Quando mi svegliai ero solo. Possibile che mi fossi immaginato tutto? Eppure mi sentivo ancora sporco tra le gambe e sull'addome, e una strana bolla di calore nel mio ventre, che faceva fatica ad estinguersi.
Passai una mano là dove percepivo il seme secco e storsi il naso, disgustato.
Mi misi a sedere. Il corpo mi doleva, soprattutto il fondoschiena che bruciava proprio in prossimità della mia apertura, con la quale il mio salvatore aveva giocato mentre ero debole e indifeso. Mi aveva stuprato, fatto quelle cosa indecenti contro la mia volontà, eppure non trovavo il bisogno e neppure la necessità di scappare. Dove sarei potuto andare da solo? Non sapevo neppure dove mi trovavo.
Mi guardai in giro, la testa che doleva appena. Posai i piedi a terra, su di un caldo tappeto rosso. Sorrisi, per nessun valido motivo, e vi feci strisciare a destra e sinistra: era morbido, decorato a mano con una fantasia tribale, strana, ma deliziosa e delicata. Doveva essere stato cucito da una mano femminile.
Mi guardai intorno, come un bambino curioso, apprezzando l'ambiente caldo e confortante di quella che sembrava una vera e propria yurta: era una tenda circolare, retta da una struttura di legno intrecciato a rombi nel formare le pareti, mentre la cupola era composta da lunghi raggi che sostenevano la calda composizione di panni e paglia.
Il letto sul quale ero stato adagiato era matrimoniale, anche questo fatto di legno e caldi stracci, posto proprio di fronte all'ingresso ermetico, che non lasciava trapelare nemmeno un soffio di freddo. Nessuna stufa riscaldava l'interno, nessun fuoco, eppure l'interno era caldo anche nel suo arredo scarno fatto di tappeti, cassepanche, un tavolino basso e parecchi cuscini.
Per qualche strano motivo l'ambiente era così intimo e caldo che mi sembrava essere una tenda per trascorrere una sorta di luna di miele, con le luci soffuse delle lampade ad olio, il letto enorme e rivestito di rosso e il sentore di incenso profumato nell'aria.
Quasi scoppiai a ridere. Le abitudini erano dure a morire, tra le quali le mie visioni romantiche.
Quell'uomo mi aveva salvato, poi tolto la verginità, eppure non ero affatto turbato. O ero ancora sotto shock o ero pazzo. Chi nella mia situazione non sarebbe stato arrabbiato o spaventato?
Forse erano stati i miei ultimi pensieri?
Avevo quasi ventinove anni e ancora non ero mai stato con nessuno; neppure baciato un ragazzo o una ragazza nella mia adolescenza! Troppo posato, troppo inadatto nei rapporti umani, troppo tutto per poter attirare l'attenzione di qualcuno.
Fino alle superiori ero stato il secchione utile solo per copiare, all'università il ragazzo che dispensava appunti e che rimaneva in biblioteca fino a tardi. Ero sempre stato quello gay, cresciuto da una ragazza madre che per me aveva donato anche il sangue e il sudore pur di darmi un'istruzione; si era privata di tutto pur di darmi da mangiare e una casa in cui vivere e si era fatta in otto pur di non farmi pesare il fatto che non avessi un padre o dei nonni o il fatto che fossi nato omosessuale, invece che come tutti gli altri, invece che "sano".
Mi alzai, cercando di coprire la mia nudità con le mie braccia, nonostante fossi solo. Cercai dei vestiti che però non trovai a una prima occhiata.
Fui così costretto ad avvicinarmi a una delle cassepanche. Non sapevo se potevo, ma volevo almeno vestirmi se non potevo pulirmi, anche se mi mancava la sensazione di un bagno caldo. Odiavo puzzare ed essere sporco, ero quel tipo di ragazzo che si faceva almeno tre volte al giorno una doccia se poteva e si lavava le mani ogni volta che toccava qualcosa. Sì, ero un maniaco dell'igiene.
Al primo tentativo trovai solo altre coperte, al secondo delle armi e finalmente al terzo quelli che sembravano vestiti, anche se non li avrei mai chiamati tali, ma non potevo essere schizzinoso.
Presi una specie di tonaca bianca e la infilai.
«Tum kya kar rahe ho?» la voce dura alle mie spalle mi sorprese e mi fece irrigidire. Mi sembrò di aver appena fatto qualcosa di sbagliato, di essere stato colto in flagrante dopo aver fatto qualcosa di losco, anche se non era affatto così.
Mi voltai lentamente, rosso come un peperone.
«N... Non ho capito cosa hai detto.» incespicai nelle mie stesse parole. Che lingua era?
«chheen liya.» disse di nuovo in quella lingua sconosciuta, abbandonando quello che aveva in mano proprio davanti all'entrata e avvicinandosi a me. Iniziò a tirare l'indumento che mi ero appena messo a posto e io cercai di fermarlo.
«Non posso stare nudo, è solo uno straccio.» cercai di replicare, ma lui non capì e alla fine me la strappò, lasciandomi di nuovo nudo.
I suoi occhi gelidi e apatici sembrarono contrariati, ma allo stesso tempo soddisfatti.
«Era solo una tonaca.» sbuffai, mentre lui iniziava a toccare il mio corpo, che fu subito sensibile al suo tocco.
I suoi pollici sfiorarono i miei bottoni di carne, che immediatamente si irrigidirono, come se lo avessero fatto molte altre volte a quel gesto, mentre le sue dita mi solleticavano dalle ascelle ai fianchi, fino alle natiche.
Gemetti quando mi palpeggiò, persino il mio membro si risvegliò e subito provai l'esigenza di coprirmi con le mani, ma lui non me lo permise. Mi prese per mano e mi portò verso uno dei cuscini e mi fece sedere su di essi.
«Kadam nahin hai.». Ancora una volta non compresi.
«Non riesce a capirti.» cercai di fargli capire, anche a gesti, ma lui mi ignorò andando verso l'entrata e riprendendo ciò che aveva abbandonato: un arco e tre lepri.
Tentai di alzarmi, ma mi fulminò con i suoi occhi che mi ghiacciarono per la paura.
« Kadam nahin hai.» ripeté e questa volta forse compresi: "resta lì.".
Si sistemò di fronte a me e mise i tre animali ormai esanimi sul tavolo. Poi estrasse un coltello e iniziò a scuoiarli come se nulla fosse davanti ai miei occhi.
Mi portai una mano davanti alla bocca e per poco non rigettai.
« Ek chunana.» mi invitò, prendendo una lepre e agitandomela davanti al viso.
«No... Grazie... Sono vegetariano.» dissi sommessamente, scuotendo la testa e senza scostare la mano.
Lui alzò le spalle e tornò al suo lavoro con gesti precisi e veloci, come se fosse un'abitudine. Io mi rifiutai di guardare, anche quando l'altro iniziò a cantare con voce dolce e sublime, in quella stana lingua dura.
« aap bana sakata hai?» mi chiese dopo un po', posando il coltello.
«Non ti capisco.» quasi gridai esasperato.
Avevo sempre odiato non riuscire a comprendere le cose, era più forte di me. Come avrei fatto a parlare con lui, a chiedergli di farmi tornare a casa, se nessuno dei due poteva capire l'altro?

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Vincolo di ghiaccio
RomancePerso tra le terre ghiacciate e innevate di Yor, Hania sta per morire. È l'ultimo rimasto del suo gruppo di amici, morti a causa di una bufera di neve che li ha presi alla sprovvista e non ha lasciato loro alcuno scampo, ma il ragazzo resiste, con l...