Rain.

315 29 10
                                    

Per la tromba delle scale risuonava come una lugubre melodia, il suono che le suole bagnate producevano ad ogni passo, a contatto con le fredde piastrelle degli scalini.

Il cielo, fino a pochi istanti prima sereno, si era velocemente annuvolato e un' acquazzone primaverile aveva colto di sorpresa tutti coloro che camminavano per le strade affollate di quell'enorme città.

Naturalmente, le persone previdenti, in quella stagione non si sarebbero mai avventurate fuori casa senza un piccolo ombrello nella borsa, ma Artur, capelli di un biondo cenere e occhi vispi azzurri, non faceva di certo parte di questa categoria.

Ma del resto non aveva mai avuto bisogno di farne parte. Soprattutto da quando aveva conosciuto lui, che lo aveva salvato.

Edward.

Capace di quelle piccole magie che lo lasciavano sempre a bocca aperta.

Già, lui aveva sempre visto la sua immancabile precisione come una magia.

Far apparire un'omblello quando pioveva, una sciarpa quando faceva freddo, un fazzoletto quando eri raffreddato, un sorriso quando eri triste. Piccole gesti che posso sembrare banali, ma che racchiudono in se un grande amore, di cui non ti accorgi fino a quando non ci sono più.

Come in quel momento.

Uscendo dalla metro aveva sperato di vederlo come quel giorno ormai lontano quando si erano conosicuti, col fiato corto e uno sguardo sorpreso, mentre timidamente gli offriva un'ombrello per ripararsi, che sembrava esser spuntato dal nulla.

Non gli aveva mai chiesto se lo avesse fatto solo perché così lui sarebbe tornato a cercarlo per restituiglielo, o per semplice bontà di cuore. Era però convinto,che se anche non lo avesse fatto si sarebbe di certo rincontrati.

Il destino che li aveva uniti, li avrebbe di certo fatti rincontrare.

Sul volto di Artur si dipinse un'espressione malinconica, salì gli ultimi scalini, e aprì la porta di servizio che dava sul pianerottolo del sesto piano.
Svoltò a sinistra e poi a destra e con un movimento meccanico dovuto all'abitudine, prese le chiavi dalla tasca dei pantaloni, le inserì nella serratura e dopo pochi secondi si ritrovò nell'ampio ingresso dell'appartamento.

Dopo aver sfilato le scarpe bagnate, il biondo si diresse in camera. Si asciugò e si cambiò velocemente con abiti asciutti, per poi tornare sui suoi passi e raggiungere il salotto.

Osservò fuori dalle grandi finestre, ma da quando era entrato nel palazzo la situazione non era cambiata: la pioggia continuava a cadere, forse con più intensità di qualche minuto prima.

Si lasciò cadere sfinito sul grande divano bianco.
Nella penombra della stanza, illuminata solo dalla fioca luce esterna, sospirò e chiuse gl'occhi.

Intorno a lui, solo il martellante rumore della pioggia.

Gli comparvero davanti le stesse immagini, che oramai da una settimana lo tormantavano: il letto vuoto, un biglietto.

E niente Edward.

Pose le mani sul volto, come a voler scacciare quelle immagini.

Erano trascorse quasi due settimane da quella mattina, quando se ne era andato senza nemmeno salutarlo, lasciando solo scritto sul biglietto: non è colpa tua.

Non è colpa tua.

Come se potesse essere vero.

E se invece fosse stato realmente vero, allora perché se ne era andato?

Giorni di pioggia...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora