Nei giorni seguenti, Alan vagò per i paesi vicini in cerca di qualche altro incarico. Aveva redatto il rapporto sull'eliminazione degli Sventratori e l'aveva spedito alla Dogma il pomeriggio stesso dopo il colloquio con Frejie. Quindi aveva deciso di verificare se ai crocicchi era stata appesa qualche richiesta d'aiuto ben retribuita e, nell'intento di scovare qualche lavoretto con cui tenersi occupato e non consumarsi nell'attesa di una risposta da parte della maga, visitò pure Serdica e Redstat, passando per alcuni villaggi che nemmeno ricordava, senza però alcun successo. Al tramonto del terzo giorno giunse ad una città di frontiera, Iadera.
Assieme alla sua fedele Brunilde, si trascinò fino alla prima locanda in cui si imbatté per trascorrervi la notte. Il proprietario, un uomo smilzo col naso adunco e la testa pelata, lo squadrò con diffidenza, ma non si spinse al di là delle domande che il suo lavoro gli imponeva di fare ad ogni nuovo ospite, desiderato o meno che fosse. Gli venne assegnata una camera dall'aspetto rustico, con le pareti bianche scrostate in più punti e il soffitto tappezzato di macchie d'umidità. Inoltre, le lenzuola polverose e l'aria viziata indicavano che erano passati molti giorni, forse mesi, dall'ultima volta che qualcuno ci aveva messo piede. Ma in fin dei conti non gli importava, tanto vi avrebbe soggiornato solamente poche ore.
Si sdraiò sul materasso con un sospiro stanco, ma il sonno tardò ad arrivare. Si mise supino e fissò la piccola finestrella incassata nel muro. Fuori aveva cominciato a piovere e le gocce d'acqua picchiettavano insistentemente contro il vetro, scivolando sulla sua superficie in rivoli trasparenti. Mentre osservava il cielo plumbeo, ripensò a quando aveva attraversato quelle stesse cittadine insieme ad Eluaise e a suo padre. Allora erano tempi diversi. Lui era diverso.
Gli era sempre piaciuto incantarsi ad ascoltare il rumore della pioggia. Per anni aveva creduto che quelle gocce gelide avessero il potere di lavare i peccati e ogni volta che scorgeva delle nubi temporalesche all'orizzonte, trascinava Eluaise nel giardino di fronte casa e la obbligava a restare immobile fino a quando il cervello si svuotava da ogni pensiero. Non aveva mai perso quella strana abitudine, ma senza Eluaise non era la stessa cosa. Da quando si erano separati, il mondo che lo circondava aveva perduto i suoi colori, trasformandosi in un'accozzaglia di grigi, e la pioggia non aveva più quei connotati catartici e purificatori che tanto amava. Le città erano diventate agglomerati urbani dalle tinte fosche, solcate da strade fangose che conducevano ovunque e da nessuna parte, e persino l'odore che saturava l'aria era cambiato, sporcato dai disgustosi e soffocanti miasmi che scaturivano dalle fogne. Forse erano stati gli anni d'addestramento a disincantarlo, a sbattergli in faccia le miserie di una realtà che fino ad allora aveva sempre ignorato. Maestro Lovuin era solito dirgli sempre che se fossero sopravvissuti si sarebbero abituati a tutto e che, una volta bevuta l'Essenza dell'Anima, i sentimenti li avrebbero per sempre abbandonati. Però da quando aveva lasciato la Rocca di Mohor come Slayer, ormai quasi due anni prima, aveva capito quanto il suo maestro si sbagliasse: né quell'intruglio di erbe né la carne di demone che avevano impiantato nel suo corpo erano bastati a cancellare la sua parte umana.
Un lampo illuminò la stanza, gettando ombre lugubri sullo scarso mobilio. La luce del piccolo lampadario tremolò, per poi spegnersi senza preavviso. Dal piano di sotto Alan udì l'urlo di una donna e le grasse risate degli altri commensali, raccolti nella sala comune. Scrollò la testa e sospirò. Infine si tolse gli stivali, tornò sdraiato e rilassò i muscoli, lasciando che il buio calasse sulla sua mente.
