Rain
Pioveva, ma in quella cittadina dimenticata da Dio non era un evento raro. Se eri fortunato, era una pioggia leggera, di quelle piacevoli che ti lavavano via di dosso il sudore e la stanchezza; nella peggiore delle ipotesi era un violento temporale, con gocce gelide e pungenti come spilli acuminati che ti si conficcavano nella carne. Quel giorno, però, pioveva e basta, né troppo forte né troppo piano, una cosa a metà, per questo ancora più fastidiosa.
Maxwell si strinse nel mantello zuppo e alzò lo sguardo verso il cielo, osservando la spessa coltre di nubi con aria scettica. I suoi sensi da lupo non funzionavano bene con la pioggia e ciò contribuiva a renderlo di cattivo umore. Si calò meglio il cappuccio sulla testa e riprese a camminare.
Nell'aria riecheggiò il fragore di un tuono. Le poche persone che erano ancora in strada affrettarono il passo, rifugiandosi sotto le tettoie delle botteghe e delle case o direttamente dentro qualche taverna.
Non appena si avvide d'essere solo, Maxwell si accostò al muro di un palazzo per trovare riparo. Il freddo gli era ormai entrato nelle ossa, tanto che avrebbe desiderato andare a riscaldarsi in un luogo chiuso, possibilmente davanti a un bel fuoco, ma non poteva: il suo aspetto lo avrebbe fatto cacciare da qualsiasi osteria o salotto in meno di un secondo. Si abbassò il cappuccio e scrollò le orecchie pelose. Per un attimo ponderò l'idea di lasciar libera anche la coda, ma sapeva perfettamente che ciò avrebbe significato togliersi il soprabito e quindi rivelare a tutti la sua vera natura. E no, non voleva che qualcuno scoprisse che era un Lycan e gli piantasse una pallottola in fronte. Sospirò, sistemò l'ascia che portava sulle spalle e slacciò le cinghie che tenevano legata la balestra, per poi lasciarsi scivolare seduto a ridosso del muro. Non sapeva quanto avrebbe dovuto rimanere lì, quindi era meglio mettersi comodi. Non che stare seduti su quell'acciottolato fangoso corrispondesse esattamente alla sua idea di comodità, ma non aveva intenzione di bagnarsi ulteriormente. Sperava di riuscire a compiere la sua missione prima del calare della sera, così da rimettersi in marcia il giorno stesso, ma a giudicare dalle condizioni atmosferiche probabilmente sarebbe stato costretto a soggiornare lì più a lungo del previsto. Sospirò nuovamente e cercò di ricordare quante monete si fosse portato dietro. Forse ne aveva a sufficienza per almeno una notte. Dopo la missione ne avrebbe ricevute altre cinquecento.
Quando la Dogma gli aveva affidato quell'incarico, non aveva potuto fare a meno di storcere il naso. In teoria era una missione facile, non prevedeva la caccia di nessun mostro, ma il semplice recupero di "un membro importante per la nostra organizzazione". Il problema consisteva nel "dove" doveva recuperarlo, una città con un clima di merda un giorno sì e l'altro pure. Maxwell aveva tentato in tutti i modi di fare cambio con qualche altro Slayer, ma stranamente sembravano tutti impegnati quella settimana. Non se n'era stupito più di tanto, ma lo infastidiva enormemente che fosse stato scelto proprio lui per andare ad Hambleden. Avere per buona parte l'aspetto di un lupo poteva avere i suoi vantaggi durante la caccia, ma per qualunque incarico che esentasse da questo ambito lui non era particolarmente idoneo. D'altronde i piani alti della Dogma erano famosi per il loro umorismo, alquanto discutibile per molti dei dipendenti.
Schioccò la lingua e si accese una sigaretta. L'odore del tabacco gli penetrò nelle narici e gli invase il petto, tranquillizzandolo. Come ogni volta, rimase immobile ad osservare il fumo che si trasformava in morbide spirali, per poi disperdersi senza lasciare traccia.
Intorno a lui regnava un silenzio tombale. Sul ciglio della strada, più avanti, c'era qualche puttana che si guardava intorno annoiata, consapevole che la sua attesa non sarebbe stata ripagata. Ogni tanto il rumore dello scoppio di un motore sovrastava lo scrosciare della pioggia e una macchina attraversava la via appestando l'aria del puzzo di combustibile. Non che Hambleden e tutte le città della contea di Merthindam fossero particolarmente popolose.
Guardò distrattamente il riflesso dei palazzi fatiscenti nelle pozzanghere che si erano formate in mezzo alla strada e sputò fuori un'altra nuvola di fumo.
