzo

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Vincolo terzo

Aspettai che si addormentasse accanto a me, completamente nudo e sazio del mio corpo. Erano passati ormai sette giorni da quando mi ero risvegliato, probabilmente dieci da quando mi aveva rinchiuso in quella yurta dal quale non ero mai uscito.

Mi mossi lentamente, per non svegliarlo, facendo la dovuta attenzione. Un solo rumore e si sarebbe svegliato e lo sapevo.

Una volta in piedi lo guardai, con attenzione, alla ricerca del ritmo del suo respiro o dei suoi occhi; ma entrambi sembravano rimasti invariati.

Raccolsi da terra i suoi pantaloni di pelle. Dopo la terza o quarta volta che avevo tentato di coprirmi, aveva portato via ogni possibile indumento, iniziando a blaterare qualcosa nella sua lingua, che ovviamente non capii.

A lui non sembrava neppure importare che parlassimo due lingue assolutamente indifferenti. Ogni giorno semplicemente usciva la mattina all'alba, rientrava con qualche preda di caccia e poi si metteva a prepararla davanti ai miei occhi prima di mostrarmi come cucinarla, chissà poi per quale motivo.

Le braghe mi calzarono perfettamente, erano solo un po' troppo lunghe, ma non mi lamentai.

Cercando di non respirare mi avviai verso l'ingresso della tenda, il cuore che palpitava fin all'altezza della mia gola e risuonava come un tamburo nelle mie orecchie. L'adrenalina circolava prepotentemente all'interno del mio sangue. Se si fosse svegliato? Cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe di nuovo portato a letto? Avrebbe fatto qualcosa di più doloroso?

Non feci tempo ad allungare una mano che lui mi cinse con un braccio la vita e con l'altro, aderendo con il suo forte, duro e grande petto contro la mia schiena, lo posizionò parallelo al mio, avvolgendo le mie dita nel suo palmo.

«Tum kahaan ja rahe hain?» sussurrò al mio orecchio.

Mi irrigidì e mi voltai appena, incontrando i suoi occhi freddi che brillavano di luce propria nel buio. Come sempre non riuscii a leggere le sue emozioni, ne ero totalmente incapace; o forse, lui era troppo bravo a celarle sotto muri e muri di vetro che formavano quel meraviglioso ghiaccio che formavano le sue iridi.

Abbassai il braccio e lui continuò a seguirmi con il suo, poggiando poi il mento sulla mia spalla.

«Kitanee baar main tum nagn rahane ke lie bata dena chaahie?».

Mi sarebbe stato comodo un traduttore, ma il cellulare era morto tra quelle nevi insieme a quegli amici a cui pensavo ogni giorno, che tuttavia non erano altro che conoscenti e collaboratori. Io di amici non ne avevo mai avuti, ma era più semplice credere di avere qualcuno che rassegnarsi alla dura realtà di essere soli, poiché accettare la solitudine voleva dire essere forti, ma io non lo ero.

Fece scivolare la mano posata sul mio ventre più giù, sbottonando in un semplice gesto l'unico bottone, ricavato probabilmente da qualche osso animale, e poi infilò la mano all'interno, iniziando ad accarezzare il mio sesso, che iniziò pigramente a risvegliarsi, come se fossi un semplice adolescente in calore, e in fondo era così. Mi ero perso ogni cosa nella vita, la mia prima volta era arrivata dieci giorni prima, alla veneranda età di ventinove anni.

«Yah pyaar par koee kapade ke saath aasaan nahin hai?» sussurrò di nuovo, fluido e duro a causa di tutte quelle dentali, gutturali e sibilanti «aap ghar ka kapada nahin hai.» la sua voce aveva una sfumatura ilare, come se avesse appena detto qualcosa di divertente, lasciando una leggera suspence verso la fine, come se volesse aggiungere ancora qualcosa.

Mi baciò il collo, scostando con la punta del naso i miei corti capelli.

«Main aapako kaheen bhee chhoo sakata hai, koee ummeed nahin hai ... aur phir yah parampara hai» elencò continuando a coccolarmi.

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