6.

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Capitolo 6.
«È proprio buono signora Jonson» dice Josh con una voce da lecca piedi.

«Oh... Grazie Josh. Sei proprio gentile. Al contrario di mia figlia» dice mia mamma lasciandomi un occhiataccia, ma io la guardo e poi abbasso gli occhi sul piatto per ignorarla.

«Davvero? Oggi a scuola non sembrava» dice lui.

Basta. Ora parlo io:«Guardate che sono qui, e non sono invisibile» sbottò io acida.

Poi la smettono. Poi papà ha cominciato un discorso di lavoro. Da ciò che ho capito mio padre e suo padre lavorano insieme. Non so se è una cosa positiva o no.

Lui lo sapeva? Se si; perché non me lo ha detto oggi? Cosa nasconde?

Poi vengo scossa da pianto della bambina la madre la prende in braccio per calmarla.

A molti da fastidio il pianto di un bambino; ma ha me no, mi ricorda i momenti più belli della mia vita.

Prima di Tony. Prima di tutto. Prima di San Francisco. Prima di essere questa. Prima.

Nessuno sa cosa è successo in quello che io definisco "Prima", e mai dovranno saperlo. Mai.

Grazie al cielo anche la mia mente sta dimenticando.
Sono passati 6 anni da tutto quello che è successo a Chicago.
Ho messo quella città in una campana di vetro per impedire che i ricordi di prendere l'aereo e venirmi ha trovare.
Coloro che fanno parte del "Ricordo" non so dove sono e non lo sapranno mai. Mai.

«Sh... Sh... Emily». Dice la madre con la bambina tra le braccia.

Mia madre: «Jess. Tu sei bravo con i bambini. Prova a calmarla.»
Poi mia madre si rivolge a gli ospiti: «Sapete a Chicago era un'ottima baby-sitter.»

Io rabbrividisco non di quella città che ho messo sotto una cupola.

«Mamma! Sai la regola!» dico in che stretti alzandomi la tavola. In quel momento non mi importava di ciò che gli ospiti avrebbero potuto pensare.

«Tesoro. Devi prendere a usare quella parola che ti piaccia o no» dice irritata.

«Mai!»

«Invece si! Perché la gita di quest'anno è a Chicago e tu ci andrai che ti piaccia o no!»

Raggelo. Sento freddo. Mi sento morire.

Sono così presa dalle mie emozioni che mi dimentico che abbiamo ospiti a tavola e che non c'è solo la mia famiglia quasi perfetta.
Ma non mi interessa. Voglio tenere testa a mia madre.

«Io non ci vado!» dico decisa. Solo ora mi accorgo di che sto trattenendo il respiro. Ma neanche di quello mi importava ormai.

«No! Tu ci vai. Fine.» dice come ultima mossa decisiva. Che la fece vincere.

Ho le lacrime. Non per tristezza né per disperazione. Per rabbia. Troppa rabbia. Ho troppa rabbia in corpo e troppo poco spazio per contenerla.
Il mio corpo non è come una corteccia troppo poco resistente per contenere la rabbia che ho in corpo.

Poi intervenne mio padre: «Cara dovevamo dirglielo insieme. Soprattutto in altre circostanze»

La voce pacato di mio padre mi riportato a galla dei miei pensieri. Solo in quel momento mi resi conto che la bambina aveva smesso di piangere. Mi faceva pena. Così piccola e già doveva sopportare i mali di questo mondo. Così piccola e già si era resa conto di come girasse il mondo. La cosa più brutta è che quando crescerà tutti questi ricordi svaniranno dalla sua mente come il fumo nel vento.

«Ormai lo l'ho detto». Dice mia mamma mentre si rilassa i suoi occhi marroni.

«Scusate. Mich dicevi?» chiede mia madre al padre di Josh come se nulla di quello che è appena successo fosse avvenuto.

Head vs. HeartDove le storie prendono vita. Scoprilo ora