A strapparlo dal sonno furono le campane della chiesa di Iadera e il fastidioso vociare della gente. Il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi avevano invaso prepotentemente la stanza. Si schermò subito gli occhi con la mano, maledicendosi per non aver calato la persiana la notte precedente. In alternativa avrebbe potuto ridurre le pupille a fessure verticali, come quelle dei felini, per proteggersi dalla luce, ma gli era ancora difficile sopprimere l'istinto umano di pararsi la vista, persino dopo due lunghi anni.
Si alzò di scatto, scocciato, e si vestì in fretta. Sentiva addosso una certa inquietudine, una sensazione che aveva imparato a riconoscere come una specie di campanello d'allarme, e spesso e volentieri il suo sesto senso non sbagliava. Scese velocemente le scale, attraversò la sala comune senza fermarsi a fare colazione e si diresse verso l'uscita della locanda. Una folla consistente si era radunata sulla strada maestra e al di là di quel muro di teste Alan sentì distintamente dei singhiozzi.
- Cosa succede? - chiese a una contadina.
La donna strabuzzò gli occhi non appena vide la spilla con grifone che gli adornava il mantello. Arretrò di qualche passo, le mani strette al petto e lo sguardo terrorizzato di chi aveva appena visto un fantasma.
- Io... - balbettò, - Io non lo so, signore... dovrebbe chiedere al Guardiano... -
- Capisco. Dove posso trovarlo? -
- Lì. - la voce sprezzante dell'oste, alle sue spalle, gli graffiò le orecchie.
L'uomo gli indicò con precisione un punto in mezzo alla calca. Con estrema calma, Alan si fece largo e presto raggiunse la meta. D'un tratto piombò uno strano silenzio, così denso da fare riecheggiare anche il più flebile respiro. Quando ebbe superato l'ultima fila di curiosi, capì a cosa era dovuto l'orrore negli occhi degli astanti: una donna giaceva in ginocchio in mezzo alla strada, gli stivali sporchi di terra e il viso macchiato di sangue e fango. Tra le braccia stringeva la testa mozzata di un giovane uomo.
Le si accostò con circospezione per non spaventarla e si inginocchiò di fronte a lei.
- Tu chi saresti? Avevo espressamente ordinato di non far avvicinare nessuno. -
Una voce ringhiante alla sua sinistra lo costrinse a voltarsi. Un uomo con una barba incolta lo fissava con aria truce, le braccia incrociate al petto e una spilla con la stella a cinque punte, simbolo dei Guardiani, in bella mostra sulla casacca. Un fucile gli pendeva sulla schiena tramite fibbie di cuoio legate strette intorno alle spalle.
- Se sei uno di quei dannati giornalisti succhiasangue, abbi almeno la decenza di attendere. -
- Le sembro un giornalista? - risposte Alan pacato.
- E io che ne so? - sputò, - Voi seguite le mode. Siete sempre a caccia di notizie e fareste di tutto per trovarle, per poi sputtanarci in pubblico. Già li vedo i titoli dei giornali... -
- Penso che dovrebbe cominciare col fare una visita oculistica, signor Guardiano. -
Si alzò e picchettò un dito sulla spilla che indicava la sua appartenenza alla Dogma. L'uomo corrugò le sopracciglia e contrasse la mascella, visibilmente infastidito.
- Ah, allora sei uno Slayer. - schioccò la lingua e si sistemò meglio il cappello sulla testa, - Beh, qui non c'è niente da cacciare. E' stato un orso. -
Alan aggrottò le sopracciglia: - Ah, sì? E dove sono i segni dei morsi o degli artigli? -
Il Guardiano contrasse la mascella, mentre intorno a loro la gente continuava ad osservarli e ad ascoltare incuriosita.
- Sparisci, prima che decida di spararti in testa. -
- No. -
L'uomo digrignò i denti e imbracciò il fucile: - Hai capito cosa ti ho detto? Ti faccio saltare le cervella se non ti levi dal cazzo. -
Alan lo fissò con sussiego, scoccandogli un'occhiata di sufficienza.
- Ci provi, vediamo se è più veloce la sua pallottola o la mia mano. - lo sfidò.
