Il giorno dello spettacolo giunse prima del previsto, ma stranamente, quella mattina, Sabrina si svegliò abbastanza riposata e solo un po' nervosa. Si sentiva lo stomaco un po' in subbuglio, ma sorprendentemente riuscì a non vomitare. Interpretò la cosa come un ottimo segno, poiché solo pochi mesi addietro sarebbe stata una cosa impensabile. Osservandosi allo specchio sorrise e si guardò i denti, pensando che sarebbero rimasti bianchi e robusti ancora per molti anni. Dopo scuola, tornata a casa, si esercitò ancora un po' davanti al piccolo Enrico, che rimase zitto e sorridente, senza mai interromperla e applaudendo alla fine.
Mara, una delle sue due migliori amiche, si offrì di acconciarle i capelli e di truccarla leggermente, così magari si sarebbe sentita un po' più sicura di sé. L'altra, Giorgia, che partecipava con lei alla rappresentazione, ripassò tutto assieme a lei per quasi due ore. Sua madre cucinò per lei uno dei suoi piatti preferiti e suo padre la rassicurò a lungo, prima di uscire, ricordandole che erano mesi che non aveva un attacco di panico, che aveva smesso di vomitare, di evitare le strade affollate e lo sguardo delle persone, ma soprattutto che era molto più sicura di sé, anche se ogni tanto il giudizio degli altri la spaventava ancora.
Lo spettacolo sarebbe durato circa un'ora, compresa la pausa tra il primo e il secondo atto, ed entrambi sarebbero stati introdotti da lei, come narratrice. Presentare il primo fu snervante, difficile e tanto emozionante da farle tremare le mani, ma fortunatamente non la voce. Le luci intense l'aiutarono molto, nascondendo parzialmente il pubblico alla sua vista. A un paio di minuti dalla pausa, però, improvvisamente le vennero a mancare le parole e in appena qualche secondo il panico iniziò a strisciare in lei. Doveva trovare in fretta una soluzione, prima che le ottenebrasse il cervello!
Alla fine, optò per l'improvvisazione e non le riuscì neanche tanto male, ma appena calò il sipario dovette correre in bagno, per sciacquarsi il viso arrossato. L'acqua, però, ebbe l'effetto contrario, poiché sciolse via parte del trucco e lei, dandosi della stupida, dovette correre da Mara per farsi aiutare a risistemare un po' la faccia alla bell'e meglio. Il risultato non fu ottimo, ma nemmeno disastroso, e Sabrina ripeté tra sé e sé: dopotutto sei solo una ragazza un po' troppo timida, Sabrina, e un po' di trucco sbiadito non è poi la fine del mondo. Dai, sei addirittura riuscita ad improvvisare!
Sebbene il suo umore non fosse al top, in qualche modo riuscì ad introdurre il secondo atto, ma tenette rigorosamente lo sguardo basso, per paura di leggere negli occhi di qualcuno il disastro che forse aveva in faccia. Fortunatamente, nessuna risatina giunse alle sue orecchie, se non quando la parte prevedeva qualche battuta e questo la rassicurò molto.
Il finale giunse tanto rapidamente che Sabrina ne restò quasi scioccata: tanti mesi di preparazione, tante ore di studio, di errori, di trepidazione e di ansia solo per questo? Dieci minuti di presenza in scena, al massimo? Quindici forse? Durante le prove le erano sembrati un'eternità, ma quella sera scivolarono via quasi fossero solo un breve istante. Persino i dieci minuti di panico della pausa le erano sembrati molto più lunghi! Quando finalmente calò il sipario sull'ultima scena, Sabrina quasi pianse dalla gioia: ce l'aveva fatta! Ci era veramente riuscita! Aveva retto uno spettacolo intero senza quasi nessun problema!
Quando il tendone rosso fu riaperto, con tutti gli studenti in fila sul palco, Sabrina subito cercò la sua famiglia tra gli applausi della folla e la gioia che provò nel vedere il sorriso sui volti di sua madre e soprattutto di suo padre fu tanto immensa che quella fu l'unica cosa alla quale riuscì a prestare attenzione. Nemmeno si rese conto che la prof di lettere, intanto, era salita sul palco e aveva preso possesso di un microfono, per dire due parole sull'impegno che i ragazzi avevano messo nella realizzazione dello spettacolo. Poi disse qualcos'altro e Sabrina continuò a non ascoltarla, finché non si vide il microfono piantato sotto al mento e, dopo alcuni secondi di confusione, si rese conto che la prof si aspettava che lei dicesse qualcosa.