Circa cinquant'anni prima tutto il mondo era stato investito da una rivoluzione industriale che lo aveva completamente cambiato. I boschi e le sterminate foreste erano state abbattute per far posto a grandi metropoli, dove si ammassavano case e fabbriche d'ogni tipo, mentre i vecchi sentieri erano stati soppiantati da chilometri e chilometri di rotaie, su cui viaggiavano i treni che collegavano le città più lontane. L'industrializzazione aveva invaso il presente, catapultando il mondo in un'era dove i cieli erano sorvolati da aeronavi e grigi dirigibili, costruiti grazie alla fusione delle nuove tecnologie con la magia. Quasi tutte le contee avevano accettato quel nuovo, prodigioso cambiamento, tutte salvo Longlesh, Corkia e Merthindam.
Appellandosi ai movimenti anti-industriali, i sindaci avevano limitato, se non addirittura proibito, qualunque forma di tecnologia sul loro territorio. Perciò le città che avevano rifiutato l'avanzare del progresso erano accomunate dal degrado e dalla povertà, quasi totalmente escluse dai commerci e lontane dalla civiltà. La popolazione viveva di stenti, nella costante paura dei mostri che abitavano le foreste nei dintorni, e la tecnologia era un bene costoso ed elitario, che solo pochi potevano permettersi. Non era strano, quindi, che la maggior parte delle richieste d'aiuto che arrivavano alla Dogma giungessero proprio da una di quelle contee arretrate. Per non parlare della "famosa" gratitudine dei loro abitanti.
Maxwell si ricordò la fine ingloriosa che aveva fatto uno degli ultimi Slayer che era stato spedito lì in missione, morto ammazzato dagli stessi cittadini che gli avevano chiesto aiuto.
"Io non ho intenzione di crepare e non saranno certo un branco di umani puzzolenti ad uccidermi."
Fece vagare lo sguardo qua e là per assicurarsi che nessuno lo stesse osservando e con molta attenzione tirò fuori dalla tasca interna del mantello una mappa sgualcita. Studiò la planimetria della città per l'ultima volta e, dopo essersi calato di nuovo il cappuccio sul capo, si alzò. Riprese a camminare per la strada principale, tenendo sempre i sensi vigili per evitare di venire derubato. Superò rapidamente una bottega con il vetro bagnato e sporco di fango e un bordello dall'aria triste che, stando al suo fiuto, ospitava all'interno quattro, forse cinque uomini avvinghiati ai corpi delle loro "intrattenitrici". Passò di fronte alla finestra, resa opaca dalla condensa e dal divario di temperatura tra fuori e dentro. Lanciò un'occhiata distratta e gli parve di riconoscere il viso di una ragazza che aveva incrociato al suo arrivo. Lei, come se avesse percepito la sua presenza, alzò lo sguardo e per qualche istante i loro occhi rimasero incatenati. Lo Slayer ebbe l'impressione di scorgervi una tacita preghiera di aiuto, poi una mano da uomo artigliò una spalla ossuta della giovane prostituta e la trascinò nella penombra. Maxwell rizzò le orecchie e rimase in ascolto, forse per assicurarsi che non le venisse fatto del male, ma in ogni caso non avrebbe mai ammesso di essersi preoccupato per un'umana. Udì una sequela di gemiti e lamenti, così distolse bruscamente l'attenzione. Ciononostante, non poté fare a meno di avvertire qualcosa muoversi nel suo petto, un fastidio acuto e immotivato. Scrollò la testa con veemenza e si allontanò. Dopo un po' si fermò appoggiato a un palo e attese che quella strana sensazione passasse. Strinse i pugni più volte, prendendo dei respiri profondi e cercando di regolare il battito cardiaco, accelerato per la rabbia. Irritato, sputò per terra e chiuse gli occhi. Lui era uno Slayer, un cacciatore di mostri, non certo l'eroe delle puttane o di poveri contadini. Non aveva alcun obbligo verso gli esseri umani, anzi, preferiva evitare qualunque contatto. Se quella donna avesse potuto pagarlo, forse l'avrebbe aiutata, ma nemmeno vendendo i suoi stessi organi avrebbe potuto permettersi i servigi di uno come lui.
Erano passati più di sei anni da quando aveva terminato l'addestramento sul monte Mohor e aveva bevuto l'Essenza dell'Anima, eppure spesso si sorprendeva ancora a provare emozioni umane. Quell'intruglio che gli avevano somministrato, un misto di farmaci e sangue di creature mostruose, le stesse che aveva il compito di sterminare, avrebbe dovuto renderlo una fredda macchina da guerra. Tuttavia, qualche residuo della sua parte umana aveva resistito e tornava a pungolarlo nelle situazioni più inopportune, specialmente mentre stava lavorando, e la cosa lo imbestialiva come non mai. Fosse stato per lui, si sarebbe fatto sostituire tutti gli organi con quelli di un Lycan, compreso il cervello e il cuore, ma era ben conscio delle terribili conseguenze a cui sarebbe andato incontro se avesse ceduto. Rabbrividì e si esibì in una smorfia disgustata.