Il Guardiano prese la mira. Era sul punto di premere il grilletto, quando alle loro spalle risuonò un applauso.
I due si girarono di scatto e videro un uomo avvicinarsi dal fondo della strada. Indossava un cappello a cilindro, un elegante frac nero a coda di rondine e camminava appoggiandosi a un bastone di legno. Le scarpe erano lucide e dall'aspetto costoso.
Alan, irritato da quell'interruzione inaspettata, squadrò l'intruso dalla testa ai piedi, chiedendosi cosa ci facesse un tipo così in quella topaia di frontiera.
L'uomo avanzò fino ad arrivare proprio di fronte a lui. Stirò le labbra in un sorriso cordiale, che insieme ai baffetti neri e le sopracciglia curate gli conferivano un'aria stravagante. Però c'era qualcosa di sinistro in quegli occhi scuri, un riflesso scarlatto che fece impallidire il Guardiano.
- Signori, vi sembra il caso di litigare? Signor Dumbar, mi meraviglio di lei! -
Si tolse il cappello e lo spolverò con un sospiro sconsolato.
- Dottor Mercer... mi-mi scusi... ma vede...- balbettò l'interpellato, abbassando la canna del fucile e facendosi piccolo piccolo.
"Dottore? In questa contea esistono i dottori?"
Alan rivolse uno sguardo scettico al nuovo arrivato, ma non commentò.
- Lasci stare, signor Dumbar. - sorrise di nuovo, scoprendo una sfilza di denti bianchissimi, - Sappiamo tutti benissimo quanta fatica, impegno e ardore lei riversi nel suo lavoro. -
Dopodiché distolse l'attenzione dal Guardiano, si inginocchiò e accarezzò la testa della donna, la quale sussultò al contatto, ma non si ritrasse. Le sfiorò i capelli con la punta delle dita macchiate di tabacco.
- Immagino come si sia sentito, signor Dumbar, quando questo giovane cacciatore ha cercato di mettersi tra lei e il suo dovere. Ridicolizzato davanti a degli stimati cittadini. -
Il Guardiano deglutì e una gocciolina di sudore gli corse lungo la fronte, ma qualcosa suggerì ad Alan che il fenomeno non fosse dovuto all'afa di quella mattina.
- Tuttavia, le sembra il caso di usare un linguaggio così scurrile? Per di più davanti alla nostra Angelika, che ha appena subito una grave perdita. Sappiamo che i ragazzi d'oggi sono impulsivi e passionali, così come sappiamo che alla Dogma sono rimasti soltanto inesperti cacciatori. Signor Dumbar, io l'ho sempre ritenuta un grande uomo, perciò sicuramente non si metterà allo stesso livello di questo straniero, dico bene? -
Dumbar, ancora livido di rabbia, rivolse allo Slayer un'occhiata truce e poi grugnì qualcosa.
Alan invece affondò le mani nelle tasche del cappotto e non riuscì a trattenere un sorriso sghembo: lo smacco all'orgoglio di quell'idiota lo compiaceva non poco, anche se era la seconda volta in pochi giorni che qualcuno gli dava dello sbarbatello. Non era propriamente una bella situazione, ma un lato positivo doveva pur trovarlo. Inoltre non voleva mettersi a litigare con quell'uomo viscido, il dottor Mercer. Un Guardiano incazzato dal grilletto facile era più che sufficiente.
- Vedo che ci siamo capiti. Adesso, se questo gentile e disponibile Slayer avesse voglia di esprimere un suo parere sull'accaduto, tutta la nostra comunità gliene sarebbe immensamente grata. -
Abbracciò Angelika e la cullò, ma in quelle carezze non c'era la dolcezza. Anzi, Alan scorse un subdolo desiderio agitarsi in fondo agli occhi torbidi di quell'uomo dai modi affettati. Non che la cosa gli interessasse, ma provava un naturale ribrezzo per quel genere di persone.
- Allora, signor Slayer? - lo incalzò Mercer, sfoderando l'ennesimo sorriso a trentadue denti, - Ci faccia partecipi della sua ipotesi. Chi ha compiuto questo atto barbarico? -
- Difficile a dirsi così su due piedi, dottore. - rispose caustico.