Lei? Perché proprio lei? Perché non poteva chiedere ad un altro qualunque dei suoi compagni di parlare? Improvvisamente, un'intuizione sgradevole e imbarazzante le balenò in mente e le mozzò il respiro: che avesse parlato di lei? Che avesse detto a tutti del suo problema e dei progressi che aveva fatto grazie alla recitazione?
«Dai, Sabrina» la incitò sottovoce la prof, sollevando le sopracciglia.
«I-Io ...» balbettò spiazzata.
«Sì, dai.»
«Io, prof ... non ho sentito ... la domanda» mormorò, pentendosene un attimo dopo.
Alle sue parole, subito partirono le risate del pubblico. E non erano risate crudeli, né di scherno, ma semplici risate innocenti e sinceramente divertite, senza alcun velo di malizia. E questo Sabrina lo sapeva, poteva vederlo chiaramente, ma in quel momento fu come se tutto il mondo fosse entrato nell'aula magna di quella scuola e tutto il mondo non fosse altro che una folla di occhi curiosi, pronti a scrutarla e a giudicarla e a ridere di lei, della sua mediocrità e della sua stupidità.
Iniziò a tremare, il battito cardiaco le schizzò a mille, la testa iniziò a girarle, il respiro le si bloccò in gola e un conato di vomito le risalì l'esofago, andando a depositarsi sulle scarpe azzurre della prof, che non riuscì a spostarsi in tempo. D'improvviso, un silenzio assoluto scese di colpo sulla stanza. O forse era solo lei che si era dissociata dalla realtà circostante e le risate erano in realtà aumentate? Sabrina questo non lo sapeva e neanche voleva saperlo.
Tutto ciò che desiderava, in quel momento, era sparire dalla faccia della Terra, come se non fosse mai esistita; e poiché questo era impossibile corse dietro le quinte, uscì dall'aula magna, corse fuori in strada e continuò a correre ancora, finché un clacson non la spaventò, facendola tornare in sé. Scoprì che non si era allontanata di molto, eppure si sentiva incredibilmente distante da se stessa, o meglio dalla ragazza simpatica e sicura di sé, capace addirittura di improvvisare e di rendere orgoglioso suo padre, che era stata fino a poco prima. In pochi secondi era tornata a sentirsi come la vecchia Sabrina: impacciata, insicura, terrorizzata, paranoica e irrimediabilmente sociofobica.
E mentre si asciugava la bocca ancora un po' sporca, dirigendosi verso il parcheggio in cui avevano lasciato la macchina, continuò a pensare a suo padre che le diceva: dopotutto, sei solo una ragazza un po' troppo timida!
Mi scuso se ho pubblicato molto in ritardo l'ultima parte, ma purtroppo nei giorni scorsi ho avuto qualche imprevisto e non ho mai avuto tempo di mettermi al computer.
Anyway, spero che questa piccola storia vi sia piaciuta :). È solo un breve racconto, ma mi sono impegnata molto e, indipendentemente dal risultato, sono contenta di averlo scritto, perché nel farlo ho imparato molte cose sulla fobia sociale e sul disturbo evitante di personalità, utili anche nella vita di tutti i giorni per rapportarsi meglio con le altre persone e avere una maggiore comprensione e consapevolezza di certi comportamenti.
Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno apprezzato questo racconto e che hanno voluto farmelo sapere tramite un voto o un commento, sia qui che su EFP <3. È anche grazie a voi se, dopo tanti anni, ho ancora voglia di migliorare nella scrittura e di condividere le mie storie. Scusate ancora per l'imbarazzante ritardo!
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Dopotutto, sei solo una ragazza un po' troppo timida!
Teen Fiction"A prima vista, insomma, non era particolarmente diversa da una qualsiasi ragazza di sedici anni. Aveva un solo difetto, il che può sembrare poco, ma questo era tanto grave da condizionare molti aspetti della sua vita. Facendo qualche ricerca su Goo...