Arrivò alla piazza principale e si fermò davanti alla sua destinazione; una chiesa, corrosa per buona parte dall'usura del tempo e delle piogge, si stagliava contro il cielo in una silenziosa sfida a Dio. Dei pilastri che scandivano la facciata ne rimanevano in piedi soltanto due, simili a dita scheletriche di cadaveri putrefatti. L'acqua scorreva tra i contrafforti coronati da guglie marmoree e sui resti di tre enormi finestre con nervature sinuose ed eleganti.
Al centro, le gocce di pioggia correvano sulle schegge colorate di un antico rosone, mentre una croce solitaria si ergeva sulla cupola centrale. Maxwell rimase incantato a contemplarla per alcuni istanti, poi si avvicinò al portone di legno marcio e bussò. Il suono cavo prodotto dalle sue nocche riecheggiò in maniera inquietante e per cinque minuti abbondanti non udì nulla a parte lo scrosciare della pioggia. Poi il silenzio fu spezzato da passi concitati e sulla soglia apparve una donna avvolta in una pesante tunica nera e la testa coperta da un velo bianco.
- Desidera? -
- Sono qui per quella cosa. - rispose vago, ma la suora afferrò subito il sottinteso.
Lanciò un'occhiata in tralice alla spilla che Maxwell portava sugli abiti al di sotto del mantello, un oggetto con sopra inciso un grifone, simbolo della Dogma, ma non si scompose.
- Mi è concesso vedere il suo volto? -
- Non le bastano i miei occhi? -
Evidentemente le era stato ordinato di non far entrare nessuno a parte colui che stavano aspettando.
Maxwell sospirò e tirò giù il cappuccio. Si passò le mani tra i capelli neri, liberando le orecchie da lupo, poi sorrise mostrando una chiostra di denti acuminati. Si compiacque del pallore che adesso la donna sfoggiava sul viso. Farle vedere le zanne in realtà non era necessario, sarebbe bastato piantarle addosso le iridi gialle, ma provava un insano piacere a scorgere la paura negli occhi di quegli sciocchi umani.
- C'è altro? - ghignò.
La donna scosse in fretta la testa e arretrò, dandogli il permesso di entrare.
- Pr-prego... - balbettò.
Senza premurarsi di rimettersi il cappuccio, Maxwell fece il suo ingresso nella chiesa.Ad Hambleden lo scorrere dei secondi, dei minuti e delle ore non aveva la stessa importanza che in qualunque altro luogo. Gli abitanti, le case, persino l'aria stantia di quella cittadina sembravano non risentire dell'effetto del tempo. Si aveva come l'impressione che tutto fosse immobile, soggetto ad un'eterna stasi che sapeva di morte.
Quando Maxwell uscì dalla chiesa non seppe quantificare quanto fosse rimasto dentro. La pioggia continuava a cadere imperterrita come quando era entrato e per le strade non c'era anima viva. Il freddo gli penetrò di nuovo sotto il mantello e si maledì per non essersi portato dietro nemmeno un panno per asciugarsi. Irritato più di prima, strinse con fermezza il fagotto che aveva tra le braccia. Aveva portato a termine la missione e recuperato il bambino, ma ora doveva trovare un modo per tornare alla Dogma in fretta. Il pensiero delle leghe che avrebbe dovuto percorrere accrebbe il suo fastidio, tanto che si ritrovò a sbuffare scocciato ogni due passi. Il fagotto si dimenò e una manina rosea sbucò da quell'involto di panni luridi. Il cacciatore rivolse un'occhiata distratta al piccolo: aveva un paio di occhi di un verde intenso e un accenno di capelli rossi che gli conferivano un'aria birichina. Qualcosa gli suggerì che quell'esserino non gli avrebbe reso la vita facile, ma non lo avrebbe abbandonato. Non sapeva perché la Dogma fosse interessata ad un neonato e in quel momento, per la prima volta, si pentì di non averlo domandato.
- Ti conviene non metterti a frignare durante il tragitto, altrimenti Dio solo sa a che belva ti darò in pasto. -
Il bambino socchiuse appena le palpebre ed emise un vagito. Maxwell inclinò la testa e, senza rendersene conto, l'ombra di un sorriso si dipinse sulle sue labbra.
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Slayers
Fantasy[Primo libro della saga 'Slayers'] [Ispirato a Claymore, Devil May Cry e The Witcher] La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per comb...