- Mi sta dicendo che non lo sa? -
Un timido brusio si alzò dalla folla che, se possibile, era aumentata.
- E' stata la Morte.-
- Sì, l'ho vista, l'ho vista, è stata la Morte.-
- Ha preso di mira il nostro villaggio! Ci ucciderà tutti!-
Alan sospirò e si trattenne dal mandarli tutti a farsi fottere, loro e le loro stupide superstizioni.
- No, non ho detto questo. Intendevo che senza aver udito prima la testimonianza della vittima non posso avanzare nessuna teoria. -
- Oh, capisco. Allora porterò Angelika al Municipio e mi premurerò di darle tutto il sostegno possibile fino a quando non se la sentirà di parlare con lei. -
Alan rivolse un'occhiata di sottecchi alla ragazza. Tremava come una foglia, pigolando qualcosa di incomprensibile a bassa voce. Per tutta la durata della loro conversazione non aveva mai lasciato andare la testa mozzata, che continuava ad imbrattare le sue vesti di sangue. Lentamente alzò lo sguardo dal terreno e un secondo più tardi incrociò le iridi verdi del cacciatore. Quegli occhi così puri sembravano chiedergli aiuto.
- Forse è meglio che qualcuno la riporti a casa, dottore. E' sotto shock. -
- Non si preoccupi, ci penso io. -
Tentò di tirarla su delicatamente, ma quella si divincolò per liberarsi dalla presa. Mercer la trafisse con un'occhiata tagliente e serrò le dita sul suo braccio. L'esagerata pressione che esercitò tradì la rabbia che lo aveva pervaso e la giovane guaì di dolore.
- Non credo voglia venire con lei. - si intromise Alan.
- Deve venire. E' per il suo bene. -
La strattonò di nuovo, conficcandole le unghie nella pelle, ma Angelika gemette più forte.
Esasperato, Alan si parò davanti al dottore. Osservò quell'uomo viscido da vicino, i suoi lineamenti aguzzi e gli occhi da furetto, e una sensazione di gelo gli annodò le viscere. Lui era uno Slayer, cacciava mostri e non si impicciava delle faccende degli uomini.
- Con l'autorità conferitami dalla Dogma, reclamo il testimone sotto la mia giurisdizione. - sibilò, poi fece cenno ad Angelika di alzarsi.
Lei scattò in piedi e si nascose dietro la sua schiena.
- Giovanotto, lei non può... -
- Certo che posso. - scandì, piegandosi su di lui fino ad arrivargli a un palmo di naso.
Una raffica di vento gli scompigliò i capelli, facendo risplendere le ciocche rosse e argentee come lingue di fuoco. In seguito, le pupille di Alan divennero verticali e le iridi rifulsero di una luce sinistra. I raggi del sole gli ferirono gli occhi sensibili, ma non ci fece caso: voleva far tremare di paura quel damerino.
Mercer rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo da quello del cacciatore. Questi si era avvicinato con la fluidità di un predatore e ora incombeva su di lui alla stregua di una belva pronta a scattare. Il sangue gli defluì dal viso e il respiro gli si mozzò in gola.
- E... e sia. - le parole gli uscirono strozzate, mentre una patina di sudore gli bagnava la fronte.
Un sorriso sgradevole si dipinse sulle labbra dello Slayer. Sbatté le palpebre una sola volta e le pupille tornarono normali.
- Bene, vedo che ci siamo accordati. - fece un passo indietro e si rivolse ad Angelika, - Andiamo. -
Lei annuì, si aggrappò ad un lembo del suo cappotto, la testa mozzata ben stretta al seno, e lo seguì a testa bassa. La folla si aprì al loro passaggio e le persone li osservarono bisbigliando, ma nessuno dei due diede peso ai loro pettegolezzi.
Da qualche parte, forse al di là di qualche arrugginito cancello di ferro, si levò il latrato di un cane.
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Slayers
Fantasy[Primo libro della saga 'Slayers'] [Ispirato a Claymore, Devil May Cry e The Witcher] La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per comb...