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« Bonjour Monsieur, où aller? »

« À l'Hôpital Universitaire Pitié – Salpêtriere, s'il vous plâit. »(1) rispose al tassista, poggiando un gomito sullo sportello e portandosi una mano alla fronte come se quel semplice gesto avesse potuto fare qualcosa per la sua emicrania.

« Vite. » aggiunse, infastidito dallo sguardo dell'uomo, riflesso nello specchietto retrovisore, e dalla sua insostenibile inerzia.

« Bien sûr, Monsieur. » (2)

Le chauffeur de taxi si decise a mettere in moto il mezzo e si incanalò nel caotico traffico dell'autostrada A3 con profondo sollievo da parte del suo indisponente passeggero, il quale mise una mano nella tasca interna della giacca, tirando fuori un orologio a cipolla. Un'anticaglia risalente alla seconda guerra mondiale regalatagli da suo nonno. Un oggetto dal quale non si era mai separato. Era una sorta di amuleto oltre che un caro ricordo:impugnandolo aveva come l'impressione di poter controllare il tempo e così la sua vita. La spasmodica ricerca di un equilibrio, di un ordine imprescindibile nella sua esistenza, lo aveva portato ad avere con quell'orologio, e con il tempo, un rapporto ossessivo. Le sue giornate erano organizzate sin nei minimi particolari e non erano contemplati imprevisti o variazioni di sorta: tutto doveva filare liscio e, soprattutto, dovevano essere rispettati gli orari.

Inutile dire che fosse, quindi, molto contrariato dal ritardo dell'aereo e ancor più dalla lentezza del suo chauffeur de taxi che continuava con insistenza a guardarlo attraverso lo specchietto retrovisore al posto di dedicarsi alla guida: L'Hôpital Universitaire Pitié – Salpêtriere distava una quarantina di chilometri dall'aereoporto, circa un'ora di macchina, ma di quel passo ce ne avrebbero messe almeno due.

« Vite. » ripeté, abbassando gli occhiali da sole sulla punta del naso in modo tale che l'autista potesse incontrare il suo sguardo e leggervi quel messaggio che forse non aveva ben recepito in precedenza.

L'autista staccò immediatamente gli occhi dallo specchietto e li riportò sulla strada, accelerando un po'.

Era in ritardo. Impensabile.

Prese a fissare l'orologio, seguendo con gli occhi la lancetta dei secondi che, inesorabile, procedeva sul quadrante di madreperla.

Tic – Tac, Tic – Tac.

Trovava quel suono irritante. Ogni movimento di quella lancetta equivaleva a un'onta ai danni della sua persona.

Continuò a fissarla con astio, iniziando inconsciamente a muovere in modo ritmico la gamba destra.

« C'est une belle montre vraiment. »(3)osservò il tassista.

Lo ignorò: non lo pagava per ricevere complimenti sul suo orologio, ma per arrivare in fretta a destinazione. Inoltre, quell'improvvisa affermazione lo aveva distolto dall'osservare la lancetta dei secondi che, di conseguenza, aveva avuto modo di muoversi più velocemente.

The second hand unwindsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora